Gian Lorenzo Bernini nella Roma di Innocenzo X

Nel 1713, si pubblicò la biografia «Vita del cavalier Giovanni Lorenzo Bernino descritta da suo figlio» dedicata al cardinal Lodovico Pico della Mirandola a spese di Rocco Bernabò.

Nel capitolo undecimo, Domenico Bernini narra della rivalità tra il babbo e Borromini, definito un emulo, «che stimando, come tolta a sé, ogni grandezza del Bernini, dalle buone regole di Architettura apprese nella Scuola di lui, havendo degenerato in una maniera affatto diversa, si rendeva nel medesimo tempo molto ingrato al Maestro, e poco benemerito a molti virtuosi della Professione».

Il Borromini era nelle grazie del nuovo pontefice, Innocenzo X, tantoché provvide a sostituire l’antico maestro quale architetto maggiore della fabbrica di S. Pietro.

Il Bernini pensò che la fortuna lo avesse abbandonato per sempre; ciò causò la realizzazione delle opere più spettacolari, tra cui «La Verità». «Finse egli una bellissima donna in marmo assai più grande del naturale, che leggiadramente assisa sopra un masso, viene scoperta delle sue vesti dal Tempo, che vecchio ed alato per di sopra gli vola, ed essa nuda apparisce col sole in mano, e col volto allegro, e gli occhi graziosi modestamente rivolti verso di lui, quasi lo riconosca, e lo ringrazi, come suo benefattore».

L’incredibile bellezza dello sculto «trasse a vederla molti sommi pontefici, più volte ancora Christina Regina di Svezia, e tutti i Principi viventi allora in Roma, anzi non vi è Sovrano, o altri, che per devozione, o affari si porti in quella città, che appena giunto, non domandi subbito della Verità del Bernini, e vada in sua casa ad ammirarla come cosa unica al mondo».

Quindi scolpì «L’estasi di Santa Teresa» sotto commissione del cardinale Federico Cornaro, rientrato in Roma, avendo rinunziato al Patriarcato di Venezia dopo dodici anni di ministero apostolico, «e come che ad altro maggiormente non attendeva già decrepito in età, che a prepararsi al primo ed ultimo gran viaggio della morte, risolse inalzare ad honore di questa Santa una magnifica Cappella nella Chiesa della Madonna della Vittoria de’ Padri Carmelitani Scalzi, e quivi per sé formare il suo Sepolcro. Ne diede dunque l’incumbenza al Cavaliere, che glie ne fece un vago, e nobile disegno, sopra quanti fin’allora dati fuori ne havesse. Volle il Cardinale, che vi aggiungesse la Statua della Santa di sua mano, e benignamente glie lo richiese». Il Bernini «rappresentò la Santa in atto di una dolcissima estasi, fuori di sé rapita, e in sé abbandonata, e svenuta, e poco lungi da lei un Angelo, che librandosi coll’ali nell’aria, gli ferisce dolcemente il  cuore con strale dorato dell’amor Divino». Bernini giudicò quest’ultimo suo capolavoro come «la men cattiva Opera», che avesse realizzato, mentre l’opinione pubblica romana la reclamava come avesse vinto l’arte, servendosi della meraviglia.

Un sì dolce languire,

esser dovea immortale

Ma perché duol non sale

Al cospetto divino

In questo sasso l’eternò il Bernino.

Intanto, Innocenzo X aveva dato ordine che si collocasse la guglia egiziana, portata in Roma dall’imperatore Caracalla, in Piazza Navona. Fu ordinato quindi a diversi architetti, coll’esclusione del Bernini, di proporre progetti per la realizzazione dell’idea pontificia. Alcuna proposta fu accettata dal Papa.

Il matrimonio tra Niccolò Ludovisi, nipote di Gregorio XV, antico mentore del Bernini e Costanza Pamphili, nipote del papa, offrì l’occasione, per un riavvicinamento del Bernini presso la corte romana. Il Ludovisi suggerì allo Scultore di proporre un progetto per l’idea papale.

«Poiché aspettandosi il Papa a desinare doppo la Cavalcata, che suol farsi nel giorno della Santissima Nunziata, nel Palazzo Navona di Donna Olimpia sua cognata, Lodovico Pamphilj fece porre il modello a bella posta sopra un tavolino di una Camera, per la quale il Papa doppo la mensa doveva far passaggio, certo che alla viltà di quello haverebbe, se non altro, domandato di chi fosse. Ma molto più avvenne, di quanto divisava, poiché viddelo il Papa, e in vederlo, come che rimanesse quasi estatico per una mezz’hora, con ammirarne l’invenzione, la nobilità, e la vastità della mole, rivolto al Cardinal suo nipote, e a Donna Olimpia sua Cognata, in presenza di tutta la Camera Secreta, proruppe in così fatte parole: “Questo disegno non può esser di altri, che del Bernini, e questo tiro è del Principe Lodovisi, onde bisognerà per forza servirsi del Bernini a dispetto di chi non vuole, perché a chi non vuol porre in opera le sue cose, bisogna non vederle».

Lo stesso giorno ordinò che si convocasse lo Scultore «con dimostrazione di affetto, di stima, e con tratto maestoso, quasi scusandosi con esso, gli addusse cagioni, e vani rispetti, per i quali egli infin’a quel tempo non s’era servito di lui, e diedegli la commissione di far la fonte secondo il proprio modello».  Il Bernini dapprima non credette a quell’improvviso atto di devozione del Pontefice verso la sua arte; il tempo avrebbe liberato ogni dubbio, quando gli sarebbe stato ordinato di recarsi una volta alla settimana al Palazzo apostolico, per intrattenersi in «virtuosi raggionamenti» con l’augusta persona pontificale. La sua fama allora subì una fortissima accelerazione, «risorgendo ancor più gloriosa come essi l’intendevano». Il Bernini accettò l’incarico «con tanta riserva».

«Giace nel mezzo di quella valla Piazza una gran Conca, che sollevata alquanto dal suolo viene a rappresentare un gran mare. In essa miransi alcuni gran pesci in atto di guizzar nell’acque, che giù scendono da’ quattro lati in abbondanza, e mentre mostrano aprir le bocche per sostentar con esse la lor vita, con nuova invenzione assorbiscono il soverchio. Dal centro di essa vasca s’innalza un masso, che figura uno scoglio traforato con arte da tutte quattro le parti, onde alla vista de’ riguardanti non vien punto impedita la magnificenza del Foro: E quello scoglio, che nell’estremità si unisce, si dilata nel suo principio, onde sorge, e da luogo a quattro seditori, ove posano quattro smisurati colossi, che rappresentano per le quattro parti del mondo li quattro Fiumi principali di esso, il Danubio per l’Europa col capo sollevato in atto di mirare, e ammirare lo stupendo obelisco, e a piedi un leone, che finge bevere di quelle acque, che giù nella gran conca da tutte le bande il medesimo scoglio tramanda. Il Nilo per l’Africa, che colla testa alquanto coperta da un panno, pare che voglia ancor celarci la sua origine, ed appresso di lui si solleva una palma. Il Gange per l’Asia, che con un ramo in mano vuol dinotare la fertilità della sua Terra, e poco discosto da lui vedesi in atto di nitrire, se alquanto sollevato con i piedi davanti un superbissimo cavallo. E finalmente il fiume Argenteo per l’America in figura di un Moro con denari sparsi all’intorno di lui, che rappresentano le ricchezze delle sue Miniere, e sotto vedesi il tatù animale dell’Indie.

In sul mezzo poi, ove si uniscono le quattro parti dello scoglio mirabilmente lavorato, posa sopra un gran piedestallo la guglia in altezza di ottanta palmi, nella cui sommità vi è un ricco finimento di metallo, sopra il quale gloriosamente campeggia la colomba con un ramo di ulivo in bocca, che è l’arme di Casa Pamphilj. In questo gran lavoro lo scoglio, la palma, il leone e il cavallo sono di mano del Cavaliere. Il Nilo di Giacomo Antonio Fangelli, il Gange di Monsù Adamo, il Danubio di Andrea Lombardo, e l’Argenteo di Francesco Baratta, nel quale, come ancora nel Nilo, diede molti colpi di sua mano il Bernini».

Quando l’opera fu compiuta ricevette anche la visita del Papa, accompagnato dal cardinal segretario di Stato, Pancirolo, che rimase colpito dalla maestosità della realizzazione, intrattenendosi con l’artefice «per mezz’hora». Innocenzo X chiese al Bernini, quando sarebbe stato possibile accendere il gioco dell’acqua, lo scultore rispose che ciò sarebbe avvenuto molto presto. «Allora Innocenzo datagli la benedizione partì. Ma non fu giunto alla porta del vicino steccato, che havendo il Cavaliere con mirabil’arte, e secretezza concertato il modo, con cui ad ogni suo cenno dovese l’acqua in gran copia sboccar per la fonte, che sentissene un mormorio altrettanto sonoro, quanto meno aspettato, ed al Papa che rivoltosi indietro, comparve uno spettacolo, che  fece del tutto rimanere estatico per la maraviglia. Fermossi alquanto così da lungi, e poi avvicinatoli a rimirar più d’appresso i diversi gorghi dell’acque, disse al Cavaliere Bernini: “Sempre la fate da quel che siete e voi  con darci quella improvvisa allegrezza ci havete accresciuto dieci anni di vita».

Quando la fontana fu visibile al grande pubblico, il Bernini fu encomiato anche nelle Accademia di Roma.

Il Papa ordinò alcuni ritratti, poi il gran colosso dell’imperatore Costantino a cavallo, l’altare di Santa Francesca Romana ed il restauro della fontana, che si trova di fronte a Palazzo Pamphilj in Piazza Navona.

Il Papa procedette per l’avvicendamento presso la Segreteria di stato del cardinal Pancirolo con Monsignor Fabio Chigi, che sarebbe stato elevato alla porpora il mese appresso alla nomina, il quale incontrò nell’anticamera del cardinale Camillo Astalli, il Bernini. I due illustri personaggi si riconobbero per la fama, che li precedeva, scambiandosi vicendevolmente atti di stima, che si sarebbero presto tramutati in un vincolo di affetto.

Il Cardinale Chigi sarebbe stato elevato al soglio pontificio, il 7 aprile 1655.

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Un pensiero riguardo “Gian Lorenzo Bernini nella Roma di Innocenzo X

  1. Grande artista, noto anche per la sua Barcaccia a Roma!

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