Il celebre letterario immagina di rivolgersi ad un giovane aspirante scrittore, consigliandolo nell’arte di scrivere, dove avrebbe trovato «piacere quanto in nessun’altra; e dilettevolissima è la stessa fatica d’impararla». Egli gioverà agli uomini presso cui potrà ben presto assumere gloria imperitura.
Per ben scrivere, si deve ben pensare, al fine di «ben esprimere i nostri pensieri». E’ necessario un severo studio, che si conserverà per l’intera esistenza, per poter padroneggiare gli strumenti della scrittura: la lingua ed i pensieri, coi quali saremo in grado d’indurre all’arte del pensiero gli uomini.
Un testo, che dovrebbe essere lungamente meditato è «Etica» di Giacomo Stellini, diviso in quattro tomi, che racchiude «il meglio dell’antica e della moderna sapienza», oggi piuttosto dimenticato.
«Tutto lo scrivere sia nella lingua, e nello stile; due cose diversissime, egualmente necessarie». Quindi il Giordani esplicita che la lingua riguarda i singoli vocaboli («i colori di questa pittura»), con cui si costruiscono le frasi, «segni delle idee», che sono distribuite attraverso lo stile («il colorito»), il quale si perfezionerà coll’esercizio. Mentre la lingua sarà appresa dagli scrittori italiani, nei greci si troverà lo stile.
Secondo il Giordani, nel Cinquecento si commise l’errore di assumere lo stile dalla lingua latina («dove il latinismo nell’italiano è duro e pedantesco»), anziché greca, nonostante fossimo più prossimi al mondo greco, «sebben vedo che pochissimi se ne accorgono». Il «perfetto e ottimo scrittore d’Italia sarà quegli che figurerà ne’ bei modi greci come nel poterla esprimere». Quindi sprona il novello scrittore a costituire delle regole sicure, per scrivere, aprendo «gli occhi, e il cuore, e l’intelletto alla pittura». Poiché non esisterebbe un vero insegnamento nella scrittura, sarebbe consigliabile lo studio di alcuni volumi di grammatica e d’eloquenza, anche per assumere uno stile filosofico, «gran virtù di eccellente scrittore».
Lo scrittore deve conoscere la storia d’Italia, rintracciabile in diverse enciclopedie, perché tra i compiti di chi scrive c’è anche quello di «contribuire, per quanto può l’ingegno, al miglioramento della sua nazione».
Un autore assai importante fu Brunetto Latini, vero enciclopedista del suo secolo e prima di dedicarsi alla lettura dell’opera di Dante, osservare bene altri Commenti anteriori allo scrittore fiorentino, di cui si dovrà studiare la «Vita nuova», il «Convivio» e le «Rime» ed allora «entrerai nelle sue cantiche; le quali sono libro da rileggere per tutta la vita». La ricchezza di Dante passa per «la gran copia e proprietà di vocaboli, in che vince tutti insieme gli altri scrittori; e per la vaghezza ed efficacia dei modi; e per la spontaneità dello stile».
«Di tante opere ti raccomanderò una sola: i quattro volumi delle Vite de’ Santi Padri, volgarizzate da Domenico Cavalca: le quali per me sono la più perfetta prosa del trecento […] Anche l’operetta de’ Fioretti di San Francesco, ha mirabili grazie di stile. […] In somma de’ trecentisti quanti ne leggerai, tanto guadagnerai di buonissima lingua. […] Devi certamente leggere tanto le poesie quanto le prose del Boccaccio; che sono tutte ricchissime di squisita lingua», seppur ci si debba astenere dall’imitarne lo stile, poiché innaturale e poco scorrevole.
Letti tutti gli autori greci, «ora che sai bene la vera lingua italiana (della quale tanti parlano, e per dio non la sanno) potrai intendere quel che ti dissi della mirabile corrispondenza che è tra lei e la greca»; da Omero a Demostene tutti gli autori potrebbero essere presi a modello. Leggendo e traducendo i Greci «imparerai che cosa sia semplicità, abbondanza, grazia, varietà, precisione, chiarezza, eleganza, vigore, armonia di stile: e non ti bisognerà imparare nient’altro da altri».
Passando agli autori latini, il Giordani rammenta l’abbondanza eleganza di Cicerone, l’affettuosa eloquenza di Tito Livio, la gravità e la forza di Tacito («che studiò a lungo Cicerone»). Si dovrà primieramente iniziare dall’originale, per poi servirsi dei traduttori. Da Virgilio «imparerai un gran decoro di frase sempre nobile, e spesso affettuosa, dignità e grazia in Orazio, copia amabile in Ovidio, sdegni magnanimi in Lucano e Giovenale».
Meditate, scrittori, meditate!