Fu chiesto ad Arturo Toscanini se mai avesse avuto intenzione di descrivere le linee della sua evoluzione, raccontare del travaglio degli studi e rivelare le norme della sua attività, i problemi interpretativi, così come Felix Weingartner fece limitatamente alle Sinfonie di Beethoven. Sarebbe stato auspicabile un libro dal Toscanini, che avrebbe costituito anche il primo trattato organico su un’attività amplissima: dalla materia musicale a quello dell’interpretazione, dell’estetica e della critica. La risposta del Maestro fu negativa, poiché egli stesso riconobbe di non aver stabilito un sistema di lavoro, adeguandosi, di volta in volta, di fronte ai numerosi problemi dell’arte.
Grazie all’eccezionale carriera svolta, il Maestro avrebbe potuto descrivere l’evoluzione dell’orchestra, il rinnovamento culturale. Debuttò come violoncellista e ricordò delle esecuzioni assai approssimative, trascurate, superficiali, nelle quali si badava soprattutto all’effetto scenico. I direttori si preoccupavano di mantenere il tempo, evitando ogni flessuosità e duttilità. Il Maestro ne soffriva, ma doveva ubbidire e così, quando iniziò la magnifica avventura direttoriale, tenne conto delle cattive usanze, tra cui suonar forte e pesante. Riandava allora alla sua prova di secondo violoncello in occasione delle prove dell’Otello, presente Giuseppe Verdi in sala, che rappresentava la sacralità dell’arte e di cui il Toscanini era conquistato tanto da suonare debolmente la sua parte, meritandosi la dura reprimenda del Compositore: «Chi è il secondo violoncello? Lei ha suonato troppo piano, suoni più forte», ed era prescritto il piano!
Iniziata la carriera teatrale, fu un seguace di Giuseppe Martucci, di cui stimava soprattutto l’adesione al testo, ma nella mente del Toscanini era necessario introdurre anche maggiore elasticità, calore all’esecuzione: si stava delineando la sua linea interpretativa.
Ricevette quindi conforto alle sue idee dalla lettura degli scritti di Richard Wagner, soprattutto Über das Dirigiren (Sulla direzione d’orchestra), in cui il compositore poneva le questioni fondamentali dell’attività direttoriale, secondo il proprio modo di sentire, da vero rivoluzionario dell’attività musicale, abbandonata alla routine, se non guidata dall’ignoranza. Il Wagner fu ispirato dagli scritti beethoveniani, del quale si eseguì la Nona Sinfonia al Gewandhaus di Lipsia; la stessa composizione fu poi replicata, nel 1839, al Conservatorio di Parigi e al Wagner si rivelò un altro volto, poiché l’orchestra, finalmente identificata in Beethoven, cantava ogni battuta, dopo aver raffinato il suono, rendendole duttile e sicuro. Per il Toscanini, fu l’ultima, ulteriore conferma alle sue rivoluzionarie convinzioni: far eseguire bene ciò che è scritto, rigettando ogni approccio facile, impreciso o, peggio ancora, improvvisato. Porre la massima attenzione alle indicazioni didascaliche, che spesso avrebbero sollevato delle perplessità come nei Pezzi sacri di Giuseppe Verdi, che il Maestro avrebbe diretto a Torino nel 1898.
«Tutto questo pezzo dovrà seguirsi in un solo tempo come è indicato nel metronomo. […] in certi punti, per esigenze d’espressione e di colorito converrà allargare o stringere, ritornando però sempre al primo tempo», chiosava il Compositore.
Il Maestro sentì che si sarebbe dovuto eseguire con elasticità, perché emergesse il pathos della composizione; Verdi cosa ne avrebbe pensato? Decise, allora, di recarsi a Genova, al fine di sottoporre all’anziano e venerando Compositore la questione, sperando poi che lo stesso Verdi li eseguisse al pianoforte, perché avrebbe potuto controllare la sua interpretazione. Ciò non avvenne e così il Maestro si mise al piano, eseguendo con elasticità e ricevendo la felice approvazione dal Verdi: «Bravo! Così l’ho pensato». L’elasticità e la libertà esecutiva, da cui potrebbe dipendere la buona significazione della composizione, è uno degli antichi postulati degli artisti e, nel contempo, una delle più chiare evidenze dell’estetica musicale.
Toscanini si dimostrò un grande studioso del canto e del suono, caldo e vibrante; il ritmo preciso e pur elastico, perché, come scrisse Richard Wagner scrisse: «L’opera più insignificante può, grazie a un’esecuzione corretta, e per tale sua correttezza, produrre un’impressione relativamente favorevole» e così il Maestro, grazie alla sua probità professionale, ha piegato ogni esecuzione con la massima scrupolosità, elevandola d’importanza a quella di un capolavoro, nel rispetto pieno e fedele della volontà del vero creatore: il compositore.
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