E’ il titolo dell’articolo pubblicato da www.agi.it mercoledì 22 luglio 2020 a firma Simona Zappulla.
Siamo nell’area dei Paesi mediterranei, in cui la scolarità raggiungerebbe un limitato indice di sviluppo. Purtroppo, la percentuale dei laureati cresce ogni anno con difficoltà, per cui l’accesso al mondo del lavoro e la capacità poi di renderlo sempre più moderno, sarebbe assai modesta e ciò spiegherebbe l’eterno ritardo, con cui l’Italia parteciperebbe a progetti di crescita generale.
La popolazione femminile sembrerebbe denunciare tassi maggiormente elevati d’istruzione, che non corrisponderebbero ad un’eguale rappresentanza nel mondo del lavoro.
Il Sud purtroppo si confermerebbe zona geografica con dati ancor più sconfortanti anche tra coloro che avrebbero completato il percorso universitario.
E’ l’eterno ritornello: a cosa serve la cultura? A cosa serve la conoscenza?
Saremmo ormai destinati a risolvere il problema dell’esistenza nella più o meno completa soddisfazione delle necessità primitive. Tutto sembrerebbe organizzato, perché l’uomo viva la realtà, che lo distinguerebbe dagli animali: la dimensione spirituale, che si comporrebbe di conoscenza, da cui si svilupperà lo spirito critico, che distinguerà l’uomo dal consumatore massificato. In fondo, nel nostro Paese varrebbe la pena studiare? Il nepotismo non sembrerebbe morto con la Prima Repubblica, ma sopravvivrebbe a se stesso, insidiandosi nella testa di chi decide, quale utile strumento di proselitismo elettorale, al di là di ogni competenza e conoscenza. La lingua italiana, presso tanti italiani, sembra un’illustre sconosciuta, poiché la percentuale di chi non capisce la nostra lingua è assai alta. Insomma, un Paese sempre più piegato su se stesso, incapace di cogliere le scintille dell’oggi, per trasformarle in un domani ancor più pieno di luce.
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