Queste note biografiche prendono spunto da «Descrizioni delle immagini dipinte da Raffaelle da Urbino» di Giovanni Bellori, pubblicato «Con licenza de’ superiori Appresso agli Eredi del Signor Giovanni Lorenzo Barbiellini Stampatori, e Mercanti di Libri a Pasquino» nel 1751.
Il «grazioso Raffelle Sanzio da Urbino, il quale fu dalla natura dotato di tutta quella modestia e bontà» nacque nel 1483 «in Venerdì santo a ore tre di notte da Giovanni de’ Santi, pittore».
Si esercitò, sin dai primi anni, nella pittura, «essendo a cotal’arte molto inclinato», sicché in pochi anni fu pronto ad aiutare il babbo in diverse opere, che Giovanni doveva rendere per lo stato di Urbino.
Nel 1494, fu indirizzato presso la bottega di Pietro Perugino, «il quale teneva in quel tempo fra i Pittori il primo luogo». Il Maestro lo accolse benevolmente, così Raffaello, «studiando la maniera di Pietro, la imitò così a punto ed in tutte le cose che i suoi ritratti non si conoscevano dagli originali del maestro e fra le cose sue, e di Pietro».
Tra il 1500 ed il 1501, mentre il Perugino si portava a Firenze, Raffaello realizzò la «Pala di San Nicola di Tolentino» per la chiesa di S. Agostino in Città di Castello, che oggi si trova presso il Museo Nazionale di Capodimonte, purtroppo non intera. Per la chiesa di San Domenico, dipinse la «Crocefissione Gavari», «la quale, se non vi fosse il suo nome scritto, nessuno crederebbe opera di Raffaelle, ma sì bene di Pietro».
In S. Francesco, tratteggiò lo «Sposalizio della Vergine», «nella quale espressamente si conosce l’augumento della virtù di Raffaelle venire con finezza assottigliando, e passando la maniera si Pietro. In quest’opera è tirato un Tempio in prospettiva con tanto amore che è cosa mirabile a vedere le difficoltà, ch’egli in tale esercizio andava cercando».
Per la chiesa di S. Francesco in Perugia, realizzò, tra il 1502 ed il 1503 la «Pala degli Oddi», «e ciò sono una Nostra Donna assunta in Cielo e Gesù Cristo, che la corona e di sotto intorno al sepolcro sono i dodici Apostoli, che contemplano la gloria Celeste. Ed a pie’ della tavola, in una predella di figure picciole, spartite in tre storie, è la Nostra Donna annonciata dall’Angelo , quando i Magi adorano Cristo e quando nel Tempio e in braccio a Simeone, la quale opera certo è fatta con estrema diligenza, e chi non avesse in pratica la maniera, crederebbe fermamente ch’essa fosse di mano di Pietro, laddove egli è senza dubbio di mano di Raffaelle».
Nel 1502, Papa Pio III organizzò la Biblioteca per il Duomo di Siena, assegnando al Pinturicchio «il quale essendo amico di Raffaelle e conoscendolo ottimo disegnatore, lo condusse a Siena dove Raffaelle gli fece alcuni dei disegni e cartoni di quell’opera; e la cagione, ch’egli non continuò fu ch’essendo in Siena da alcuni pittori con grandissime lodi celebrato il cartone, che Leonardo da Vinci aveva fatto nella sala del palazzo in Firenze d’un strappo di cavalli bellissimo, per farlo nella sala del palazzo, e similmente alcuni nudi fatti a concorrenza di Leonardo da Michelagnolo Buonaruoti, molto migliori, venne in tanto desideri a Raffaelle, per l’amore, che portò sempre all’eccellenza dell’arte, che messo da parte quell’opera ed ogni utile e comodo suo, se ne venne a Firenze».
Stimò straordinariamente interessanti le opere, ma gli dispiacque la città pur decidendo di elevarla a luogo di residenza, dove avrebbe contratto amicizia con il Ghirlandaio, il Sangallo e molti altri onorati, tra cui Taddeo Taddei, «il quale lo volle sempre in casa sua ed alla cui tavola, come quegli che amò sempre tutti gli uomini inclinati alla virtù». Elevò notevolmente il suo stile grazie allo studio delle opere di Masaccio, Leonardo e Michelangelo e soprattutto dei lavori del domenicano Baccio della Porta, a cui comunque insegnò l’uso della prospettiva, il cui uso il frate aveva escluso dai suoi lavori.
Nel 1504, dedicò a Guidobaldo duca d’Urbino «L’orazione nell’orto», «Cristo, che ora nell’orto, e lontano alquanto i tre Apostoli che dormono; la qual Pittura è tanto finita che un minio non può essere migliore e né altrimenti».
L’anno appresso, si portò a Perugia, dove dipinse per la Chiesa dei Serviti la «Pala Ansidei», e nella Cappella di San Severo «fece in fresco un Cristo in gloria, un Dio Padre, con alcuni Angeli attorno e sei Santi a sedere, cioè tre per banda: San Benedetto, San Romualdo, San Lorenzo, San Girolamo, San Mauro e San Placido, ed in quest’opera, la quale, per cosa in fresco, fu allora tenuta molto bella. Scrisse il nome suo in lettere grandi, e molto bene apparenti».
Nella medesima città per la monache di S. Antonio, tratteggiò la «Pala Colonna», rappresentando la «Nostra Donna ed a quella, si come piacque a quelle semplici e venerande Donne, Giesù Cristo vestito e dai lati di essa Madonna, San Pietro, San Paolo, Santa Cecilia e Santa Caterina; alle quali due Sante Vergini fece le più belle, e dolci arie di teste, e le più varie acconciature da capo, il che fu cosa rara in que’ tempi, che si possano vedere. E sopra questa tavola, in un mezzo tondo, dipinse un Dio Padre bellissimo».
Per il matrimonio dell’amico, Lorenzo Nasi, realizzò la «Madonna del Cardellino» (1506), in cui «un San Giovannino tutto lieto porge un uccello con molta festa e piacere dell’uno e dell’altro. E nell’attitudine d’ambidue una certa semplicità puerile e tutta amorevole, oltre che sono tanto ben coloriti e con tanta diligenza condotti, che più tosto pajono di carne viva, che lavorati di colori; e disegnò parimente la Nostra Donna, che ha un’aria veramente piena di grazia e di divinità, ed in somma il piano, i paesi e tutto il resto dell’opera è bellissimo».
Nello stesso anno, l’Artista tornò quindi ad Urbino per la perdita dei genitori. Lavorò per realizzare la «Sacra Famiglia con san Giuseppe imberbe» per Guidobaldo da Montefeltro, «capitano de’ Fiorentini».
Ebbe la commessa da donna Atalanta Baglioni per la cappella di famiglia, che si trovava nella chiesa di S. Francesco in Perugia, di una pala («Pala Baglioni») che avrebbe realizzato nel 1507. «In questa divotissima Pittura un Cristo morto portato a sotterare, condotto con tanta freschezza e sì fatto amore, che a vederlo pare fatto pur ora. Immaginossi Raffaelle nel componimento di questa opera il dolore, ch’anno i più stretti ed amorevoli parenti nel riporre il corpo d’alcuna più cara persona, nella quale veramente consista il bene, l’onore, e l’utile di tutta una famiglia; vi si vede la Nostra Donna venuta meno e le teste di tutte le figure molto graziose nel pianto, e quella particolarmente di S Giovanni, il quale incrocicchiate le mani, china la testa con una maniera da far commovere qual è più duro animo a pietà.
E di vero, chi considera la diligenza, l’amore, l’arte e la grazia di quest’opera, ha gran ragione di maravigliarsi, perché essa fa stupire chiunque la mira per l’aria delle figure, per la bellezza de’ panni ed in somma per un’estrema bontà, ch’ell’ha in tutte le parti».
Il ricco commerciante e mecenate fiorentino, Agnolo Doni, «il quale tanto spendeva volentieri nell’arte» gli commissionò il proprio ritratto e della moglie, Maddalena Strozzi.
Nel 1507 realizzò la «Sacra Famiglia Canigiani» per Domenico Canegiani, «in un quadro di Nostra Donna col putto Giesù, che fa festa a un S. Giovannino, portogli da Santa Elisabetta, che mentre lo sostiene con prontezza vivissima, guarda un S. Giuseppe, il quale standosi appoggiato con ambe le mani a un bastone , china la testa verso quella vecchia, quasi maravigliandosi e lodandone la grandezza di Dio, che così attempata avesse un sì picciol figliuolo. E tutti pare che stupiscano nel vedere con quanto senno in quella età si tenera i due cugini, l’uno riverente all’altro, si fanno festa, senza che ogni colpo di colore nelle teste, nelle mani e ne’ piedi sono anzi pennellate di carne, che tinta di maestro, che faccia quell’arte».
ARTICOLI D’ARTE
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