Dagli schermi di casa un signore raffinato
e una rossa decisa con il gomito appoggiato
ti danno il buongiorno sorridendo e commentando
con interviste e filmati ti raccontano a turnoa che punto sta il mondo.
E su tutti i canali arriva la notizia
un attentato, uno stupro e se va bene una disgrazia
che diventa un mistero di dimensioni colossali
quando passa dal video a quei bordelli di pensieroche chiamano giornali.
Ed ogni avvenimento di fatto si traduce
in tanti “sembrerebbe”, “si vocifera”, “si dice”
con titoli ad effetto che coinvolgono la gente
in un gioco al rialzo che riesce a dire tuttosenza dire niente.
Lasciateci aprire le finestre,
lasciateci alle cose veramente nostre
e fateci pregustare l’insolita letiziadi stare per almeno dieci anni senza una notizia.
In questo grosso mercato di opinioni concorrenti
puoi pescarti un’idea tra le tante stravaganti
e poi ci sono le ricerche, tanti pensieri alternativi
che ti saltano addosso come le marche
dei preservativi.
E c’è un gusto morboso del mestiere d’informare,
uno sfoggio di pensieri senza mai l’ombra di un dolore
e le miserie umane raccontate come film gialli
sono tragedie oscene che soddisfano la fame
di questi avidi sciacalli.
Lasciate almeno l’ignoranza
che è molto meglio della vostra idea di conoscenza
che quasi fatalmente chi ama troppo l’informazione
oltre a non sapere niente è anche più coglione.
Inviati speciali testimoniano gli eventi
con audaci primi piani, inquadrature emozionanti
di persone disperate che stanno per impazzire,
di bambini denutriti così ben fotografati
messi in posa per morire.
Sarà una coincidenza oppure opportunismo
intervenire se conviene forse una regola del giornalismo
e quando hanno scoperto i politici corrotti
che gran polverone, lo sapevate da sempre
ma siete stati belli zitti.
Lasciateci il gusto dell’assenza,
lasciatemi da solo con la mia esistenza
che se mi raccontate la mia vita di ogni giorno
finisce che non credo neanche a ciò che ho intorno.
Ma la televisione che ti culla dolcemente
presa a piccole dosi direi che è come un tranquillante
la si dovrebbe trattare in tutte le famiglie
con lo stesso rispetto che è giusto avere
per una lavastoviglie.
E guardando i giornali con un minimo di ironia
li dovremmo sfogliare come romanzi di fantasia
che poi il giorno dopo e anche il giorno stesso
vanno molto bene per accendere il fuoco
o per andare al cesso.
l’aria.
Il testo celebra, attraverso Enrico Mentana e Lilli Gruber, principali rappresentanti dell’informazione RAI e Mediaset degli anni ‘80, il racconto di fatti di cronaca nera, per creare così, a poco a poco, un crescente e morboso interesse da parte del pubblico, al fine di distrarlo dalle manovre del Potere.
Il vizio dell’informazione consterebbe nel non significare in pieno l’evento, ma ponendolo edulcorato, mentendo e smentendo, confermando e sconfessando, per creare il caos nella testa di chi ascolta.
I media vorrebbero così condizionare l’ascoltatore, in modo tale che non senta la necessità di acuire il senso critico, ormai depotenziato, avvilito dal diluvio di notizie, che pretendono, oltremodo, di suggerire spudoratamente che cosa pensare; la società contemporanea sta mercificando anche le idee.
Coglie l’indifferenza, con cui sono trattate le notizie, come se non raccontassero la vita, ne fossero completamente avulse; ormai l’uomo è un numero.
Sarebbe salutare che l’uomo fosse molto meno televisivo, per conservarsi umano, meno rimbambito dall’offerta, per creare sinteticamente una domanda, che non c’è. Invece, la spettacolarizzazione degli eventi, che calpesta ogni delirio umano, al fine di stregare e drogare chi ascolta. E quel giornalismo, che è sempre a caccia di notizie, si mostra poi sorpreso, quando un politico ruba, mostrando per intero la propria ipocrisia. Insomma: i media vedono dove vogliono vedere.
L’uomo avrebbe bisogno del silenzio, per pensare (ammesso che ne abbia conservato la capacità) ed invece i media pretenderebbero anche di raccontare la vita di ciascun ascoltatore, per disincantare l’uomo dal luogo dove vive: ecco la nuova guerra da combattere.
Il mezzo televisivo dovrebbe invece essere considerato come un elettrodomestico, usandolo quando serve e non 24 ore.
I giornali in fondo non sono così diversi; sembrerebbero scritti dal medesimo cervello, perché uniformati al verbo televisivo.
C’è un’aria, che manca l’aria.