Raffaello a Roma: le Stanze della Segnatura (prima parte)

«Ora appunto il Rinascimento italiano si manifesta in tutta l’infinita varietà del suo massimo splendore, che riluce non solamente nelle mille nuove forme della prosa e della poesia nazionale; ma ritrova la sua forza maggiore nelle arti del bello, le quali danno la propria impronta, determinano la cultura del secolo essenzialmente artistico. I nomi di Leonardo, Raffaello, Michelangelo bastano certo alla gloria d’un popolo, alla grandezza d’un secolo. Con le loro opere immortali, specialmente nella pittura, l’Italia arriva ad un’altezza cui nessun’altra nazione poté mai innalzarsi. E’ una bellezza che, come quella della scultura greca, non nasce due volte nel mondo, perché divenuta immortale, non si ripete né si riproduce. La culla, la grande scuola di questi artisti fu di certo Firenze; ma le loro opere più mirabili furono da essi compiute in Roma. Raffaello e Michelangelo vi ricevettero da Giulio II le loro grandi commissioni, e sotto il suo Papato compierono le pitture e le scultore più belle, che fecero di Roma un santuario dell’arte, al quale da ogni angolo della terra muovono in continuo pellegrinaggio i popoli civili1».

Nel settembre del 1508, Raffaello arrivò a Roma. Giulio II, anche per marcare la distanza fisica da, Alessandro VI Borgia, aveva ordinato la chiusura dell’appartamento del suo predecessore, ritirandosi al piano superiore, composto da camere dal soffitto basso, costruite al tempo di Niccolo V, affrescate solo relativamente. Il Pontefice affidò la completa rifacitura ad una schiera di grandi artisti: il Bramantino, Lorenzo Lotto, il Perugino, Baldassarre Peruzzi, Frederyk Ruisch, Luca Signorelli e il Sodoma. L’impegno iniziò nel 1508, quando Bramante, attendente alla costruzione della nuova basilica di S. Pietro, consigliò al Pontefice un giovane artista d’Urbino, suo concittadino, Raffaello Sanzio, impegnato in Firenze. Giulio II lo invitò a Roma, per affidargli, a titolo di prova, la decorazione della Camera della Segnatura, affrescata nella volta già dal Sodoma.

Le quattro pitture, che Raffaello realizzò sono stimabili nei quattro angoli della volta: La contemplazione dell’universo ossia l’astronomiaApollo vittorioso di Marsia, Adamo ed Eva, Il giudizio di Salomone.

L’astronomia è rappresentata in una figura in stile umbro – fiorentino, che si trova sopra il globo.

Nella Vittoria di Apollo, un nudo, in stile di Leonardo, incorona Apollo, elegante e raffinato secondo l’insegnamento del suo maestro, il Perugino, del Louvre, mentre Marsia probabilmente deriverebbe da una statua presente nel cortile del palazzo dei Medici, che oggi si trova agli Uffizi.

La Tentazione di Adamo ed Eva è una reminiscenza di un lavoro di Masaccio; Adamo ricorda le figure del cartone dell’episodio della guerra di Pisa di Michelangelo, mentre Eva, figura incantevole, ricorderebbe la Leda leonardesca.

Nel Giudizio di Salomone, vi è un’autocitazione, tratta dalla sua Deposizione: la donna inginocchiata, mentre il soldato, che si accinge a dividere in due l’infante, ricorda l’approccio figurativo di Leonardo.

Raffaello offrì il suo talento eclettico ed assimilatore, la perfezione giunta nella pratica artistica, sempre proclive alle più incantevoli armonie, ché colpì profondamente l’animo austero del Pontefice, che risoluto, licenziò tutti gli artisti, che lavoravano nelle Stanze, per affidarne a Raffaello la completa dipintura.

A Roma, l’artista avrebbe svolto l’ultima fase della sua produzione artistica nell’ambiente fisico, artistico ed intellettuale della Città eterna, gli effetti dei potenti e larghi contrasti di luce e di ombre, delle vaste distese, dei grandi orizzonti, delle sculture e pitture degnamente conservate. L’insieme delle sensazioni confermarono il senso del grandioso, che già gli aveva ispirato Firenze, destando poi l’ammirazione e l’entusiasmo per l’arte classica.

Roma, pur essendo ricca di pitture nelle chiese, grazie alla meritoria azione dei Papi, non possedeva una scuola regionale. All’interno dei palazzi del Vaticano, poteva ammirare i lavori del Botticelli, di Luca Signorelli, del suo maestro, il Perugino, e di tutti i grandi artisti della sua epoca e della precedente. In Roma, trovò i massimi rappresentanti delle scuole regionali italiane, dalle cui opere poté trarre nuovi insegnamenti, nell’assimilazione per una continua evoluzione e perfezionamento del proprio stile.

La corte papale era un cenacolo d’intellettuali ed il collegio cardinalizio brillava nella figure di Domenico Raffaele Riario (protettore di Michelangelo), il grande teologo Domenico Grimani, Giovanni De’ Medici (futuro Leone X), figlio del Magnifico, Ippolito d’Este (protettore di Ludovico Ariosto). La curia era compresa di personalità illustri, estremamente votate al culto dell’arte e della bellezza, che ben presto avrebbero frequentato il Raffaello, artista dedito alla cultura ed allo studio. Il cambiamento fu lento, graduale ma irrefrenabile e si scostò dai primi esperimenti gravidi nell’ambito umbro – fiorentino, che si sarebbero accesi della maestosità michelangiolesca.

Raffaello inaugurò il suo percorso romano con la dipintura delle quattro Stanze, di cui la prima è detta della Segnature, dove il Pontefice firmava i documenti papali ed usa quale biblioteca privata. I temi dipinti corrispondevano alle indicazioni lasciate da Niccolò V per l’ordinamento della Biblioteca di S. Marco a Firenze, perché trionfassero uniti il mondo pagano (Il Parnaso) e cristiano attraverso l’apoteosi della filosofia cristiana (La disputa del Sacramento) e profana (La scuola di Atene), delle scienze e delle lettere sacre e profane.

Nella parete verso le logge, L’allegoria della giustizia, personificata nella Forza, Prudenza e Rettitudine; Giustiniano che pubblica la Pandette; Gregorio IX che sancisce le Decretali.

Nella Seconda – detto dell’Eliodoro -, riservata alle udienze, Raffaello vi eseguì La cacciata di Eliodoro dal tempio. Quindi la Terza, ordinaria per il pranzo, dove l’artista vi eseguì L’incendio di Borgo ed, infine, l’ultima, detta di Costantino per il dipinto relativo, che fu ultimato, alla morte di Raffaello, dai suoi allievi.

Nella volta dipinse quattro quadri e quattro medaglioni (la teologia, la filosofia, la giustizia, la poesia), lasciando intatto la decorazione del Sodoma.

La disputa del Sacramento si trova nella vastissima lunetta della parete, divisa in due zone: la celeste, in cui sono rappresentate la gloria divina e la beatitudine nella Trinità, la Vergine e S. Giovanni Battista, i patriarchi, i profeti coi primi martiri, gli angeli maggiori e quattro piccoli angeli, che tengono aperti i quattro Vangeli; e la terrestre, attorno all’altare, sul quale risplende l’Eucarestia, i Padri della Chiesa, i Dottori, i taumaturghi, Pontefici, Cardinali, dignitari, umili credente, Dante, il Beato Angelico ed il Savonarola, i quali disputano e discutono tra loro.

Per Giorgio Vasari il componimento è «la dimostrazione del momento in cui la manifestazione della luce sopranaturale, che la Trinità ha riassunto nella Eucarestia, mette fine a tutte le controversie e fa susseguire alla ricerca la contemplazione».

Nella parte superiore, l’idealità del Paradiso è espressa nei canoni dello stile umbro – fiorentino, nella distribuzione simmetrica della composizione, nella morbidezza dell’ambiente e nell’intonazione chiara e luminosa del colorito.

La parte inferiore, in cui si evidenzia l’evoluzione dello stile, è più energica per contrasti di luce e d’ombra nel movimento delle figure, configurandosi come aspetti della scena umana.

In questa vasta pagina creativa, abbiamo la rappresentazione dell’espressione divina ed umana e, se la confrontassimo coll’ultima opera del periodo fiorentino, La deposizione, troveremmo evidenti tracce della sua evoluzione, avvenuta nel nuovo contesto artistico romano.

Di fronte alla filosofia cristiana, doveva aver luogo la filosofia pagana, che Raffaello creò nella Scuola d’Atene. Nel vestibolo a gradinate del grandioso palazzo della scienza, si sono dati convegno tutti i maggior filosofi e scienziati dell’antichità, raccolti attorno alle principali figure di Platone, rappresentante della filosofia speculativa ed Aristotele, scientifica, con cui divisero l’impero intellettuale del mondo. Si trovano l’uno vicino all’altro, al centro dell’assemblea perché sovrani della sapienza antica; Platone indica col braccio alzato il cielo, sede degli Dei e della sapienza divina; Aristotele invece gli mostra la natura, quale depositario dei misteri della filosofia.

Alla destra di Platone, la schiera dei suoi precursori e seguaci, dediti allo studio mediante la riflessione, base della filosofia speculativa: Socrate, Eschino, Alcibiade e Senofonte con parecchi giovani. Nella gradinata in basso, Pitagora, che scrive le tavole armoniche, osservato da dietro da Terprando e avanti Aristogene, teorici musicali; Epicuro, inghirlandato di pampini. Al centro Federico di Mantova ed accanto Francesco Maria della Rovere; Eraclito è appartato e riflette.

A sinistra di Aristotele, i suoi precursori e seguaci: Tolomeo, Zoroastro, Archimede, coi lineamenti del Bramante, traccia su una tavola i suoi problemi geometrici. Sulla gradinata, Diogene isolato da tutti ed all’angolo estremo, il pittore ha dipinto se stesso accanto al Sodoma.

Meravigliosa l’eufonia dei movimenti, la libertà, la naturalezza delle espressioni nella disposizione asimmetrica dei gruppi, su un effetto architettonicamente stabile, progettata dal Bramante, poiché ne mancherebbero i cartoni.

Raffaello mai avrebbe potuto riunire l’assemblea nei campi elisi, sotto il cielo, che doveva rimanere riservato alla Disputa del Sacramento, dove sarebbe stata rappresentata la Trinità e Dio creatore dell’universo.

La due pareti laterali sono divise in tre parti: la maggiore è a forma di lunetta e contiene l’allegoria della Giurisprudenza, mediante la rappresentazione delle sue facoltà ausiliare: la prudenza seduta tra la forza e la rettitudine. Le due minori lateralmente alla rispettiva finestra presentano la codificazione del diritto canonico, e del diritto civile.

La parte minore è dedicata alla poesia in ricordo di Omero il primo inserto mentre il secondo dell’Eneide di Virgilio, al di sopra dei quali il Parnaso, quale apoteosi della poesia antica e dei tempi nuovi. Apollo, attorniato dalle muse e dai maggior poeti, suona il violino all’ombra di alcune piante d’alloro, adagiato su una piccola altura, dalla quale sgorga un ruscello. Gli occhi sono rivolti al cielo e dallo sguardo trapela un’aria dolce ed ispirata; il suo corpo perfetto nella tensione muscolare è avvolto da un mantello rosso.

Calliope è alla destra del dio, raccolte le membra in una candida veste leggera e trasparente, adagiata mollemente, tiene la sottile tromba come uno scettro e volge la testa lontana, come ad inseguire la dolce melodia. Il gruppo composto da Melpomene, Tersicore e Polimnia presta gli stessi stilemi di forma e delicata bellezza in una raccolta, graziosa sentimentalità.

A sinistra di Apollo, Erato, seduta voltata verso il dio, contemplata all’incanto della visione; Clio, Talia, Euterpe e per ultima Urania, anch’esse con la grazia della genialità femminile.

Tra i poeti, osserviamo Virgilio, Omero, Dante e più in basso un gruppo aperto da Alceo, quindi Corinna, Petrarca, Anacreonte e Saffo, rivolta  indietro con vivace movenza. Dall’altro lato: Ariosto, Ovidio, Catullo, Tibullo, Properzio e più in basso il Sannazzaro, Orazio e Pindaro, seduto per contrappunto alla figura di Saffo. Risale la serenità emanata dai personaggi, sì nobili ed ideali nel loro aspetto, un’eufonia di piacevole incanto, sprigionata dalla colta ed eletta ispirazione del Raffaello, che consegnò freschezza, spontaneità e bellezza ideale all’opera. Nel Parnaso, sembra che l’artista sia magnificamente riuscito nel riassumere i contenuti delle varie scuole italiane con la bellezza dell’arte classica, ispirata al vero della natura in uno stile personale, nobilmente perfetto.

Nei quattro tondi, Raffaello v’introdusse delle allegorie; sopra la Scuola d’Atene, dipinse scienza o la Filosofia, ispirato dalla statuaria classica; sopra la Disputa, la fede o Teologia adottalo stile fiorentino; sopra alla Giurisprudenza la volontà cosciente o Giustizia, ispirato dal Perugino; sopra al Parnaso il sentimento ideale o Poesia, alle figuredel Parnaso. All’idealità dell’ispirazione si aggiunge un senso di grandiosità nell’atteggiamento e forme di nobile imponenza, frose ispirato dalla contemplazione della Cappella Sistina. In questa sala, si svolge eternamente vivo ed incantevole in ciclo di pitture meravigliose, testimonianza del pensiero e dell’alto idelale umanitario rinascimentale.

Compiuta la dipintura della Segnatura, l’attenzione di Raffaello si rivolse alla Stanza di Eliodoro, i cui soggetti furono scelti da Giulio II, perché illustrassero al meglio la sua potenza. Nella parete maggiore, la Cacciata di Eliodoro, cui assiste il Pontefice, allegoria della cacciata dei Franchi dall’Italia.

Il re Seleuco inviò Eliodoro a Gerusalemme, perché s’impossessasse del tesoro del Tempio; nonostante fosse stato informato dal Gran sacerdote della destinazione alle vedove ed agli orfani, se ne sarebbe impadronito, per allontanarsi dalla Città santa, quando un messo angelico lo disarcionò, sguarnendo il seguito.

Nello sfondo del quadro è disegnato il vestibolo del Tempio; sulla destra la cacciata di Eliodoro e del suo codazzo, nel mezzo dello spazio vuoto e alla sinistra le vedove e gli orfani atterrati ed il Pontefice, sulla sedia gestatoria, scortato dal personaggi dall’aspetto imponente. Nel fondo, si vee una folla scomposta e sotto la volta del Tempio, il Gran sacerdote rende grazie all’Eterno, inginocchiato dinanzi all’altare ed all’arca.

Nella composizione, ritroviamo la continuità e la contemporaneità di molti avvenimenti: la tragica cacciata del saccheggiatore, allo spavento vissuto dalle donne e dai bambini, la solenne apparizione del Pontefice ed il religioso raccoglimento del Gran sacerdote.

Raffaello dipinge una scena in movimento, sintesi delle varie fasi dell’azione di braccia e gambe alzate, del cavallo che scalpita, preso dai cartoni della battaglia di Anghiari di Leonardo, dell’azione violenta dei messi angelici, emanazione diretta da Melozzo da Forlì e Luca Signorelli. Lo stile della Scuola di Atene ci appare ancor più solenne e grandioso, influenzato dalla crescente ammirazione di Raffaello per l’ambiente di Roma e per l’arte classica espressa nelle potenti forme da Michelangelo.

In una delle pareti laterali minori, troviamo l’affresco del Miracolo della messa di Bolsena (1512). L’evento accadde nel 1263, quando un sacerdote, arrivato all’attimo della transustanziazione si bagnò di sangue le mani, il cui significato avrebbe tanto giovato alla popolare pietà. Sulla cornice superiore della sinistra, un’altare accoglie il celebrante, sul lato opposto Giulio II inginocchiato; ai lati discendenti della finestra, i cardinali, gli sediari ed il popolo.

Giorgio Vasari illustra che in questa pittura «si vede al prete, mentre che dice messa, nella testa infocata di rosso, la vergona che egli aveva nel veder per la sua incredulità fatto liquefar l’ostia in sul corporale, e che spaventato negli occhi e fuor di sé smarrito nel cospetto dei suoi uditori, pare persona inrisoluta: e si conosce nell’attitudine delle mani quasi iol tremito e lo spavento che si suole in simili casi avere2».

Nella Messa, notiamo un colorito più vigoroso rispetto a quello studiato dall’artista in Venezia nelle opere di Fra Bartolomeo, poiché l’imitatore di Giorgione, Sebastiano del Piombo, lavorava in Roma intento allo studio delle opere di Michelangelo, ed il Raffaello ne trasse spunto nel senso naturalistico e pittorico nei ritratti.

(1) Pasquale Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi. Volume II, pag. 2 e seg. Milano Hoepli.

(2) Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori: Raffaello d’Urbino, pag. 617 e seg. Letteratura italiana Einaudi Torino 1986.

Pubblicità

4 pensieri riguardo “Raffaello a Roma: le Stanze della Segnatura (prima parte)

  1. La vita di Raffaello mi ha sempre molto affascinato; qualche mese fa ho anche visto la trasmissione tv di Alberto Angela in cui questo dipinto è stato ben spiegato, illustrando, come benissimo hai fatto anche tu, tutti i personaggi con le loro sfaccettature.

    1. Ti ringrazio per il messaggio e le belle parole. Amo anche io Raffaello e mi chiedo come mai molti di noi non stimino la sua arte al pari di Caravaggio o Leonardo

      1. Non ne ho idea, purtroppo! Forse perchè è meno “mainstream” consentimi il termine.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo:
search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close