Nell’Italia teatrale del Settecento, la capacità tecnica di tanti bravi attori teneva alta l’attenzione del pubblico per la Commedia dell’Arte. Se una parte d’Italia «era annoiata di veder sempre la cosa istessa, di sentir sempre le parole medesime, e di sapere cosa deve dire l’Arlecchino prima che apra la bocca1», dall’altra non era certo facile vincere le naturali resistenze dei capocomici di cambiare radicalmente l’approccio alla professione.
«Le commedie di carattere hanno scombuiato il nostro mestiere. Un povero comico che ha fatto il suo studio secondo l’arte, e che è uso a dire all’improvviso bene o male ciò che gli viene alla bocca, trovandosi in quella di studiare a memoria, e recitare la sua parte, se è uomo di fama, bisogna che vi pensi, che si lambicchi a studiare, e che pur frema ogni volta che si da una commedia nuova, dubitando di non saperla quanto basti, e di non isdebitarsi come conviene2».
La riforma del gusto, attraverso le rappresentazioni delle commedie goldoniane, aveva iniziato ad intaccare le parti alte della società, per poi discendere verso gli strati più bassi della popolazione. Il Goldoni avrebbe ridotto le Maschere, ancora tanto apprezzate, a meri ruoli di contorno, cassando ogni espressione volgare, che certo pubblico gradiva. I suoi propositi riformistici incontrarono, sin dalla prima apparizione la cattiva ostilità delle Compagnie di teatro, come racconta egli stesso in occasione della presentazione del suo primo lavoro, l’«Amalasunta» (1732) a dei Comici:
«Io mi accingo alla lettura, e annunzio il titolo di Amalasunta. Caffariello (capocomico) canta il termine di Amalasunta, e gli par lungo e ridicolo; tutti ridono, non rido però io. grida allora la signora, e il rosignuolo tace. Leggo i nomi dei personaggi, che nella mia composizione erano nove; ad un tratto si sente una vocina, che si partiva dala bocca d’un vecchio, il quale cantava nei cori, e gridava come un gatto: troppi, troppi; vi sono almeno due personaggi di più. Vedevo bene di essere in cattive circostanze, e volevo desistere dalla mia lettura; ma il signor Prata fece tacere l’insolente.
Riprendo dunque la mia lettura. Atto primo, scena prima; Clodesilo e Arpagone. Ecco il signor Caffariello che mi donada quale sia il nome del primo soprano dell’opera. Signore, io gli dissi, è Clodesilo. Come! Egli rispose, voi fate aprir la scena dal primo attore, e lo fate comparire nel tempo in cui vien la gente, cerca posto, e fa lo strepito? Per Bacco! Io non sarei vostro primo uomo davvero. (Che pazienza!). Il signor Prata prende la parola, e soggiunge: vediamo se la scena è interessante. Leggo la prima scena, e mentre recito i miei versi, un vile impotente trae di tasca un rotolo di fogli di musica, e va al cembralo per ripassare un’aria della sua parte3».
Compresa la terribile versione, in cui era costretto il teatro, il Goldoni improvvisò delle orditure o canovacci da recitare a soggetto, sperando che qualche comico, incuriosito dallo scritto, si fosse impegnato a studiarlo. Le maggiori difficoltà il Goldoni le avrebbe incontrate nella trattazione dell’argomento, nella trama, nel disegno dei personaggi e nella catastrofe finale; insomma la battaglia era solo agli inizi.
Successivamente la critica goldoniana avrebbe diviso la produzione del Veneziano in quattro sezioni: le famigliari, le romanzesche, le eroiche e le popolari. Nelle famigliari, si sarebbe sforzato di manierare la scrittura della Commedia dell’arte; nelle romanzesce ed eroiche, espungere il carattere fantastico e meraviglioso, proprio della letteratura soprattutto Secentesca; nelle popolari, produrre la commedia domestica, dei costumi degli uomini, così come immaginata dalla sua fantasia. Nei primi tre generi, si trovano i difetti presenti nel teatro a lui contemporaneo e, nello stesso tempo, delle blande correzioni di stile, al fine di educare un poco alla volta il gusto corrotto del pubblico. Quando giunse coscienziosamente ad essere arbitro assoluto della scena, l’ingegno del Goldoni trovò la sua massima realizzazione nelle commedie popolari, dove mostrò le meraviglie dei tesori accumulati nell’esposizione dei dialoghi, nella bellezza dei colori e nella verità del ritratto. Così da un semplice fatto di cronaca, riuscì a trarre una serie d’incidenti graziosi, atti a risvegliare il sorriso con eleganza, animando la scena con un gruppo di persone, che occupano un piccolo quadro. Grazie alla perfetta tecnica descrittiva, riuscì ad incatenare gli spettatori al palcoscenico, i quali più volte si sarebbero recati a teatro, al fine di ridere, ancora una volta, davanti al medesimo fatto recitato.
Il letterato Gaspare Gozzi osservò a proposito dei «Rusteghi»:
«Notabile è soprattutto nei Rusteghi una cosa, che a me par nuova e potrebbe forse stabilire una nuova regola nell’arte comica. Tutti quei poeti che hanno fino a qui imitato un carattere, ne vestirono un solo personaggio. Euclione in Plauto, ed Arpagone nel Molière, sono i soli avari nell’Aularia e nella commedia francese. Da ciò nasce spesso una cosa non conveniente; e ciò è, che volendo il poeta in tal caso far vedere più facce e diversi aspetti del carattere imitato, dee quasi di necessità tirare qualche scena coi denti, per mettere il suo personaggio in una novella situazione, e toccar, per così dire, del suo carattere le varie corde. Nella presente commedia quattro sono caratterizzati Rustici, onde le situazioni nascono e gemogliano da sé facilmente, ed un medesimo carattere, compartito in quattro uomini, ha quattro gradi e quattro aspetti diversi, che non violentati si affacciano agli uditori con varietà più grata…».
La tecnica dei «Rusteghi» fu usata anche per altre commedie, confermando la felice scelta di caratterizzare tutte le persone del dramma. Alcuni pungenti attacchi il Goldoni li ebbe a soffrire anche per questo tipo di scelta espressiva, condannata ad essere ripetitiva e scontata in assenza di varietà nel racconto drammatico, affidato a personaggi portanti lo stesso nome ed alle stesse Maschere.
Non discutiamo della giusta validità di alcune critiche; rammentiamo che il Goldoni fu figlio del popolo degli artigiani, dei pescatori, che si nutrivano anche di pettegolezzi domestici, diverbi tra i mercanti e del cicaleccio delle anticamere. Il Veneziano trasse allora spunti, al fine di rappresentare l’intima realtà, mentre, entrando nelle sale dorate, nelle lussuose villeggiature, colse la dissimulazione, l’amore corrotto, la menzogna, presenti nelle commedie, fornendo una tinta uniforme. Vi è assenza di caratteri maschi e ben disegnati, amanti della virtù, e quindi in grado di riconciliarsi colla razza umana, nonostante le debolezze del genere. Raccontò di un vecchio, che rovina la famiglia per il possesso delle anticaglie; di un poeta fanatico e di pessimo gusto; la vedova, che ancora credendosi bella e non soprattutto ricca, tiene a bada più spasimanti; la figliuola che inganna il babbo e la matrigna. Insomma, egli dipinge il vizio, insinuato nell’uomo, che si nasconde sotto la buona educazione di facciata.
Il Goldoni fu autore di un numero enorme di drammi (centocinquanta circa), molte delle quali scritte di getto, tanto da meritare la critica di Carlo Gozzi, che, nell’arrogante Prefazione delle sue «Fiabe», pur riconoscendo il Veneziano quale «genio capace di fare a sé medesimo ed all’Italia nel comico genere un onore immortale», rimarca con acrimonia la generale mancanza di una solida cultura del Commediografo, condannato a scrivere servilmente per troppi lavori, tanto da compiangerlo, perché il suo ingegno fu così mal servito.
A proposito dell’incompleta preparazione culturale del Goldoni, lo stesso Commediografo ne accenna nelle «Memorie», tantoché si sarebbe trasferito in Toscana, dove, anziché rivolgersi ai classici, avrebbe preferito frequentare i mercati e le officine.
Nonostante l’uso improprio della lingua, alcune commedie, ancora oggi, riescono a stregare gli spettatori, colpiti dai contorni ben definiti dei personaggi, tali da essere confusi con la realtà posta sulla scena. Le sue commedie sappiamo bene che, ad onta dell’ingegno poetico, non riuscirono perfette, ma riuscì nell’intento di riformare il teatro, indicandone la via del vero, mentre i suoi successori si accomodarono, raccomandandolo al contesto storico della sua età.
(1) CARLO GOLDONI. Il teatro comico. Atto Primo.
(2) CARLO GOLDONI. Il teatro comico. Atto Secondo.
(3) CARLO GOLDONI. Memorie.