20 Maggio 2014
Il Teatro alla Scala fu progettato dall’architetto Giuseppe Piermarini e costruito in soli due anni (erano bravi all’epoca) per volontà dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria.

Il nuovo Teatro (sorto perché in Piazza di S. Maria alla Scala era andato distrutto causa incendio il vecchio Teatro Ducale, che accolse Mozart compositore e direttore delle sue opere) avrebbe dovuto invitare tutti i più celebri ed importanti artisti del mondo. La previsione della nostra Imperatrice fu davvero azzeccata, essendo il sogno di ogni Musicista esibirsi su quel palcoscenico.

Il 3 Agosto 1778, “Europa riconosciuta” di Antonio Salieri, maestro di cappella di corte dell’impero austro – ungarico, inaugurò il nuovo teatro, che avrebbe segnato, colle sue rappresentazioni, trionfi ed anche insuccessi di Compositori, Cantanti, Direttori d’orchestra.
Avendo alle spalle Palazzo Marino, l’ingresso del Museo è alla sinistra dell’ingresso principale del Teatro. Purtroppo, una fila di turisti attende d’entrare; la causa di troppa, sciagurata attesa è l’unico inserviente (anche in là cogli anni), che sbriga il suo lavoro con una calma da far invidia al Buddha, che s’è ritirato da millenni nel Nirvana.
E’ davvero difficile organizzare una biglietteria moderna, con inservienti giovani (e) e belli (e) ed istituendo anche delle biglietterie automatiche, come avviene in tutti i Musei dei paesi civili? Quando arriva il mio turno, il tizio (il cui volto difficilmente dimenticherò, per avermi fatto aspettare almeno 15 minuti!) neanche si degna di rispondere al mio saluto: troppa fatica, forse! Insomma, l’inizio è stato devastante a causa della cattiva organizzazione, in cui spesso noi Italiani siamo inarrivabili maestri.
Il Museo si trova al secondo piano e le rampe di scale da percorrere hanno le pareti arricchite dalle locandine di spettacoli lirici dell’inizio del Novecento: una gioia ed una grande emozione leggere quei nomi leggendari.
Un addetto alla sala m’invita a guardare il Teatro da un palchetto.
Entro in punta di piedi, in un luogo sacro, separato dal rumore e dalla follia del mondo, uno spazio in cui tutti lavorano in funzione di un Ordine, stabilito dal Compositore; l’Uomo ricreatore di emozioni attraverso melodie capaci di risvegliare, nell’animo di chi le esegue e di chi le ascolta, sensazioni simili al movimento di un fiore, che dischiude i suoi petali. In quel preciso istante, tutti sono nell’Ordine, perché compiutamente partecipi della sacralità del palcoscenico.
Un gruppetto organizzatissimo di giapponesi è a pochi passi da me. La loro organizzazione è ammirabilissima: la guida parla in un microfonino, che tiene vicino alle labbra, gli altri ascoltano con le cuffie e si muovono tutti nel medesimo istante, col medesimo passo, guardando nella stessa direzione, neanche fossero diretti dal Maestro Muti! Li adoro.

Dieci le sale, dove si possono ammirare innumerevoli capolavori. Nella prima sala ho delicatamente sfiorato, col fine di rubare parte dell’energia, il fortepiano appartenuto a Giuseppe Verdi; un bellissimo ritratto di Wolfgang, che rappresentò tre opere per il Teatro Ducale: “Mitridate, Re di Ponto” (1770), “Ascanio in Alba” (1771) e “Lucio Silla” (1772).
La seconda Sala è dedicata ai personaggi della Commedia dell’Arte ed il ritratto di un fiero Carlo Goldoni, riformatore del teatro comico.


La terza sala è un trionfo dedicato ai grandi interpreti operistici. Tanti i ritratti presenti. Isabella Colbran, prima moglie di Rossini e grande protagonista delle opere del Pesarese.
Giuditta Pasta, una delle più celebri cantanti liriche dell’Ottocento; cantò in Italia, in Francia, in Inghilterra e attorno al 1820 si consacrò come diva incontrastata del mondo lirico.



Maria Malibran, morta a soli 28 anni, indimenticabile prima interprete di molte opere di Vincenzo Bellini (“I Capuleti e i Montecchi”, “La Sonnambula”, “Norma”) e di Gaetano Donizetti (“L’elisir d’amore”), come di tante perle uscite dalle sapienti mani di Rossini. Giovan Battista Rubini, il tenore preferito da Vincenzo Bellini ed un altro interprete delle opere del Catanese; Domenico Donzelli, che fu il primo Pollione nella “Norma”.

Luigi Lablache, uno dei più importanti bassi dell’Ottocento.


Un teatro, perché funzioni a dovere, ha bisogno di un sicuro condottiero: Domenico Barbaja (al quale Rossini sfilerà la sua donna, la Colbran), il re degli impresari, che si dilettò anche ad inventare la “barbajata” una specie di moderno cappuccino, che fu regolarmente venduto nei bar dell’epoca. Si dedicò all’impresariato teatrale, raccogliendo sempre e ovunque successo, grazie allo straordinario fiuto, di cui era dotato.
Quindi i ritratti dei tre grandi Compositori del Melodramma italiano di metà Ottocento: Gioachino Rossini, Gaetano Donizetti e Vincenzo Bellini.



Nella Quarta sala sono raccolti i dipinti d’epoca, dedicati al Teatro e i ritratti delle persone, che composero il “mondo verdiano”. Margherita Barezzi (1814 – 1840) prima e sfortunata moglie del Maestro


e Giuseppina Strepponi (1815 – 1897), prima interprete del “Nabucco” e, in seguito, sua seconda moglie.
Bartolomeo Merelli, l’impresario che, credendo in Verdi, lo costrinse ad accettare l’incarico di comporre un’opera per la Scala (“Nabucco”), dopo che il Compositore aveva deciso di rinunciare alla carriera teatrale a seguito del fiasco de “Un giorno di regno”. Grazie alle insistenze del Merelli (raccontate dallo stesso Maestroin un’intervista al Signor Giulio Ricordi), il genio del Maestro fu di nuovo a servizio della nobilissima causa dell’Arte.

Teresa Stolz, una delle interpreti più amate dal Bussetano.

Nella quinta sala si è accolti da un bellissimo quadro raffigurante Adelina Patti, primadonna alla Scala nel fine Ottocento e poi in una preziosissima teca, che risveglia in me ogni più irrefrenabile desiderio, un ciuffo di capelli appartenuti a Mozart!

Decido di andar via velocemente, per non trasformarmi in un improbabile Arsenio Lupin.
Nella vetrinetta la maschera funebre e calco della mano di Giuseppe Verdi, un piccolo dizionario italiano – francese appartenuto al Maestro ed il programma di un’esecuzione del 1834, in cui Verdi figura come Maestro al cembalo nella “Creazione” di Haydn.
La maschera funebre di Giacomo Puccini (1858 – 1924) di Toscanini (1867 – 1955) insieme alla sua preziosissima bacchetta.
La sala settima accoglie il ritratto di Amilcare Ponchielli (1834 – 1886), autore della “Gioconda”, insegnante di composizione di due futuri celeberrimi musicisti: Giacomo Puccini e Pietro Mascagni.
La sala ottava è giustamente dedicata a Casa Ricordi. Questa grande famiglia di editori milanesi fu determinante per la diffusione del melodramma. Arrigo Boito (1842 – 1918), musicista e librettista, collaboratore di Verdi nelle composizioni degli ultimi anni; tra l’altro uno dei fondatori di questo Museo.Lo sfortunato Alfredo Catalani, Pietro Mascagni (1863 – 1945), autore della “Cavalleria rusticana” e Ruggero Leoncavallo (1857 – 1919), compositore de “Pagliacci”.
Intenso lo sguardo del Maestro Toscanini, che fu direttore principale del Teatro ed apportò numerose modifiche e stabilì nuove regole per l’esecuzione, approntate ad una scrupolosa lettura ed interpretazione di ogni Composizione teatrale o sinfonica, che fosse.

Il Maestro Tullio Serafin, definito, giustamente, il patriarca del Melodramma,

l’uomo, che ebbe un fortissimo ascendente musicale sulla divina Maria

Rosina Storchio (1872 – 1945), la prima interprete di “Madama Butterfly”, che, proprio alla Scala, raccolse un clamoroso insuccesso.
Francesco Tamagno (1850 – 1905), il primo interprete dell’ “Otello” verdiano ed Enrico Caruso, il “tenore” per eccellenza
La sala nona ricorda le memorie storiche strettamente legate alla storia del Teatro. C’è un quadro, dov’è ritratto il Teatro Ducale, il manifesto della prima di “Nabucco” del 1842 ed una serie di bozzetti di molte produzioni, realizzate addirittura negli ultimi anni del 1700.
Nella decima sala, il posto d’onore spetta, giustamente, al pianoforte di Franz Liszt , che suonò nel 1838 in Teatro.
Quindi delle tavole da gioco, su cui si scommetteva (maledetta passione anche allora!) durante le rappresentazioni nel Ridotto del Teatro.
Un viaggio nel tempo, nell’Arte, nella Storia e soprattutto nella nostra storia: in quella del popolo italiano. Purtroppo, abbiamo dimenticato o – peggio ancora – non sappiamo chi siamo stati: un Passato grande, forse troppo grande, che non riusciamo a capire, comprendere e purtroppo neanche ad amare.