Lo studio degli effetti prodotti dall’ascolto musicale sembra esser nato presso i Greci, contemporaneamente alla dottrina armonica e ritmica, dedotti dalla pratica degli artisti. Il poeta lirico Laso (VI secolo a. C.) scrisse una prima dissertazione sulla musica, trattando gli effetti morali sull’azione psichica prodotta dall’ascolto dei diversi tipi di melodie e di ritmi.
L’estetica musicale occupa un posto assai importante nella speculazione di Aristotele, il quale non si sarebbe limitato a commentare la dottrina tradizionale dell’ethos delle armonie e dei ritmi, ma allargò la ricerca agli aspetti tecnici. Gli ultimi cinque capitoli dell’VIII libro della «Politica» rappresentano un vero trattato sull’uso della musica nell’educazione della gioventù. Egli non si preoccupa dell’aspetto simbolico, tanto caro ai pitagorici, cui avrebbe aderito Platone, delle divagazioni cosmogoniche dei corpi celesti oppure sulla creazione armonica dell’universo, ma proclama il primato della musica in funzione educativa, assegnando, alle diverse forme della creazione musicale, l’espressione legittima delle aspirazioni della natura umana.
Dalla scienza medica, trae origine il lemma «catarsi», quale consolazione momentanea per lo spirito grazie alla crisi dell’emozione seguita da una deliziosa sensazione di liberazione.
Scrive nell’VIII libro della «Politica»:
«La musica non deve mirare al solo fine dell’utilità, ma a parecchi scopi. In primo luogo essa contribuisce al miglioramento morale, in secondo luogo procura la catarsi, e questo effetto curativo a sua volta, può servire al più alto godimento ideale o semplicemente a uno sfogo salutare dello spirito dopo la sforzo. E perciò si deve ammettere l’uso di tutti i tipi melodici non volti tutti agli stessi fini. Alla cultura morale e all’esercizio personale saranno riservate le cantilene che meglio esprimono lo stato d’animo di un uomo virtuoso; per la catarsi, risultante dall’audizione del suono o del canto altrui, si potranno adoperare le melopee attive e quelle entusiastiche, poiché i mali psichici hanno bensì grandissima intensità presso alcuni, ma esistono in tutti; e la differenza è soltanto del più al meno. E così specialmente del terrore e della pietà. Ugualmente dicasi dell’entusiasmo, sentimento verso il quale molte persone sono attratte. Ora noi constatiamo, grazie alle melodia sacre (di Olimpo), che tali persone, quando si sentono penetrate dagli accenti che danno all’anima l’estasi sono poi ricondotte alla calma, in modo che la catarsi opera in esse così come una cura medica. Identico effetto deve prodursi nell’anima di coloro che sono inclini al terrore, a una compassione esagerata, e in generale in coloro che naturalmente son propensi a lasciarsi interamente invadere da una passione. Diciamo pure che il fenomeno avviene, fino a un certo punto, presso la totalità degli uomini, perché tutti possono subire tale cura medica e trovare tale alleggerimento accompagnato da piacere. Così come le melopee entusiaste quelle attive procurano una gioia inoffensiva. E però si deve permettere ai virtuosi, esecutori del concerto o del teatro, la pratica di questa categoria di armonia».
Nella «Poetica», le affermazioni sull’estetica musicale del filosofo non ci trovano del tutto d’accordo.
«L’essenza di qualsiasi arte è l’imitazione (mimesi) che mira a riprodurre impressioni estetiche. Due cause hanno generato le arti in generale e le arti musiche in particolare. La prima e principale causa è la tendenza innata negli uomini verso l’imitazione estetica; infatti,l’uomo, dall’infanzia, imita per istinto. Con l’imitazione esso prende le sue prime lezioni; una delle caratteristiche che lo distinguono dagli altri animali è appunto la facilità nell’imitazione. La seconda causa del progresso artistico è la facoltà che in generale hanno gli uomini di compiacersi nelle riproduzioni create dell’arte. Le sensazioni che tali riproduzioni provocano sono speciali e si distinguono nettamente da quelle prodotte dalla realtà; lo spirito conserva nettamente la coscienza del loro carattere illusorio. Infatti una riproduzione riuscita ci affascina e c’incatena mentre l’oggetto reale ci è estrane, perfino antipatico.
Mentre la pittura, la scultura, volgendosi all’organo della vista, imitano le forme, gli oggetti esteriori e le persone con l’aiuto dei colori e delle forme, le arti musiche (poesia, musica e danza), che agiscono a mezzo del senso dell’udito, imitano gli stati d’animo (Ete), gli aggetti (Pate) e le azioni (Praxis), con l’aiuto del ritmo, della parola e della successione melodica. Dall’uso ora simultaneo, ora isolato di questi tre mezzi d’imitazione nascono le diverse classi di produzioni artistiche. L’unione del ritmo e della successione melodica, senza la paro,a fa sorgere la musica strumentale (auletica, citaristica, sinaulia). Il ritmo solo, reso visibile dal gesto, è attuato nella danza pantomima, transizione delle arti plastiche all’arte musicale. La combinazione della parola e del ritmo, restando esclusa la melodia, genera la poesia semplicemente recitata, epica o didattica. Infine, il mescolarsi di tre mezzi d’imitazione avviene in qualsiasi musica vocale: nomos, ditirambo, canti della tragedia e della commedia».
Per Aristotele, lo scopo comune di tutte le arti è la ripresentazione, così il musicista e il poeta hanno l’angusto compito di riprodurre in assenza dei loro sentimenti gli stati d’animo, i movimenti passionali, gli atti di personalità nettamente distinte dalla loro: «Gli artisti imitano coloro che agiscono».
Accanto al nomos, al ditirambo, alla tragedia, anche le composizioni strumentali sono catalogate, così come la poesia, le composizioni strumentali possono «dipingere gli uomini o migliori o peggiori di quanto lo sono nella realtà». Le impressioni psichiche, prodotte dall’ascolto, non sembrano significare molto, mentre i ritmi e le inflessioni sonore non sembrerebbero meno precise delle parola.
«Esistono delle melodie – scrive nella Politica – riproduzioni reali della collera, della bravura, della continenza e in generale di tutti i caratteri epici».
Aristotele sembri che individui un godimento intellettuale nell’ascolto musicale, consistendo il piacere estetico nella piena comprensione dell’idea del compositore, nel seguire il successivo sviluppo e nel constatare l’accento giusto e il movimento caratteristico del sentimento espresso.
Platone nelle «Leggi» illustra che in una determinata epoca soltanto i competenti avrebbero potuto pronunciarsi sule merito delle produzioni musicali. «I fischi e i clamori della moltitudine, gli applausi non erano alloca come ai nostri giorni i giudici che decidevano se la regola era stata bene osservata e che punivano coloro che la violavano. Questa missione apparteneva invece a uomini esperti della scienza musicale; essi ascoltavano in silenzio fino alla fine, tenendo in mano una bacchetta che bastava a imporre rispetto ai ragazzi, ai loro precettori, a tutto il popolo».
Oggi, invece, i compositori sono giudicati dal pubblico, che oltretutto interviene anche sul merito degli esecutori.
Chissà se tornasse in vita Platone cosa scriverebbe.