Nella primavera del 1911, anno dell’Esposizione industriale a Torino, Vittorio Gui e Claude Debussy si conobbero nel capoluogo piemontese, dove l’avvocato Giuseppe Depanis avrebbe organizzato dei concerti sinfonici, per celebrare l’importante manifestazione pubblica. Il programma previde l’invito delle personalità più eminenti del mondo musicale: Edward Elgar, il finlandese Kajanus in sostituzione dell’indisposto Sibelius, D’Indy e Claude Debussy, la cui comparsa sulla scena compositiva internazionale aveva destato polemiche e discussioni, nonostante direttori autorevoli ed illustri, come il Mancinelli ed Arturo Toscanini, proponessero i lavori del musicista francese, affrontando le inevitabili proteste del pubblico, sempre rivolto all’ultima opera del trio Mascagni – Puccini – Giordano.
Giuseppe Depanis sapeva della scarsa capacità direttoriale del Debussy, tantoché chiese al Maestro Gui la disponibilità a preparare l’orchestra per il compositore francese, che sarebbe arrivato un bel mattino alla stazione di Porta Nuova, accolto dall’organizzatore dei concerti, il direttore d’orchestra italiano, il maestro Cantù e dall’avvocato Sinigaglia. Nessuno dei convenuti aveva mai incontrato il compositore di persona; solo una fotografia era stata pubblicata in Italia. Da una delle ultime carrozze, un piccolo gruppo di persone piuttosto eleganti, attirarono l’attenzione del quartetto italiano; tra loro, un uomo alto circa un metro e settanta, occhi e barba nera con movenze pacate. Avvennero delle rapide presentazioni di rito e dopo circa mezz’ora il compositore ricevette il quartetto in una stanza dell’Hotel Europa.
Il Depanis affrontò immediatamente tutti gli argomenti più urgenti, lasciando per ultimo l’argomento più delicato: l’eventuale collaborazione del Maestro Gui nella concertazione del programma, che il compositore cortesemente rifiutò, dichiarando che il dirigere era sempre stata una sua antica ed indomabile passione e che quindi desiderasse lavorare da solo.
Le prove si tennero sul palcoscenico del Teatro Regio, riservando il Salone dei festeggiamenti al Valentino alla sola prova generale. L’orchestra, formata da valentissimi musicisti provenienti da tutta Italia, si era preparata a ricevere col massimo rispetto il celebre compositore, grande ed autentico artista, che, dopo Wagner, aveva acceso i più grandi entusiasmi come le più accese ire nel mondo della musica.
La prova cominciò con À l’après-midi d’un faune, che mostrò l’incapacità del Debussy: lo sguardo fisso sulla pagina, che voltava addirittura con la mano destra, pur essendo impegnata ad impugnare la bacchetta, quindi non guardando e non potendo guidare la massa orchestrale. Il Maestro Gui, testimone dell’infelice esperienza, con la scusa di tradurre dalla lingua francese, interveniva, al fine di frenare le prime reazioni ironiche e sedare, in qualche modo, l’agitazione che cominciava a serpeggiare tra le fila degli orchestrali.
La situazione diventò ancor più imbarazzante nella lettura della difficile suite Iberia, composta di sfumature, d’intrecci di ritmi, tantoché il compositore iniziò ad innervosirsi, perdendosi nell’intrigo caotico di suoni e di ritmi, concedendo i soliti dieci minuti di riposo, mentre si rifugiava in una stanza in disperata e cupa solitudine.
Il Depanis si armò di coraggio e propose al compositore di cedere la preparazione del lavoro al Maestro Gui, riservando il solo concerto al Debussy. La proposta fu prontamente accettata.
Nei giorni di permanenza a Torino, il direttore italiano aveva spesso incontrato il grande compositore francese, guadagnandosi la simpatia anche grazie ad una mutua attrazione ed una felice intimità intellettuale, che col tempo si sarebbe trasformata in un vero e proprio legame d’affetto.
Debussy si mostrava un conversatore di grande brio, coltissimo di letteratura, impareggiabile nell’esposizione sintetica dei fatti, raccontandone sempre il lato comico e divertendosi nella schermaglia d’ironia sottilissima ma bonaria. Sdegnoso e ribelle contro la volgarità delle folle e dei corteggiatori, la persona intera emanava un senso aristocratico, effetto dell’altissima signorilità di un principe del buon gusto.
L’orchestra accolse con grande soddisfazione il felice cambio, tanto fu l’impegno profuso nella lettura della Suite, mentre Debussy giungeva in teatro alla fine dell’esecuzione, per la gioia dei professori, conquistati dalla bellezza della musica. Il compositore chiese di ascoltare l’intero lavoro, che riuscì agile, leggero, chiaro e pieno di luce, da provocare l’inaspettato bacio del grande musicista sulla guancia del direttore, nell’applauso inaspettato e gradito dei professori d’orchestra.
Debussy assistette a tutte le prove, approvando, consigliando e rivelando un’umanità ampia e serena, un senso pacato di calma e superiorità propria dei grandi spiriti.
Avvicinandosi il giorno del concerto, il Maestro Gui si mostrava sempre più preoccupato, perché avrebbe dovuto cedere la bacchetta al Debussy, che il pubblico attendeva e desiderava vedere. Egli diresse correttamente, ma senza fuoco e dominio sulla massa orchestrale, non riuscendo a sprigionare fascino sugli uditori. L’orchestra suonò attentissima per l’intera esecuzione, ma le volontà individuali, prive di un appoggio reale, non riuscirono a fondersi e quindi a trasferire la bellezza di quelle pagine al cuore degli spettatori. Il concerto si chiuse con Iberia, che non avrebbe riscosso entusiasmi, mentre À l’après-midi d’un faune sarebbe stato l’unico pezzo applaudito senza contrasti. Debussy sembrò preparato a quell’atmosfera, tantoché rimase calmo e sorridente, come sempre, riscattato forse dalla solidarietà dimostrata da uno sparuto gruppo di spettatori.
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Qualche tempo dopo, il Maestro Gui divenne padre per la prima volta ed alla infinita gioia di esser diventato genitore si aggiunse un’altra grande soddisfazione: ricevette da Parigi il primo libro dei preludi per pianoforte del Debussy impreziositi da dediche molto sentite e la grande partitura Rondes de printemps. Il Maestro rispose immediatamente, ringraziando il musicista per i carissimi doni ricevuti ed, inaspettatamente, il Debussy rispose, toccando questioni d’arte interessanti, intavolando una fitta corrispondenza. Il compositore francese tornò in Italia nell’inverno del 1914, per dirigere un concerto all’Augusteo di Roma, cui non poté partecipare il Maestro, perché impegnato a Firenze. Lo scoppio della Grande Guerra rimpastò amicizie ed affetti. Il Maestro Gui fu chiamato al fronte; a Milano si sparse la voce della sua scomparsa, che prestò mutò in altra meno tragica ma più inverosimile della perdita della ragione. Fortunatamente le voci si dimostrarono false; purtroppo tragicamente vera fu invece la notizia della perdita del Debussy, che lasciava il canto accorato della sua pena terrena e dell’aspirazione verso un’evasione oltre il limite della realtà terrestre ad imperitura memoria di sé.