Wittenberg contro Roma

Quando scoppiò la contesa dottrinale per le idee riformiste di un monaco agostiniano, Martin Lutero, con sui si criticava apertamente la Chiesa di Roma, rea di essersi allontanata dallo spirito evangelico, il pontefice, Leone X commissionò al generale degli agostiniani di stilare un rapporto segreto.

Nella metà del 1518, Lutero si recò ad una conferenza di agostiniani ad Heidelberg, sostenendo e guadagnando proseliti alla causa delle sue Tesi, che avrebbe inviato, tramite il teologo Johann Von Staupitz, al Papa.

La corte pontificia iniziò a temere le idee riformiste del Ribelle agostiniano, che invitò a Roma, ma, grazie all’intervento di Federico il Saggio, l’interrogatorio si sarebbe tenuto in Germania, condotto dall’Arcivescovo di Palermo, che avrebbe dovuto costringere Lutero a ritrattare le dottrine eretiche, pena la scomunica. Il Ribelle di presentò la prima volta davanti all’Arcivescovo Gaetano la sera del 12 ottobre 1518. Il legato pontificio chiese all’Agostiniano di convertirsi, ritrattando gli errori per dimenticarne il significato, ed infine evitare in futuro di agire, turbando la pace della Chiesa di Roma. Ogni tentativo di riconciliazione si mostrò inutile e l’incontrò fu aggiornato al 13 ottobre.

A Lutero furono sottoposte le medesime richieste, esatte dal Romano Pontefice, il quale aveva indicato nella costituzione Unigenitus che il tesoro delle indulgenze si sarebbe composto dei meriti di Cristo.

Il terzo, inutile, interrogatorio avvenne il 14 ottobre, dacché le parti si arroccarono ulteriormente sulle posizioni iniziali e così l’arcivescovo aggiornò il Ribelle che il Papa considerava eretiche le 95 Tesi, ma ciò non procurò alcun turbamento nella condotta di Lutero, sicuro della validità delle sue considerazioni.

Il 9 novembre 1518 Leone X condannò Lutero per eresia. Federico il Saggio dispose che l’Agostiniano soggiornasse a Wittenberg, ritenendolo in faccia a Roma non meritevole dell’accusa. Fu stabilito un ampio dibattito universitario, dove si sarebbe discusso sulla validità delle Tesi, mentre Roma tentava di arginare il torrente, che straripava e minacciava dalle fondamenta il potere temporale del Papa.

Il 12 gennaio 1519, morì l’Imperatore, Massimiliano I d’Asburgo, così la Chiesa fu costretta a moderare lo sdegno contro Lutero, al fine di riannodare pacifiche trattative con Federico il Saggio, protettore dello scismatico, eletto vicario dell’Impero nella vacanza del trono. La potenza vaticana temeva l’elezione di Carlo di Spagna, già padrone del regno di Spagna, consapevole della sua iniquità, per impedirne l’evento. Inviò all’Elettore, l’astuto Karn Von Miltitz, ciambellano della corte pontificia, col fine di soffocare in modo pacifico le controversie religiose, su cui la Santa Sede aveva perso potere. I consiglieri di Federico il Saggio lo invitarono a diffidare del legato pontificio, il quale – a loro dire – lo avrebbe costretto, anche con la forza, a seguirlo a Roma. Milritz indisse una conferenza ad Altenburg, in cui invitò Lutero a scrivere una lettera di sottomissione a Roma; l’Agostiniano chiese al legato la formula della ritrattazione, di cui si sarebbe incaricato il vescovo di Salisburgo.

Quando la situazione parve avviarsi sulla strada seppur difficile della riconciliazione tra le parti belligeranti, sorse il 27 giugno 1519 un’ennesima disputa teologica a Lipsia fra il teologo Johannes Eck, storico avversario di Lutero ed Andrea Carlostadio, uno dei più zelanti partigiani del Riformatore. Il Papa tentò vanamente di bloccare l’iniziativa, ma vinse l’opposizione del duca, Giorgio di Sassonia, desideroso di ascoltare le opinioni di Lutero. Celebrata la messa, i contendenti, accompagnati dagli schieramenti, si trasferirono nel castello ducale, dove il grecista e teologo Pietro Mosellano, professore di retorica, aprì la seduta, esortando le parti ad evitare delle oziosi discussioni, per attenersi alla pura verità. La disputa si estese per venti giorni d’infuocati dibattiti, che certificarono l’impossibilità della riconciliazione. Il torneo fu aperto da Johannes Eck e Carlostadio; quest’ultimo si attenne a S. Agostino nella disputa sul libero arbitrio, difendendo la grazia, mentre Eck ribatté invece sul merito delle opere, combattuto da Lutero, che entrò nella contesa, confutando il primato di Roma. L’Eck allora incalzò che l’attacco a Pietro avrebbe rinnegato il dogma definito e stabilito nel Concilio ecumenico di Costanza.

Tenutosi tra il 1414 ed il 1418, per porre fine allo scisma d’Occidente, fu scatenato dall’elezione, avvenuta sotto la pressione del popolo romano, di Urbano VI, che, essendo stata ritenuta illegittima da una parte del collegio cardinalizio, avrebbe causato l’elezione di un secondo papa, l’antipapa Clemente VII, che avrebbe posto la sua residenza ad Avignone. Nel tentativo di risolvere la grave crisi del mondo cristiano, si dichiarò un’ulteriore ala contestatrice, che nel 1409 nel Concilio di Pisa avrebbe eletto un terzo successore di Pietro nella persona di Alessandro V, cui immediatamente successe l’antipapa Giovanni XXIII.

La teoria conciliare, allora, fu lo strumento adottato, al fine di ricomporre le tessere del complesso e conflittuale mosaico, nella convocazione del Concilio di Costanza da parte del Re dei Romani, Sigismondo di Lussemburgo. Con il decreto Haec sancta fu affermato la superiorità del Concilio sul papa e quindi il «papa di Pisa», Giovanni XXIII fu deposto per simonia, scandalo e scisma; il nuovo «papa romano», Gregorio XII abdicò grazie alla lettura della bolla, da lui firmata, con cui convocava il Concilio, mentre il «papa avignonese», Benedetto XIII, nonostante l’intransigenza dimostrata, fu deposto dal concilio, che ribadì, nel decreto Frequens, la superiorità della riunione ecumenica sull’autorità papale. L’11 novembre 1417, fu eletto papa Oddo Colonna, Martino V, che fu posto a capo del Concilio, chiusosi il 22 aprile 1418.

Martin Lutero, attaccando la Santa Sede, aveva risorto le motivazioni, che condussero Jan Hus ad essere condannato dal Concilio di Costanza, avendo ammesso la decadenza del pontefice se in stato di peccato mortale e avendo sostenuto la dubbia necessità di avere un capo visibile della Chiesa. Lutero rispose che non intendeva essere calunniato come ussita, pur apprezzando la liceità di alcune tesi del capo della setta. Johannes Eck, sicuro del suo trionfo, invocò la vendetta della Chiesa, trattando come ussita il Ribelle. La disputa di Lipsia contribuì grandemente a maturare le idee del Riformatore, che accoglieva alla sua causa la nobiltà e parte del popolo tedesco, mentre Roma mostrava l’esaurimento delle argomentazioni, tantoché, il 15 gennaio 1520, si rese necessaria la pubblicazione della famosa bolla papale Exsurge Domine, con la quale il Pontefice romano, Leone X: «per l’autorità ricevuta dall’Onnipotente Dio, e dai beati apostoli Pietro e Paolo, e per la nostra propria autorità, noi condanniamo e riproviamo tutti questi errori come contrari alla verità cattolica», scomunicava Martin Lutero.

Il 6 settembre 1520, l’Agostiniano scrisse un’ultima lettera al Papa, accompagnandola col trattato Della libertà dell’uomo cristiano, in cui espose la dottrina della fede che giustifica, e della carità che opera. Intanto, Federico il Savio si collocava sempre più sulle posizioni del Ribelle, mentre Erasmo da Rotterdam dichiarò che Lutero aveva l’unica colpa di aver posto la mano sulla triplice corona del Papa (padre dei Re, rettore del mondo, vicario di Cristo) e sulle usanze del clero corrotto. Lo Scismatico si rallegrò col pensatore, il quale lo consigliò di continuare la sua indefessa battaglia contro l’immoralità dei ministri della religione, moderando le invettive contro il Santo Padre.

La rottura definitiva con Roma fu sigillata col rogo acceso davanti la porta di Wittenberg dei decreti papali e degli scritti degli avversari cattolici: era il 10 dicembre 1520.

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