«Quando sarò capace d’amare» di Giorgio Gaber

Quando sarò capace di amare

probabilmente non avrò bisogno

di assassinare in segreto mio padre

né di far l’amore con mia madre in sogno.

Quando sarò capace di amare

con la mia donna non avrò nemmeno

la prepotenza e la fragilità

di un uomo bambino.

Quando sarò capace di amare

vorrò una donna che ci sia davvero

che non affolli la mia esistenza

ma non mi stia lontana neanche col pensiero.

Vorrò una donna che se io accarezzo

una poltrona un libro o una rosa

lei avrebbe voglia di essere solo

quella cosa.

Quando sarò capace di amare

vorrò una donna che non cambi mai

ma dalle grandi alle piccole cose

tutto avrà un senso perché esiste lei.

Potrò guardare dentro al suo cuore

e avvicinarmi al suo mistero

non come quando io ragiono

ma come quando respiro

Quando sarò capace di amare

farò l’amore come mi viene

senza la smania di dimostrare

senza chiedere mai se siamo stati bene.

E nel silenzio delle notti

con gli occhi stanchi e l’animo gioioso

percepire che anche il sonno è vita

e non riposo.

Quando sarò capace di amare

mi piacerebbe un amore

che non avesse

alcun appuntamento col dovere

Un amore senza sensi di colpa

senza alcun rimorso

egoista e naturale

come un fiume che fa il suo corso

Senza cattive o buone azioni

senza altre strane deviazioni

che se anche il fiume le potesse avere

andrebbe sempre al mare.

Così vorrei amare.

La canzone fu inserita nell’album «E pensare che c’era il pensiero», spettacolo in teatro registrato presso il teatro Vittorio Alfieri di Torino nel novembre 1994.

La rievocazione del mito di Edipo apre questo testo densamente poetico. Un’aspirazione l’amore, un desiderio ed una realtà così sconosciuta all’uomo, che continua ad interrogarsi sul vero significato: con «prepotenza e fragilità».

Sarebbe bello che la nostra donna potesse riempire i nostri silenzi, i nostri larghi spazi vuoti incontaminati, perché solo in questo modo la sua presenza non diventi soffocante e quindi contraria al libero accesso dell’amore.

E la mano, che tende verso un oggetto caro della propria stanza, diventi emblema di lei, perché anche lei, in passato, ha appoggiato le sue dita, su «una poltrona, un libro, una rosa» ed allora rintracciarvi le sue orme. Lei, nascosta in qualche angolo della stanza, vedrebbe lui accarezzare quell’oggetto e si sentirebbe toccare.

L’amore è «insemprarsi», laddove l’avverbio esprimesse l’«atempo» e quindi l’impossibilità di cambiare, proprio perché il tempo solo modifica ciò che è. Avvicinarsi al mistero, che avvolge l’essere umano, non con la potenza fredda dell’intelletto, ma col respiro, che è fonte di vita, di futuro, di speranza, di cambiamento. Amare per vivere.

E poi, fare l’amore; quell’atto, che perfettamente unisce, integra, avvolge, contamina uno nell’altro attraverso uno scambio misterioso di emozioni, che si consegnano poi, per sempre, alla memoria. In fondo, non bisognerà dimostrare di essere straordinari, poiché nell’ordinario scorgeremo lo straordinario, chiamato «amore». E dopo la celestiale condivisione, che stacca il corpo umano dalla dissacrante fisicità nell’esaltazione del gesto corporeo, scoprire che nel sonno si celi una vita nascosta, che a volte si manifesta coi sogni, e che vale la pena d’esser vissuta. Dormire non già, per riposare, ma per vivere quella parte nascosta di noi due, io uguale te; te uguale io.

L’amore non può chiamare il dovere, gesto della mente, condizione della tradizione, ciò che s’insegna, perché, in amore, non corrisponderebbe alla naturale esplorazione dell’altro attraverso di sé.

Mai più il dovere, che appartiene a chi non ama. L’amore non può contenere «sensi di colpa» (semmai per non aver amato troppo!), «rimorsi» (semmai per non aver amato troppo!). Si consumerebbe in un sano egoismo, poiché i due corpi sarebbero l’unione di ego più ego, che rimane ego, poiché confluirebbero le due essenze come un fiume, «che fa il suo corso» e che, naturalmente, nonostante i mille ostacoli, che potrebbe trovare sul suo tortuoso cammino, si getterebbe felice nel mare, annullando la sua essenza di fiume, per espandersi in qualcosa di grande e di assoluto come il mare, dove ogni goccia conserverebbe il suo passato, per vivere il presente nell’onda di tanti, altri miliardi di gocce.

Così vorrei amare.

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