«Ancora un minuto, un bacio, una parola, un sospiro e poi la morte, la fine, l’annientamento». Lettera di Gabriele D’Annunzio a Barbara Leoni

«Non ti ho scritto nulla. Non ho potuto. Un’avversione invincibile mi teneva lontano da questa misera penna che è un istrumento di tortura assai più che un conforto. […] Faccio uno sforzo assai doloroso. Mi hanno riarso le fiamme più atroci della passione, con una violenza non mai sofferta. Ho sentita la mia ragione perdersi e la mia conoscenza oscurarsi e il mio sangue consumarsi a poco a poco. Ho singhiozzato, ho gridato; ho soffocato gli scoppi del mio dolore sul guanciale dove tu appoggiavi la testa languendo di passione, pallida di voluttà e di tristezza. Mi sono inginocchiato d’innanzi al vano dove tu rimanevi taciturna accarezzandomi la fronte pensierosa. Ho riprovato, in un baleno, mille sensazioni; e a ciascuna sensazione m’è parso di perdere un po’ di sangue vivo. Son rimasto lunghe lunghe ore chiuso in questa stanza, senza uscirne mai, senza veder nessuno mai, esaltandomi nella solitudine, provando improvvisi bisogni di fuggire all’aperto e pure tenuto qui da un fascino ineluttabile.

Ho agonizzato, Barbara; la mia povera anima è tutta piena di ferite ed ha perdute tutte le sue forze. Che è mai stato questo passaggio di demenza?

Oh se potessi raccontarti tutto! Imagina, imagina: – star qui, respirare qui, in questa stanza dove tu portavi, apparendo, tutti i raggi e tutti i profumi; star qui, solo, innanzi al letto dove io ti ho posseduta mille volte con un godimento sempre più intenso; rivedere, rivedere con li occhi dell’anima tutti i tuoi gesti, tutte le tue attitudini, tutti tutti gli incanti della tua bellezza; sentirsi soffocare, ad ogni ricordo evocato, e non poter fare altro che mordere il guanciale freddo e bagnarlo di lacrime disperate… Oh Barbarella, tu con tutta la profondità della tua anima, tu non puoi comprendere intera la mia sofferenza; e io non posso dirtela.

Quando entrava nella mia casa la giovine donna, l’Adorata, quella che il mio cuore ha scelto per tutta la vita!… Che erano allora le tristezze? La sua presenza era il grande aroma ristoratore. La mia anima beveva da lei tutte le ebrezze e tutti gli oblii. Il suono del tuo passo metteva nelle intime vene un fremito di delizia infinito. Quando ella usciva, la mia anima la seguiva come un’ombra indivisibile. Quando ella tremava sotto la mia carezza leggera, io sentivo tutto il mio essere fondersi nel suo, struggersi in una morte ineffabile. Ella mi rivelava, in un bacio, mondi sconosciuti. Sotto la sua mano si risvegliavano fibre misteriose, vibravano per la prima volta, mi lasciavano nel senso una specie di stupore. Ella era la sorella, l’amante, l’amica, tutta la dolcezza umana.

Oh quando entrava, alta e pallida e velata! Entrava il mio Sogno, il fiore dell’anima, il mio miracolo d’amore.

Tu non ci sei più, tu non ci sei più! Io sono un inconsolabile; io morirò di dolore; io non ti rivedrò più, forse.

Ti aspetto sempre; ho sempre nelle vene la trepidazione insostenibile dell’attesa. Ti aspetto sempre. Metto i fiori sul mio tavolo perché tu sorrida guardandoli. Oh, vieni, vieni, vieni! Sento che la demenza mi riprende. Ho qui un guanto, il tuo guanto, quello che smarristi l’ultima sera. L’ho ritrovato; e ho adorata, nel mio cuore, la mano di cui portava l’impronta vivente. Che adorazione! Ricordi tu certi baci che io ti metteva tra le dita? Non ti ricordi tu con un brivido?

Addio, addio, addio. Venire là, alla tua porta, ad aspettarti sull’ora consueta; e condurti qua fra gli oleandri, tra le ortensie; e prostrarmi, a pregarti di farmi morire…

Non hai tu nessuno incanto per attraversare gli spazi?

Un’ora, un’ora sola!

Ancora un minuto, un bacio, una parola, un sospiro e poi la morte, la fine, l’annientamento.

4 agosto 1890»

Il Poeta è stanco di dare un contorno ai suoi pensieri, rapito com’è da un’invincibile forza, che lo trattiene. Vuole però parlare al suo lontano amore, alla sua donna, alla sua dea, sicché, nel voler immortalare con tratti pesanti le sue angosce, soffre dolorosamente; sente divampare le piaghe praticate dal fuoco della passione: solo dolore, tanto dolore. Il fuoco ha divampato, ha annientato le ragioni della ragione, la cognizione dell’essere ed un poco alla volta anche il palpito vitale è sembrato illanguidire. Un pianto dirotto, grida altissime, al fine di soffocare il dolore inalienabile, che non trovava requie neanche sul guanciale, dove lei aveva appoggiato la testa, mentre lasciava entrare in sé il mistero dell’amore, che languisce, stordisce, droga, inebria, chi ne è vittima. All’atto, in cui i due corpi si protestano, è seguita una scena quasi materna: ella, che poco prima era stata assalita dalla voglia incontrollabile di lui, ora accarezzava la fronte al suo uomo, inginocchiato dinanzi a tanta bellezza. Egli ha rivissuto quei momenti stordenti ed ogni ricordo era ricordo ad una sensazione, che, un poco alla volta, sembrava far venir meno le forze fisiche.

Il desiderio di lei era così forte, che ha preferito chiudersi in camera, dov’è raccolto il profumo di lei, del suo corpo, dei suoi odori, dei suoi umori; un’invincibile prigionia, una voglia di restar prigione di se stesso.

Sembrava perdersi ogni riferimento alla realtà, la mente sembrava smarrire la sua visione calma; tutto sembrava ridursi al nulla, al non percettibile, a non vedere, a non sentire, a non essere.

La voglia di raccontare quegli attimi infiniti di esaltazione erotica, dove egli, vicino al talamo, ancora una volta, cercava d’inebriarsi del profumo del sinuoso corpo di lei, che, come un’apparizione, sfolgorava di erotismo. Solo quel letto è testimone intimo dell’amore, che ha posseduto i due amanti, trasformandoli in esseri angelici destinati all’inferno della carne. E ad ogni orgasmo si rinnovava il desiderio di ricominciare, assetati di distruggere ogni più piccolo ostacolo alla triste separazione. Quanta bellezza, quanta ipocrisia volata via, quanta voglia di godere insieme, di vivere pienamente la bellezza e poi, mentre tutto svanisce, il guanciale è il luogo della sua testa, del suo volto, di quelle labbra baciate un’infinità di volte.

L’Adorata, lei, l’unica, la sola con cui accompagnarsi per tutta la vita, fugava ogni tristezza colla sua presenza ristoratrice.  Ella quale fonte, da cui egli avrebbe bevuto l’elisir del fiume Lete. Sentire i suoi passi delicati avvicinarsi al luogo consacrato all’amore, quanto desiderio, quanta voglia di toccarla. E così, anche quando ella era costretta ad andarsene, egli avrebbe tanto desiderato smaterializzare il suo corpo, per porsi come un mantello magico sulle spalle dell’amata.

La mano forte ma delicata di lui si avvicinava al tanto agognato, disperatamente desiderato corpo di lei ed immediatamente il contatto trasferiva la voglia ed il desiderio nel cuore degli amanti, fino a ricercare la morte. I suoi baci, così profondi, innamorati, vogliosi. E quando era poi lei ad accarezzarlo, allora la pelle di lui era attraversata da brividi di gelo, che lo scuotevano. Era la donna, la sua donna, l’unica donna.

Quella volta ella decise di velare il suo corpo, come Maya, la dea indiana dei sette veli; sembrava un sogno, un miracolo, un fiore profumatissimo, che avanzava, pronta all’estremo sacrificio di sé.

Ora, in questo momento, è presente solo la sua assenza, inconsolabile, triste, solitaria.

La speranza non può essere vanificata di un suo prossimo ritorno; allora, perché non aspettarla? Prepariamo la stanza per l’imminente ritorno dell’Adorata, adornando la tavola con dei fiori gentili, posti sul tavolo, perché gli siano ben visibili. E chissà in quale parte della casa, ella smarrì un guanto, che è stato ritrovato ed ora è oggetto di estreme attenzioni da parte dell’uomo sofferente. Quel guanto ha avuto la fortuna di essere stato indossato dalle mani di lei, angelici strumenti di passione, che le labbra di lui hanno più volte incontrato.

Arriverà il momento del suo ritorno; ed allora la natura ospiterà la gentile creatura, la quale riceverà l’estrema preghiera, perché la passione sia ancora una volta l’unica parola nel dialogo senza parole.

Per un’ora, appari! E poi…

Ancora un minuto, un bacio, una parola, un sospiro e poi la morte, la fine, l’annientamento.

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