«Ercole e Lica» di Antonio Canova

Nel 1795, il maggiordomo del Re di Napoli, Onorato Gaetani dell’Aquila d’Aragona, commise al Canova un gruppo scultoreo, poiché era rimasto felicemente sorpreso dal precedente «Adone e Venere» (1794), in cui aveva trionfato la grazia esecutiva del Canova, seppur presso certa critica indice di mollezza effeminata.

Finalmente lo Scultore poté cogliere l’occasione, al fine di dimostrare a quei scettici la capacità di esprimersi anche in un soggetto tragico: «Ercole e Lica». Il colosso sarebbe stato poi collocato presso il giardino domestico del committente, coronando il fastoso matrimonio con Donna Gaetana Caracciolo, Duchessa di Miranda, che sarebbe stato celebrato il successivo 25 marzo 1797.

Nell’aprile del 1795, lo Scultore tornò a Roma, mettendosi al lavoro, al fine di realizzare un piccolo bozzetto in cera, cui sarebbe seguito un modello in gesso e poi, in tre anni, la realizzazione finale in marmo. Il lavoro di edificazione procedette a singhiozzo, con una pausa lunga addirittura un anno e mezzo, essendo il Canova impegnato in altre realizzazioni.

Intanto, nel 1796, arrivò Napoleone in Italia con le sue armate, invadendo Roma ed ordinando all’esercito di saccheggiare i tesori d’arte del Vaticano. Dopo due anni, Pio VI fu costretto all’esilio, essendo stato dichiarato caduto il potere temporale della Chiesa, perché fosse proclamata la Repubblica Romana.

Canova non sopportò affatto tutti quegli stravolgimenti, abituato alla condizione di cattolico osservante, anche se nominato membro del più importante organismo culturale: l’Institut National, decise di abbandonare la Roma repubblicana e, nel maggio del 1798, riprese la via del Veneto. I Francesi, che presero allora possesso dello studio, quando videro il modello dell’«Ercole», lo interpretarono come la Francia (Ercole), che scaglia l’antico regime (Lica).

Canova iniziò intanto un giro culturale europeo, che lo portò a visitare numerose città austriache e tedesche; quindi tornò a Venezia, per addestrarsi alla modellazione di piccoli bozzetti.

Il 23 ottobre 1798, il Regno di Napoli entrò in guerra coi Francesi, appoggiati dalla flotta inglese, comandata dall’ammiraglio Nelson, collo scopo di restituire Roma al Papa, che fu conquistata il 29 ottobre coll’ingresso nella Città Eterna di Ferdinando IV. I Francesi si riorganizzarono, sbaragliando l’esercito napoletano presso Civita Castellana il 5 dicembre 1798.

Onorato Caetani, il committente dell’«Ercole», spaventato dalla realtà bellica, scrisse al Canova che avrebbe rinunciato al colosso. Il 5 aprile 1799, l’esercito austriaco sconfisse le truppe francesi a Magnano, ed i Veronesi esultarono, deliberando l’elevazione di un monumento a celebrazione della sentita  e gradita vittoria. Allora lo Scultore pensò di consegnare a Verona l’«Ercole e Lica» nell’interpretazione della licenziosa libertà (Lica), scagliato da Ercole, simbolo dell’ordine imperiale austriaco. L’impedimento al progetto arrivò dall’imperatore austriaco Francesco II, al fine di limitare le spese previste.

Nei primi giorni di settembre, morì Pio VI, prigioniero di Napoleone, mentre Roma era liberata dai Francesi dall’esercito napoletano, e si concludeva quindi la breve esperienza della Repubblica Romana.

Alla fine di Ottobre, mentre il mondo era in attesa dell’elezione del nuovo pontefice, Canova rientrava a Roma, per riprendere l’attività di scultore. Nel gennaio del 1800, l’Artista fu accolto quale membro dall’Accademia di Belle Arti, suscitando ancor più gelosie ed invidie, accuse di giacobinismo, per aver accettato le commissioni di Gioachino Murat e da Giuseppina Beauharnais, rispettivamente cognato e moglie di Napoleone.

Ormai si diceva rassegnato a lasciar deteriorare il modello dell’«Ercole», quando gli giunse una richiesta dalla famiglia Torlonia, il cui marchese, Giovanni, avrebbe acquistato nel 1801 il lavoro da realizzare in marmo. Il gruppo sarebbe stato concluso nel 1815 e collocato in una sala, costruita dal Valadier, nel giardino del Palazzo nobiliare.

Ispiratosi alla tragedia delle «Trachinie» di Sofocle, immortala la rabbia del Tebano, per aver ricevuto da Lica la tunica della moglie, Dejanira, macchiata dal sangue del centauro Nesso e, secondo la leggenda, Ercole, indossandola, sarebbe stato arso.

Canova produsse un gruppo ravvivato dalla furibonda figura di Ercole, colto nella massima tensione muscolare, e da quella gentile del giovane Lica, il cui corpo è cosparso di lividi, il quale, afferrato per i capelli e per un piede, si aggrappa all’ara ed alla pelle di leone, lasciata cadere a terra. Canova dimostrò la completa capacità tecnica nel riprodurre l’anatomia soprattutto di Lica, il cui atteggiamento fu riprodotto senza l’ausilio di un modello. Lo sculto risultò un esempio di disposizione dei soggetti vari ed irregolare, nella piena armonia tra tutte le tensioni, realizzate nell’ambito di rapporti proporzionali. Il bilanciamento dinamico dei corpi fu impostato su un arco di cerchio, già usato in precedenti lavori, perché in grado di conferire stabilità all’opera.

Canova offrì una straordinaria lezione tra bellezza estetica ed emozioni, immortalando il culmine dell’azione e lasciando libera interpretazione all’atto successivo.

Lo Scultore scrisse nel 1815 da Londra: «Le opere dunque di Fidia sono vera carne, cioè la bella natura. Carne è il Mercurio senza braccia di Belvedere, carne è il Torso, carne il Gladiatore combattente…Devo confessarvi, caro amico, che l’aver vedute queste belle cose ha solleticato il mio amor proprio: perché sempre io sono stato di sentimento che i grandi maestri avessero dovuto operare in questo modo e non altrimenti. (…) perché sempre gli uomini sono stati composti di carne flessibile e non di bronzo».

Chiosò Cesare Brandi: «Questo, di esser freddo e stentoreo, è il segreto del Canova… L’«Ercole e Lica» è una mostruosità inarrivabile: come il mammut ritrovato nel blocco di ghiaccio, è la scultura barocca, il Torso del Belvedere, il Toro Farnese, messi in ghiacciaia, anchilosati dai reumi, fossilizzati come l’antracite».

Le vicende edilizie del centro storico romano determinarono la distruzione del palazzo Torlonia e il gruppo canoviano trovò ricovero in un’apposita sala presso Palazzo Corsini, sede della Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo:
search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close