Ludwig Van Beethoven nei ricordi di Louis Spohr

Louis Spohr fu nominato nella primavera del 1813 Maestro di cappella nel teatro an der Wien. All’interno dell’autobiografia, dedicò alcune pagine sulla sua relazione con Ludwig Van Beethoven.

Appena arrivato nella capitale, Spohr intese immediatamente mettersi in contatto con Beethoven, il quale, combattuto dalla sordità sempre più violenta, viveva riparato da occhi mondani. Lo Spohr aveva presentato i suoi pezzi in Vienna, che erano stati accolti favorevolmente dalla critica, cosicché eco degli esiti positivi erano giunti anche al Beethoven, che casualmente incontrò il Maestro di cappella in un ristorante. I due musicisti si sederono al medesimo tavolo, provando a discorrere nonostante gli evidenti problemi di udito del Beethoven, tantoché i due decisero di vedersi in un albergo nei giorni successivi. Spesso il maestro di Bonn si recava a teatro, indugiando dopo la rappresentazione collo Spohr e la di lui moglie, verso cui mostrava segni di affettuosa educazione. Quando nella conversazione si dibatteva di musica, il Beethoven mostrava tutta la sua severità, pronunciando giudizi così implacabili da non permettere contestazione alcuna. Egli si dichiarava contro la gestione del Teatro an der Wien, verso il cui direttore, il conte Palffy, indirizzava dei veri e propri anatemi. I suoi modi risultavano decisamente bruschi anche a causa della sordità, cui non s’era rassegnato e dalle infauste condizioni economiche, in cui versava a causa di una gestione economica poco lungimirante.

Durante l’occupazione francese di Vienna, i suoi amici brigarono, per rappresentare il Fidelio ed aiutare così il grande Maestro, ma il pubblico non mostrò segni di apprezzamento per il grande capolavoro. Fu organizzata quindi una seconda messa in scena presso il Teatro di Porta Carinzia, dove la partitura avrebbe accolto una serie di modifiche, che conquistarono il pubblico in sala, il quale decretò un sicuro successo alla rappresentazione. Il Compositore fu invitato in scena molte volte ed i suoi amici ne approfittarono, per organizzare nel ridotto del teatro un concerto, presentando le ultime composizioni del Maestro. Spohr invitò l’orchestra del Teatro an der Wien a prendere parte all’esecuzione sotto la direzione del Beethoven, estremamente agitato sul podio. Egli sottolineava lo sforzato con l’allungo improvviso delle braccia, mentre per indicare un piano, si abbassava decisamente; il crescendo lo sottolineava quasi alzando i tacchi delle scarpe e nel manifestare il forte desiderato balzava in aria a volte anche gridando.

Questo modo di manifestare l’interpretazione, rese Beethoven celebre di una situazione tragicomica. Suonava il pianoforte, accompagnato dall’orchestra; si prepara per l’attacco e dimentico di essere il solista, si alza dallo sgabello, agitandosi così tanto da colpire i due candelieri del leggio, provocando delle sonore risate da parte del pubblico, che bloccano così il concerto. Allora Beethoven decide di cominciare da capo, provocando nuovamente il medesimo incidente, tantoché due inservienti si pongono ai lati del pianoforte, reggendo i candelieri. L’inserviente destro improvvisamente riceve un pugno dal compositore, che si era esaltato nel segnare uno sforzando, tanto da provocare per la terza volta la caduta del candeliere. Le risa del pubblico divennero ancor più sonore, tanto da innervosire il Compositore, che iniziò a pestare sulla tastiera, rompendo una dozzina di corde; la sua furia era davvero indomabile. Fu l’ultimo concerto di Beethoven.

Il concerto del Ridotto fu applaudito con entusiasmo dal folto pubblico presente, rapito dalla Settima Sinfonia, cosicché fu organizzato un secondo concerto, che produsse un interessante introito per il dissanguato portafoglio del Maestro, che per un po’ visse con tranquillità.

A causa della devastante sordità, lentamente si disseccò la vena ispirativa, tantoché lo Spohr ebbe a scrivere parole davvero dure:

«Io confesso schiettamente di non aver mai potuto gustare le ultime composizioni di Beethoven. In questa categoria colloco anche la Nona Sinfonia, della quale, malgrado alcuni lampi di genio, le tre prime parti mi sembrano di molto inferiori alle otto sinfonie precedenti. Riguardo alla quarta parte, la trovo talmente mostruosa, talmente triviale nella maniera in cui l’Ode alla gioia di Schiller vi è compresa, che ancora mi dimando come un tal genio abbia potuto scriverla!»

Non aggiungiamo altro.

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