«Penserò a te di continuo, con una tenerezza ineffabile». Lettera di Gabriele D’Annunzio a Barbara Leoni

«Che malinconico desiderio di te, tu mi hai lasciato oggi partendo!

Tu eri oggi, come sempre, piena di seduzioni; ed io sono tutto affascinato dalla tua grazia. Le tue parole, le tue carezze, i tuoi baci, il tuo riso, tutte le amorose emanazioni del tuo essere mi hanno tessuta intorno all’anima una rete in cui mi cullo ora malinconicamente. Questa piccola stanza mi pare come tutta impregnata dei fluidi che tu esali. Oh la tua presenza, la tua presenza!…

Tu sei partita; ed ecco il sole, un gran fulgore d’azzurro che è come una vasta diffusione del tuo sorriso. E il sole mi rattrista più della pioggia, perché mi da la nostalgia del paese chimerico ove noi potremmo esser felici sovrumanamente.

Come ti amo Barbarella! Io sono penetrato, fin nell’intima sostanza delle tue seduzioni.

Penserò a te di continuo, con una tenerezza ineffabile.

Roma 17 marzo 1890»

L’abbandono, la solitudine, restando soli con se stessi, perché un evento ha determinato l’allontanamento fisico di due corpi amanti.

Cosa rimane? Rimane solo un profondo desiderio, che si stampa nella mente, che sviscera il cuore, che percuote la carne. E così sentiamo tutta la forza dell’impotenza, perché non abbiamo potuto agire, al fine d’impedire la sua partenza. All’accettazione del triste evento, segue la malinconia, tristezza sconsolata di un’anima amante, che si chiude in un pianto sommesso e nascosto al mondo.

Per scacciare, seppur momentaneamente la malinconia, il ricordo di lei, delle sue seduzioni, di quell’arte sottile, misteriosa, spirituale, che va oltre la carne. L’eterna fascinazione della bellezza, della grazia, della quintessenza ineffabile dello svolgersi del corteggiamento, che cattura i pensieri di due anime, fondendoli. Allora, i ricordi si scatenano, gonfiano il cuore di dolce e tenue speranza: le carezze, che hanno assaporato i corpi; i baci che hanno percosso lievemente le labbra e poi le inevitabili risa, con cui il cuore esprime la sua felicità. Tutto ciò concorre all’edificazione di una rete, di una dolcissima rete, che circonda l’essere innamorato, lo intrappolano, ed è così sensuale essere preda indifesa di quell’amplesso.

I due corpi serrati, uniti, convulsamente alla ricerca della perfetta coincidenza emanano effluvi, moti interiori; esalano fumi di eros, che impregnano il letto, le lenzuola, i cuscini e poi le mura. Dopo l’attimo, che tutti vorremmo fosse eterno, una nuova rigenerazione è avvenuta: tutto ciò ci parla della presenza ancora di lei. L’amante chiude le finestre, intrappola quel misterioso profumo, continua a respirarlo, ad ubriacarsi.

La sua presenza si è stampata anche sul sole, i cui raggi sottili penetrano nella stanza dell’Eros e sembra aggiungere luce alla luce degli effluvi interiori. Ma quel sole – almeno oggi – ha un significato particolare. Infatti, rappresenta un’isola incantata, l’Itaca di Ulisse, l’Iperuranio platonico, Atlantide, l’Eden primordiale; un luogo misterioso, sconosciuto, impalpabile, fuori dal tempo, lontano dai dolori umani: la chimera dove poter esprimere umanamente le proprie qualità divine.

Egli è stato addirittura penetrato da lei! Un misterioso gioco sottile di inversione dei ruoli, dopo il Fuoco dell’uomo si trasforma nella Terra della donna; allora ella è pronta a dare, egli a ricevere. Ella si trasforma nella sede divina del seme generatore; egli custodisce in sé la misteriosa teca, con cui far crescere quel preziosissimo dono.

Penserò a te di continuo, con una tenerezza ineffabile.

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