Dante Alighieri: la condanna

Il 19 giugno del 1290, Beatrice scomparve e così il Boccaccio raccontò il dolore, che provò Dante per l’improvvisa dipartita:

Beatrice Portinari (1266 ca. – 1290)

«In tanto dolore, in tanta afflizione, in tante lagrime rimase, che molti de’ suoi congiunti, parenti ed amici niuna fine a quelle credettero, altro che solamente la morte; e quella estimarono dover essere in breve, vedendo lui a niuno conforto, a niuna consolazione portagli dare orecchie. Li giorni alle notti erano eguali, e le notti a’ giorni; delle quali niuna si trapassava senza guai, senza sospiri, e senza copiosa quantità di lagrime, e parevano li suoi occhi due abbondantissime fontane d’acqua surgente, intantoché e più si maravigliavano donde tanto umore egli avesse, che al suo pianto bastasse1».

Il Poeta celebrò nei versi le bellezze e le virtù della sua donna, come nella «Vita nuova»

«Poi che li miei occhi ebbero per alquanto tempo lagrimato, e tanto affaticati erano che non poteano disfogare la mia tristizia, pensai di volere disfogarla con alquante parole dolorose; e però propuosi di fare una canzone, ne la quale piangendo ragionassi di lei per cui tanto dolore era fatto distruggitore de l’anima mia; e cominciai allora

Li occhi dolenti per pietà del core

hanno di lagrimar sofferta pena,

sì che per vinti son remasi omai.

Ora, s’i’ voglio sfogar lo dolore,

che a poco a poco a la morte mi mena,

convenemi parlar traendo guai2».

Al fine di uscire da quella profonda crisi di sensi, scrisse nel «Convivio»:

«[…] Come per me fu perduto il primo diletto della mia anima, […] io rimasi di tanta tristizia punto, che conforto non mi valea alcuno. Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia mente che si argomentava di sanare, provide […] ritornare al modo che alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi; e misimi a leggere quello non conosciuto da molti libro di Boezio,  nel quale, cattivo e discacciato, consolato s’avea.  E udendo ancora che Tullio scritto avea un altro libro, nel quale, trattando de l’Amistade, avea toccate parole de la consolazione  di Lelio, uomo eccellentissimo3».

Giovanni Boccaccio (1313 – 1375)

La sofferenza fu ampiamente descritta dal Boccaccio:

«Egli era sì per lo lagrimare, e sì per l’afflizione che al cuore sentiva dentro, e si per lo non avere di sé alcuna cura, divenuto quasi una cosa salvatica a riguardare, magro, barbuto e quasi tutto trasformato da quello, che avanti essere soleva; intantoché il suo aspetto, non che negli amici, ma eziandio in ciascun altro che ’l vedeva, a forza di se metteva compassione. Questa compas- sione e dubitanza di peggio faceva li suoi parenti stare attenti alli suoi conforti; li quali, come alquanto videro le lagrime cessate, e conobbero li cocenti sospiri alquanto dare sosta al faticato petto, colle consolazioni lungamente perdute ricominciarono a sollecitare lo sconsolato; il quale comecché insino a quell’ora avesse a tutte ostinatamente tenuto l’orecchie chiuse, alquanto le cominciò non solamente ad aprire, ma ad ascoltare volentieri ciò, che intorno al suo conforto gli fosse detto. La qual cosa veggendo li suoi parenti, acciocché del tutto non solamente de’ dolori il traessino, ma il recassero in allegrezza, ragionarono insieme di volergli dar moglie, acciocché come la perduta donna gli era stata di tristizia cagione, così di letizia gli fosse la nuovamente acquistata. E trovata donna giovane, quale alla sua condizione era dicevole, con quelle ragioni che più loro parvero induttive, la loro intenzione gli scoprirono. E acciocché io non tocchi particolarmente ciascuna cosa, dopo lunga tenzone, senza mettere guari di tempo in mezzo, al ragionamento seguì l’effetto, e fu sposato1».

Gemma Donati (1265 ca. – 1333 ca,)

Così, nel 1292, all’età di ventisette anni, si sposò con Gemma di Manetto Donati e, nel contempo, cominciò lo studio della filosofia e delle scienze sacre e, dopo aver scritto il sonetto «Oltre la spera che più larga gira», che conclude la «Vita nuova»:

«Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente. Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna2».

Potremmo dedurre che il Poeta aveva nella mente l’idea del Poema, in cui avrebbe accennato a Beatrice quale simbolo della sapienza divina.

Il suo impegno non si fermò sullo studio, ma intese contribuire al bene comune, iscrivendosi nell’Arte dei Medici e Speziali, al fine di partecipare alla vita politica. La magistratura suprema fiorentina era espressa dai priori delle diverse Arti. Nel 1292, fu creato il Gonfaloniere della giustizia, il quale soprassedeva a circa duemila uomini delle Arti, attraverso i quali avrebbe protetto il popolo dai nobili.

Dal 7 maggio 1300, Dante fu espresso ambasciatore presso il Comune di San Gimignano; mentre all’età di trentacinque anni fu nominato Priore, carica formante la suprema magistratura della Repubblica insieme al Gonfaloniere. Presiedette il nuovo ufficio dal 15 giugno al 15 agosto del 1300.

Bonifacio VIII (1230 ca. – 1303)

In Firenze, due famiglie molto potenti rivaleggiavano, capeggiate da Corso Donati (parteggiante per i Neri) e Vieri Cerchi (parteggiante per i Bianchi). I capitani Guelfi, preoccupati, si rivolsero a Papa Bonifacio VIII, perché appianasse i contrasti.

Guido Cavalcanti (1255 – 1300)

Il Pontefice inviò il suo legato, frate Matteo d’Acquasparta, il quale non fu punto ascoltato dai rettori della Repubblica. Al fine di evitare questioni sempre più spinose, i Priori confinarono i capi delle due fazioni: i Donati al Castello della Pieve; i Cerchi a Serrazzano. Simile azione provocò – come fosse naturale – il dissenso delle parti esiliate, tantoché i Neri commentarono come il Dante fosse legato ai Cerchi, quando Guido Cavalcanti, carissimo amico del Poeta, tornò a causa delle pesanti condizioni di salute, in cui era sprofondato.

Carlo di Valois (1270 – 1325)

Dante vergò successivamente: «Tutti li mali e l’inconvenienti miei dalli infausti comizi del mio priorato ebbono cagione e principio». Dopo qualche mese, i Neri tornarono in Firenze ed approfittarono del transito in Toscana di Carlo di Valois, che intendeva conquistare la Sicilia, per conseguire il loro intento. Comunicarono al re ed al Papa che i Bianchi eran Ghibellini, nemici della Chiesa e della casa di Francia, quindi, in virtù di ciò, chiesero a Carlo di Valois d’intervenire presso la Repubblica fiorentina, al fine di riformarla, proteggendo la parte Guelfa. I Priori inviarono quattro ambasciatori alla sede pontificia, tra cui il Poeta. Il pontefice rassicurò i mandati; in Roma attesero il Dante ed il Malavolti in attesa d’istruzioni da parte fiorentina.

In Firenze, intanto, si trovò un buon accordo, al fine di sedare la nervosa situazione politica, proponendo un’equa divisione delle cariche tra le opposte fazioni politiche, nonostante i Neri avessero stipulato un accordo segreto con  Carlo, perché invadesse Firenze. Giunto l’esercito francese a Siena, il re di Francia inviò dei messi in consiglio comunale a Firenze, perché confermassero che le intenzioni di voler pacificare la sezione, che appoggiava la Chiesa. Il Consiglio approvò l’ingresso dell’esercito, accompagnato da alti cavalieri di parte guelfa, sostando in casa Frescobaldi oltr’Arno. In Piazza Santa Maria Novella, s’incontrarono tre priori con i messi del Re; nel contempo giunsero i due ambasciatori da Roma (Maso di messer Ruggerino Minerbetti e il Corazza da Signa), i quali informarono il governo fiorentino delle intenzioni del Papa. Fu quindi inviato a Dante il messaggio d’ubbidienza a Bonifacio VIII, a patto che nominasse il cardinale Gentile da Montefiore riformatore. I Neri, allora, presero le armi; i Bianchi si armarono anch’essi, quando verso la metà di Novembre, il Nero, Corso Donati, che era stato confinato, disubbidì ed entrò in città. Avviene l’assalto, mentre i Cerchi si chiudevano in casa; la città fu posta a ferro e fuoco, a causa dell’invadenza nella sfera politica fiorentina di papa Bonifacio VIII, che avrebbe così desiderato rappacificare le discordie tra Bianchi e Neri, che rimasero padroni della desolata città, elessero potestà il crudel Cante Gabrielli da Gubbio. Egli cominciò una politica di repressione contro la parte sconfitta ed, essendo stato, il Bianco Dante, già priore, fu condannato per baratteria, sottrazione di denaro pubblico, frode, falsità, dolo, malizia, pratiche estorsive, proventi illeciti, pederastia, cinquemila fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia) e «se lo si prende, al rogo, così che muoia».

«Questo merito –scrisse il Boccaccio – riportò Dante del tenero amore avuto alla patria. Questo merito riportò Dante dello affanno avuto il voler tor via le discordie cittadine. Questo merito riportò Dante dello avere con ogni sollecitudine cercato il bene, la pace e la tranquillità de’ suoi cittadini! Per che assai manifesto appare quanto sieno voti di verità i favori de’ popoli, e quanta fidanza si possa in essi avere. Colui nel quale poco avanti pareva ogni pubblica speranza essere posta, ogni affezione cittadina, ogni rifugio popolare, subitamente senza cagione legittima, senza offesa, senza peccato, di quel romore, il quale per addietro s’era molte volte udito le sue laudi portare sino alle stelle, è furiosamente mandato in irrevocabile esilio. Questa fu la marmorea statua fattagli ad eterna memoria della sua virtù! Con queste lettere fu il suo nome tra quelli de’ padri della patria scritto in tavole d’oro!1».

Fu esiliato, per essersi opposto ai disegni dei Neri ed a Carlo di Valois, laddove nella sentenza è scritto essersi adoperato: «contra summum pontificem et dominum Karolum pro resistentia sui adventus».

Era il 17 gennaio 1302.

1) GIOVANNI BOCCACCIO: Trattatello in laude di Dante. Introduzione, prefazione e note di Luigi Sasso. I grandi libri, Garzanti

(2) DANTE ALIGHIERI: Vita nuova, § XXXII. Edizione critica per cura di Michele Barbi. – Edizione nazionale delle opere di Dante / Società Dantesca Italiana – Firenze : Bemporad, 1932.

(3) DANTE ALIGHIERI: Convivio, Trattato I, Capitolo XII, 1 – 2. Letteratura Italiana Einaudi

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