Riccardo Pick Mangiagalli nacque il 10 luglio 1882 a Strakonitz (attuale Repubblica Ceca) da padre boemo e madre italiana. Nel 1844, si trasferì con la famiglia a Milano e frequentò il locale Conservatorio dal 1896 al 1903, diplomandosi in Pianoforte e Composizione. All’inizio della carriera, intraprese l’attività concertistica con il fratello, Roberto, violinista, per poi, dal 1910, dedicarsi esclusivamente alla Composizione. Prima dello scoppio della Grande Guerra, si sposò con Elsa Kurzbauer, austriaca, soggiornando a Vienna, dove, per la Universal edition, pubblicò alcune sue composizioni: le Trois miniatures pour piano avec accompagnement d’instruments à cordes (quartetto e contrabbasso, op. 4), la Sonata per violino e pianoforte in Si minore op. 8, quattro liriche per canto e pianoforte da Paul Verlaine op. 18, Von der Wiese, Lied su testo del critico Max Kalbeck e Drei Walzer-Capricci per pianoforte op. 20. S’impose in Italia tra le due guerre come il più eseguito autore di musica per balletto.
Le sue composizioni rivestono particolare importanza per lo sviluppo tematico e contrappuntistico, per l’uso originale dell’armonia, che prevede la ripetizione degli stessi accordi, l’applicazione della scala per toni, il ritorno frequente di procedimenti ritmici, che egli utilizzerà quali strumenti atti al percorso di sublimazione della sua arte.
Esordì nel 1914, al Teatro alla Scala con il balletto mimo – sinfonico Il salice d’oro, che rivelò fantasia e creazione tematica d’una certa personalità. Nel Carillon magico, la favola lieve e graziosa è commentata da una stupenda trama sinfonica, che, anche quando si sminuzza in piccoli dettagli, mantiene sempre un’indiscutibile freschezza d’invenzione, grazie ad un accattivante colore e timbro strumentale ed armonico.
Meno riuscite si rivelarono le opere Mahit, e Sumitra (entrambe del 1923), in cui echeggia la tinta orientale. Mahit è una vicenda scenica senza parola, che spesso decade nell’esposizione di minutissimi dettagli di azione o nel riscontro della psicologia dei personaggi, mentre le danze appaiono poco spontanee e poco opportune.
Sumitra deriva dalla Peri del Dukas e dal Kamma di Debussy; un cromatismo abbondante, abuso della scala esatonale e di modi orientali, tingono di grigiore il lavoro.
Un altro lavoro poco riuscito risultò il Basi e Bote sul libretto – assai prolisso – di Arrigo Boito, in cui riappare l’uso delle maschere italiane; Arlecchino acquisterà, per mezzo del musicista, un’aria da Don Chisciotte, che mal gli si addice. La parte migliore del primo atto è la Baruffa, uno scontro tra le maschere, musicalmente reso perfetto attraverso un rapido passaggio dai colori più violenti a quelli opachi e tenebrosi. Felicemente riuscite risulteranno le figure di Colombina e Florindo, che nel secondo atto canta un irresistibile recitativo, magnifico esempio d’ironia musicale, fino ad allora raggiunto, con grande efficacia, solo da Strauss in Ariadne auf Naxos. L’intero atto ci offre una nuova prova dell’ingegno e della vivida, graziosa ispirazione di Pick Mangiagalli. Nel terzo atto, la commedia rimane un poco statica, pur presentando, qua e là, sprazzi di vivacità: la descrizione di Pantalone, il camuffamento di Arlecchino (il cui tema è affidato ai contrabbassi), l’espressivo concertato e tutta la chiusa dell’opera risultano una felicissima realizzazione del musicista, che vi profuse vere preziosità d’invenzione e di raffinata elaborazione.
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Il Riccardo Pick Mangiagalli riuscì in una vasta e temprata produzione da sinfonista, cominciando dal Notturno e Rondò fantastico di chiara ispirazione straussiana, in cui ci comunica un violento calore drammatico, svolto con vera maestria di svolgimento tematico e contrappuntistico (canone triplo). Il pezzo fu presentato nel maggio 1919 a Milano e fu scelto, nel 1921, da Arturo Toscanini per l’Augusteo di Roma. il lavoro è diviso in due parti: un Moderato assai introduttivo di chiara origine debussiana ed un Vivace indiavolato, originato dalle esperienze di Berlioz, Dukas ed il sempre presente Strauss. La matrice smagliante dell’orchestrazione di Mangiagalli lo porrà tra i musicisti italiani più interessanti e preparati.
In Sortilegi, poema per pianoforte ed orchestra, presentato al Teatro alla Scala nel 1918 con l’autore al pianoforte e diretto da Arturo Toscanini, è interamente in ritmo ternario; la dosatura perfetta delle sonorità orchestrali non soffocano mai quella del pianoforte, stupendamente trattato e sempre in giusti rilievi. L’eccitazione quasi spasmodica dello sviluppo e l’estremo virtuosismo esercitato dal tratto pianistico esalta l’ascoltatore raccolto in silenziosa meditazione.
La Piccola suite è una pratica confutazione a proposito su quanto asserito dal Malipiero nel suo studio sull’orchestra moderna, a proposito della duplice veste orchestrale e pianistica di alcune composizioni di Ravel.
Nel Preludio e Fuga, l’autore dimostrò originalità e vivacità scevro da qualsiasi fronzolo modernista; il Preludio vibra di un ininterrotto movimento di semicrome, affidato agli archi ed i cui temi si riuniscono nella chiusa con un bellissimo effetto polifonico, mentre tutti i procedimenti contrappuntistici (aggravazione, diminuizione, contrazione) sono con insuperabile padronanza sfruttati dal compositore.
Della sua produzione quartettistica, annoveriamo il Quartetto op. 18, presentato, nel 1910, dal Quartetto Polo (Enrico Polo era il primo violino del Teatro alla Scala e cognato di Arturo Toscanini).
Riccardo Pick Mangiagalli fu rinomato anche come pianista e nelle composizioni per pianoforte egli teorizzò la fondamentale legge del lavoro: massimo rendimento dal minimo sforzo, come nei Lunaires (1916), che già nel titolo richiama al Clair del lune di Debussy e La danse d’Olaf, che coniuga il pianismo di Mendelssohn con influssi francesi.
I suoi lavori si ricollegano idealmente al periodo romantico e soprattuto ai procedimenti ritmici ed armonici di Franz Liszt, plasmandoli fino a costituirsi una personalità ed inconfondibile fisionomia.
Nel 1936, fu nominato direttore del Conservatorio di Milano, succedendo ad Ildebrando Pizzetti, carica che tenne fino alla morte, giunta l’8 luglio 1949.