La cartomante di Federico Fellini

L’articolo è stato pubblicato su «Il foglio» domenica 19 luglio 2020 a firma di Anselma Dell’Olio per la presentazione dell’omonimo libro di Marina Ceratto, edito da Baldini e Castoldi.

Difficile parlare bene delle arti divinatorie, che scruterebbero nel futuro, anticipando il racconto degli eventi. Difficilmente dichiareremmo che, almeno una volta della vita, non abbiamo pensato di rivolgerci ai vaticinatori, magari in occasione di qualche evento particolare. Eppure, l’indagine sul futuro accompagna l’uomo, poiché, essendo egli realizzazione nel «presente», volge con sguardo preoccupato alle ansie della vita, tentando di esorcizzare quell’ancestrale ed inspiegabile paura del futuro, ricorrendo a qualsiasi mezzo, qualsiasi tecnica in grado di suscitare ciò che è già scritto in noi. Sono pienamente convinto che, esercitandoci attentamente sui «piani del sottile», potremmo scoprire parti nascoste di noi, anche celate nel cosiddetto «futuro».

Cosa intendiamo per «futuro»?

Ecco la domanda. Il «tempo» è un archetipo, che dimora nell’uomo, il quale non ha la capacità di ridurre a pura versione letterale, ma – essendo archetipo – deve ricorrere ad un ambito simbolico – allegorico, per rendere più vicino possibile l’interpretazione, creando nel con«tempo» tanta confusione. Essendo, infatti, un archetipo, può essere «sentito», ma non intellettualizzato. Famosa la frase di S. Agostino, che nell’XI Libro delle «Confessioni» spiega: «Io so che cosa è il tempo, ma quando me lo chiedono non so spiegarlo».

Il «tempo», a sua volta, è diviso intellettualmente in tre sottocategorie: «passato», «presente» e «futuro». Accettiamo il proposito agostiniano dell’impossibilità di spiegare il «tempo», figuriamoci le tre sottocategorie! Nella difficile questione del «tempo», a nostro avviso, dovremmo evitare (così come ogni altro archetipo) la non corretta frammentazione, che potrà essere consapevolmente utile nell’ambito di una speculazione ermeneutica, ma non ci aiuterà affatto a cogliere l’«insieme». Se il «tempo» è stato diviso tripartito (il Tre è proiezione geometrica dell’Uno), vuol dire che potrà essere riassunto nell’Unità ed allora, colui che vaticina il futuro, cerca nel presente, poiché nell’«adesso», nell’«ora», nell’«attimo», egli trova la dimensione del «tutto». Non vuole essere un esercizio di pura intellettualità, ma di realtà concreta: il tempo è «ora»; il «passato», il «presente» ed il «futuro» sono divisioni operate dal nostro intelletto, che frammenta, al fine di rendere più semplice l’interpretazione, mentre contribuisce solo a rendere più nebuloso l’identificazione dell’archetipo.

«Fellini riassumeva in sé sia il sogno sia il divertimento, sia la fantasia sia la malinconia e la poesia».

Quest’anno ricorre il centenario della nascita del «Maestro di color che sanno», Federico Fellini; molteplici le pubblicazioni a lui riservate, tra cui questo curioso titolo, che ha suscitato la nostra attenzione: «La cartomante di Fellini», scritto da Marina Ceratto, figlia dell’attrice Caterina Boratto, che conobbe il Maestro all’età di sedici anni.

La mamma dell’autrice fu una diva del cinema degli anni ’40, accompagnandosi a colleghi quali Vittorio De Sica e Amedeo Nazzari; conobbe Federico Fellini, durante la lavorazione del film «Campo de fiori», interpretato da Aldo Fabrizi ed Anna Magnani; il Maestro collaborava alla sceneggiatura, lasciando così la sua impronta anche nei primi lavori del Neorealismo cinematografico. La Boratto interpretava la parte di una donna diafana, bionda, sfuggente, irraggiungibile all’arrembante Fabrizi, che conduceva una vita di pura «vetrina», nascondendo un dolore tremendo: un figlio non riconosciuto. Ebbe poi occasione di lavorare col Maestro in occasione di «8 e 1/2», nella parte della «signora misteriosa», il cui set fu spesso frequentato, nonostante la giovanissima età, dall’autrice del libro, la quale sarebbe stata aiutata da Fellini ad uscire dalla difficile ed inevitabile competizione con la mamma – diva. La ragazza, divenuta donna, continuerà a frequentare i luoghi cinematografici del Maestro, che la inizierà anche all’arte divinatoria della cartomanzia.

Inevitabile un capitolo riservato alla figura di Giulietta Masina, la quale sarebbe stata la «figlia della colpa» del papà con una bambinaia ed, al fine di preservarne la dignità, sarebbe stata destinata da una zia a Roma, dove avrebbe poi conosciuto il grande Federico. Giulietta è dipinta come una borghese attaccata al denaro, piombo ai piedi del Maestro ed attrice, secondo la definizione di Pupi Avati, «brava come tutte le attrici brutte». Definizioni che non attennero al giudizio di Fellini, che riteneva Giulietta la sua autentica musa, la quale si sarebbe arrabbiata – anche in presenza di altre persone – delle tresche del marito – ammiratore degli islamici poligami -, che alla fine, dopo essere stato perdonato, sarebbe stato riammesso nel talamo nuziale. Prova del suo incontestabile effetto e stima la rivelò, durante la consegna dell’Oscar alla carriera del 1993, quando ebbe parole di tenero affetto verso la piangente «Gelsomina».

La Ceratto confessa di essere riuscita a non entrare nell’ordinato caotico gineceo felliniano, dove ogni donna avrebbe trovato la corretta e giusta collocazione (ricordiamo l’esclusiva collaborazione artistica con Leonetta Bentivoglio).

Ampio spazio trova il racconto delle depressioni del Maestro, che avrebbe esorcizzato i suoi demoni interiori nel personaggio di «Zampanò»; quindi avrebbe trovato felice riparo sotto la protezione psicoanalitica del freudiano Emilio Servadio, definendo successivamente la traiettoria con lo junghiano Ernst Bernhard, dalla cui frequentazione sboccerà un nuovo indirizzo cinematografico, plasmato nel solco dell’onirico.

Sinceri i racconti di rapporti con i suoi collaboratori: Ennio Flaiano, che avrebbe avuto larga parte – non riconosciuta da Fellini – nella costruzione delle sceneggiature, che determinò l’interruzione del rapporto su un volo per Los Angeles, salvo siglare la pace nel 1972, poco prima della morte dello scrittore.

Fermi rimproveri al grande regista di essere stato un inguaribile bugiardo; lodi per essersi trasformato in un attento osservatore della realtà, da cui traeva spunti per i suoi film, anche dall’ascolto della battuta da parte di una comparsa.

In conclusione, l’autrice ricorda che la frequentazione col Maestro sia ancora oggi un dono speciale, un albero particolare, che non smette di donare dei frutti. Era un bugiardo, un traditore, un affabulatore. Si, vero: «La verità è che era un genio, ma a volte era anche un po’ stronzo. Chissà perché si finiva sempre per perdonarlo?».

https://www.ilfoglio.it/cultura/2020/07/19/news/la-cartomante-di-fellini-322248/

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