Il 29 maggio 1592, Giovanni Mocenigo fu chiamato nuovamente a deporre attraverso una lettera, inviata a Padre Domenico.
Il Mocenigo denunciò al Tribunale inquisitorio che il Bruno fosse assai discorde dal comportamento della Chiesa, assai difforme da quello usato dagli Apostoli: «perché quelli con le predicationi et con gli esempi di buona vita convertivano la gente, ma che hora chi non vuol esser Cattholico, bisogna che provi il castigo et la pena; perché si usa la forza et non l’amore». Aveva affermato che la religione cattolica «gli piaceva ben più delle altre e presto il mondo haverebbe veduta una riforma generale di se stesso, perché era impossibile che durassero tante corruttele». Desiderava pubblicare le sue opere, per costruirsi una buona reputazione, in un’epoca in cui «fiorisce la maggior ignoranza che habbi havuto mai il mondo».
Ancora una volta, confermò che il Nolano non credesse nella Trinità, considerandola una bestemmia grandissima contro la maestà di Dio. Confermò che la Repubblica veneziana sarebbe dovuta intervenire contro i frati, al fine di ridurli in povertà, poiché «quelli che entrano frati il di d’oggi sono tutti asini, ai quali lasciar goder tanto bene è grandissimo peccato».
Aggiunse un nuovo capo d’accusa: di aver amato molte donne «et che la Chiesa faceva un gran peccato nel far peccato quello con che si serve cosi bene alla natura; et che lui lo aveva per grandissimo merito.
Di Vostra Paternità molto Reverenda
Servitor humilissimo
ZUANE MOCENICO».