Il testo è tratto dal disco «Teatro canzone» del 1993.
La forte denuncia di un cittadino.
Ogni rappresentante è pagato dal contribuente, al quale è chiesto spesso aiuto da uomini, che fanno finta di essere saggi con delle facce da imbecilli. Proprio quello Stato, che – forse -, in nome del progresso ha contratto debiti, che sono ricaduti sulla comunità e, addirittura, anche su chi non c’era, ma nasce – fortunatamente o sfortunatamente – in Italia. Con tutti quei soldi, non si governa il bene dei cittadini, ma si mette in scena ogni più illogica liturgia da parte di uomini di partito, che non hanno affatto a cuore il bene comune, tantoché varrebbe la pena di sciogliere ogni movimento politico; forse il cittadino sarebbe meno asfissiato. Hanno reso la burocrazia così imperante e soffocante, che per qualsiasi ragione si rischia di finir dentro ad un meccanismo complicatissimo, di moduli, bolli, ricevute; tutta carta inutile così complicata da capire, che ci vorrebbe un mago. La burocrazia, questa macchina infernale, che impone al cittadino dei giri impossibili tra un ufficio e l’altro, perché la responsabilità non si sa mai di chi sia; forse un amico sarebbe indispensabile, per ritirare in tempo utile un misero documento. In fondo, la burocrazia malata ma autoreferenziale ha assicurato la vita – ed oltre – ai suoi uomini, organizzando la disorganizzazione più feroce e squilibrata. Uno Stato che, in fondo, non lascia capire laddove finiscano i confini tra il lecito e l’illecito e preferisce la zona grigia, dove tutto può accadere. Il comportamento, sempre più inqualificabile di certi impiegati ministeriali, ha così deteriorato l’immagine pubblica che forse i cittadini iniziano quasi a stimar meglio gli aderenti dell’antistato: c’è davvero così tanta differenza? Allora, quasi per lustrare la facciata, sempre più deteriorata, qualcuno è anche andato dentro. E le tasse, che tengono in vita questo ormai malato terminale a costo di sacrifici altissimi da parte dei cittadini, sono così lunari, incomprensibili e suggerite da menti davvero eccentriche, che mirano a non far capire niente. Quanti hanno attaccato lo Stato hanno trovato un avversario pavido, impaurito, che non ha saputo reagire se non urlare vanamente. Tutto finirà colla riforma delle istituzioni, perché ognuno andrà fuori dai coglioni!
E tu, Stato
E tu, Stato
e tu, Stato
che tu sia ministro, politico o magistrato
o al limite impiegato
comunque pagato inevitabilmente coi soldi del contribuente
cioè dalla gente.
E tu, Stato
che ci chiedi aiuto e che ci corteggi
coi tuoi soliti imbecilli
che passano per saggi.
E tu, Stato
che hai sprecato, hai sperperato, hai gozzovigliato
pubblicamente mi hai rovinato
che se un giorno mi nasce un figlio, povero figlio
è già indebitato.
E tu, Stato
così goffo e impacciato
che continui a fare i tuoi soliti giochi di potere
davanti ai cittadini un po’ imbarazzati
che si domandano stupiti
perché non sciolgono i partiti.
E tu, Stato
così contorto, complicato
che per riempire un modulo, una scheda, un tabulato
bisogna essere dei maghi
è quasi come fare un cruciverba
di Bartezzaghi.
E tu, Stato
così preciso e protocollato
che per avere un passaporto, un permesso, una licenza
si sbaglia sempre ufficio
c’è sempre un’altra stanza
e se non ci hai un amico o qualche conoscenza
stai fermo per tre giri e torni al punto di partenza.
E tu, Stato
che tu sia dottore che tu sia ingegnere o anche avvocato
s’intende dello Stato
che dopo anni di lavoro serio
e ore e ore di straordinario
hai risolto scientificamente il sistema più efficiente
per non far funzionare niente.
E tu, Stato
così incosciente e disgraziato
così compromesso, così invischiato
e se ancora qualcuno un po’ ingenuo si chiede chi è stato
ma come chi è stato? Lo Stato!
E tu, Stato
ti vedo un po’ ammosciato
perdi i colpi, te la vedi brutta
sei, come dire, un po’ alla frutta
nel senso che ormai la gente normale
da un punto di vista morale
ha assai più rispetto per un travestito o uno spacciatore
che per un assessore.
E tu, Stato
che ti sei sorpreso, ti sei scandalizzato
per tutti quelli che han rubato
che per farcelo vedere
hai riempito le galere delle tue pecore nere
e noi che lo sappiamo
lo possiamo indovinare come va a finire
perché è una cosa delicata e dolorosa
per cui fra poco
tutti a casa.
E tu, Stato
così giusto e imparziale
col tuo onesto sistema fiscale
s’intende demenziale
che affronti i problemi più urgenti
con tasse nuove
geniali e stravaganti
ancora non mi è chiaro
cosa ci fai del mio denaro
non vedo né ospedali, o tribunali
ma solo allegri e spiritosi
i servizi sociali
generalmente
se uno paga e non ha indietro niente
se non è proprio idiota
rivuole indietro la sua quota.
E tu, Stato
inginocchiato e impaurito
sempre più incerto e cupo
che gridi disperato ‘al lupo! al lupo!’
sempre più depresso, sempre più codardo
te la sei fatta addosso
per colpa di un balordo lombardo.
E tu, Stato
che tu sia ministro, politico o magistrato
ci avete castigato
mettendoci di fronte
ad una tragedia inaspettata e sconvolgente
e noi che lo vediamo
come vi agitate per far pagare a noi
quarant’anni di cazzate.
Ma la sola vera riforma delle istituzioni
è che ve ne andiate tutti fuori dai coglioni.