19 marzo 2013. Visita al Museo dell’Universita Sejong di Seul

La Corea dal 1392 al 1910 fu identificata con lo stato sovrano Joseon, fondato da Yi Seong Gye, che fu il capostipite di una lunga dinastia, arrivata al principio del Novecento ed ebbe la sua capitale in Seul. Fu l’ultima dinastia imperiale confuciana, che governò per tanti secoli e che cadde, a seguito dell’annessione da parte del Giappone nel 1910. Tra i primi ed i più importanti Re della dinastia, i coreani ricordano, con particolare fervore, Re Sejong, che governò dal 1418 al 1450. Egli fu il promulgatore dell’alfabeto “hangul”, da cui nacque la lingua coreana, da quella cinese. Come un nobile italiano rinascimentale, diede un forte impulso allo sviluppo della letteratura. La novità della nuova lingua fu, all’inizio, osteggiata dai suoi collaboratori ed, al contrario, bene accolta dal popolo, che, finalmente, aveva un nuovo e più semplice metodo, per poter comunicare. Egli stesso fu autore di diversi libri nella nuova lingua: “Seokbo Sangjeol” (Episodi della vita del Buddha), “Dongguk jeong un” (Dizionario della corretta pronuncia sino – coreana). Nel 1420, altresì, istitui una commissioni di studi e di ricerca “Jiphyeonjeon”. Si ideò, sotto la spinta del Re, l’ “akchang” (versi musicati, che accompagnavano alcune cerimonie reali) ed il “Kyongi”, in cui, attraverso l’utilizzo di caratteri alfabeti cinesi, si esaltavano le bellezze della Corea. Iniziò, in qualche modo, a staccare la cultura coreana da quella cinese, che, prima del suo Regno, impregnava ogni angolo più nascosto della vita dei cittadini della Corea. A Seul, per onorare quest’importantissimo Re, hanno dedicato una città universitaria.

Sin dall’ingresso, vedo molti studenti attardarsi alle lezioni; tra le varie facolta; c’è sempre la Chiesa, che offre il suo volto al Museo, verso cui sono diretto e, davanti al quale, un piccolo lago artificiale.

Pochi gradini e sono all’interno. L’ingresso è libero; registro il mio nome, come visitatore, su un grosso libro, che mi viene recato da una ragazza ed inizia la mia visita. 

Vi sono conservati reperti dell’epoca Joseon. Al piano terra, all’interno di una vetrina, la macchina, con cui trasportavano il Re all’interno del suo palazzo (mandare un Re a piedi non era di moda, all’epoca).

Una ricostruzione della camera nuziale: degli armadi disposti sulla parete destra, mentre delle teiere sono conservate sopra dei mobili vicino a dei quadri. Un ufficio dell’epoca; mi colpisce la totale assenza di sedie, segno che si stava seduti sul pavimento (povere gambe!). Una stanza riccamente addobbata usata per lo studio, l’insegnamento ed il riposo notturno. Il letto, una semplice stuoia, è disposto sulla destra accanto ad un elegante separé verde, finemente decorato. Essenziali i mobili; vicino al muro uno strumento tradizionale e due tavolini bassi, su cui si poggiavano dei libri.

Infine il “Dang Ga” il santuario per la Principessa Duk On, terza figlia del Re Soon Jo. E’ una scultura in legno, semplice, essenziale oserei definirla povera.
Al primo piano, moltissimi abiti d’epoca, disposti su dei manichini, tra cui: un vestito da donna, color rosso spento, con una larga sciarpa, che scende fino alle ginocchia molto colorata. Un vestito per bambino: i pantaloni rosa raccolti alle caviglie, la casacca lunga blu e le maniche coloratissime. L’abito da sposa (Wonsam) era un’esplosione di colori, vivi, sgargianti: la base rosso tenero, la lunga sciarpa verde acqua con maniche larghissime e riccamente variopinte.

L’abito per il popolano (Chen Min Bok) era davvero di una semplicità esemplare e, mi ha colto, la mancanza di toni sgargianti. Dei semplici pantaloni bianchi ampi fino alle cosce, per poi restringersi ai piedi ed una casacca nera con dei bordi marrone chiaro e bianco.

Lo scolaro doveva indossare la divisa (Nan Sam) per assistere alle severe lezioni della scuola confuciana. Dei pantaloni celeste molto chiaro, quasi completamente coperti da una lunga vestaglia verde, fermata da una cinta variopinta.


Il monaco buddhista (Kasa Jang sam) indossava, invece, per officiare i sacri riti un ampio costume grigio (ancora oggi il colore e rimasto lo stesso) con un largo fazzoletto rosso, che gli copriva ampia parte del petto.

Anche il Re, rispettando il cerimoniale indossava diversi abiti. La divisa “per tutti i giorni” era costituita da una lunga casacca rossa con disegnata la bandiera della dinastia Joseon e dei pantaloni celeste chiari; quando sua Maestà doveva ricevere importanti ospiti, il maggiordomo lo aiutava ad indossare il “Kang Sa Po”; la solita casacca rossa con al centro disegnato un rettangolo blu.

L’abito quotidiano del Re
Il Kang Sa Po

Mi trasferisco al secondo piano, dove sono esposti moltissimi reperti dell’epoca Joseon. Sono colpito da alcuni di essi. Le tante statuette ben allineate, all’interno di una teca illuminata, del Buddha Sakyanumi (il Buddha della compassione). Alcuni utensili per le cerimonie, officiate dagli sciamani, la religione della dinastia, che, a vederli bene, fanno un poco impressione!

Delle candele coloratissime, con su disegnati strani simboli da me indecodificabili.

Invece, nella teca di fronte, tante scarpe; oddio, non e certo l’ultimo modello Dolce & Gabbana e penso, oltretutto, che non fossero molto comodi da calzare, ma…c’erano solo quel tipo di scarpe, per cui bisognava arrangiarsi. Per le signore era un gran bene, poiché di tacco 12 non se ne parlava affatto ed neanche nelle serate di gala o per andare in discoteca.

Delle molto antiquate luci, che i servitori usavano, per accompagnavano i nobili dell’epoca, quando dovevano recarsi in strada.

Quando arrivava il momento di sposarsi poi, l’uomo all’epoca non era costretto a regalare l’anello di brillanti o il mobilio dell’appartamento, comprato con i suoi soldi ed intestato alla sua bella Venere: un’oca intagliata in legno, simbolo d’amore e di fedeltà.

Che tempi!


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