«Ad ogni ora l’ansietà di vederti mi cresce; e provo di tratto in tratto soffocazioni ardenti.
Non so più dirti altro che questo: – Ti desidero! Ti desidero! Ti desidero. Tutto il sangue, tutta la carne, tutto l’essere mio dalle profonde radici ti chiama e ti vuole.
Chiuso in questo cerchio di fiamma, io non ho sensi per altre cose. Non vedo più nulla, non odo più nulla. Sono assorto nella contemplazione del mio congiungimento con te; e l’imagine interiore è così evidente ch’io talvolta provo impeti folli di gridare, di gittarmi a terra, di farmi male, per attutire l’orgasmo.
Oh, le carezze!
Io non ne posso più. Quanti secoli ancora per arrivare a martedì? Quanti?
Come tutte le rappresentazioni delle passioni mi pajono pallide in confronto a quello ch’io provo!
E tu? Mi aspetti, furiosamente, così?
Addio. Voglio che tu ti strugga sotto il mio bacio.
Pescara, 16 febbraio 1890».
L’ansia! Terribile amica di chi ama, di chi soffre per la lontananza, che porta via con sé ogni certezza. L’amore teme di perdersi nelle spire del tempo ed allora ecco l’ansia, che egoisticamente s’impossessa dell’innamorato, solo con l’angoscia. E così aumentano i battiti del cuore, che ama, ed improvvisamente si rischia di morire sotto i tormenti di questa terribile nemica.
A volte, non si trovano parole esatte, per comunicare i propri moti interiori, perché sono tali: incomunicabili ed allora ci si rifugia dietro parole, dette da quando esiste l’uomo, nato e dannato per amore. Il desiderio; il desiderio di cosa? Il terribile desiderio di lei, della sua carne, dove è impressa la stigmata dell’innamorato. Il desiderio ha radici profonde, che vanno ricercate in quel fantastico impasto di energie divine, con cui la nostra carne è formata. Ed un solo pensiero sembra stringere la causa divina all’effetto della materia: il desiderio, per essere appagati, sfiniti, esauriti, senza più forze, in totale e perenne abbandono a quell’oscuro eterno: l’amore.
E l’amore brucia come una fiamma inestinguibile, brucia le carni, brucia le emozioni, per eternizzare quell’istante di divina follia. A questo terribile gioco, i sensi perdono le loro iniziali funzioni, perché soggiogati, asserviti a quell’attimo divino, tanto da arrivare a contemplare: parola mistica. Stare nel tempio, essere nel tempio; nel tempio del dio Eros, figlio di Venere, dove avvenne l’unione dei due corpi, la loro contaminazione, il profluvio di odori.
Immagini vere, immagini ricordate, immagini immaginate.
I due corpi nudi nel tempio di Venere.
E così l’orgasmo non è liberazione, ma esplosione di umori, deliri, grida, parole smozzicate, espressioni intraducibili.
Nel ricordo di quei momenti, nulla al mondo sembra il soffrire, il morire, star male e piegarsi sulla propria anima. Solo l’uomo, che ama conosce il dolce soffrire dell’aspettare il suo benefico ritorno.
E lei? Come vivrà la lontananza? L’assenza?
Addio. Voglio che tu ti strugga sotto il mio bacio.