«Annibale Carracci» nelle note storiche tratte da «Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni» di Giovanni Pietro Bellori

Annibale Carracci nacque in Bologna il 3 novembre 1560; «d’indole ornatissima, ond’egli innalzò il suo felice genio, accoppiando due cose raramente concesse a gli huomini: natura ed arte in somma eccellenza».

Il babbo, Antonio, che svolgeva la professione di sarto, aveva concepito Agostino nel 1557, che anch’egli si applicò nell’arte. Annibale imparò dal cugino Ludovico, il quale riconobbe «in lui una fatal forza alla pittura, quasi havesse un maggior precettore, che gl’insegnasse occultamente, cioè la sapientissima Natura, cominciò ad amarlo, e se lo tirò in casa, dando luogo a quella stupenda inclinazione».

Un giorno Annibale accompagnò il babbo a Cremona, per curare la vendita di un piccolo podere. Di ritorno in Bologna, la coppia fu aggredita e derubata, e Annibale «seppe così naturalmente ed al vivo delineare il volto, e ‘l portamento di quei rapaci villani, che riconosciuti da tutti con istupore, ricuperò facilmente quanto al povero padre era stato rubato».

Fondata nel 1582 l’Accademia degli Incamminati dai tre Carracci a Bologna, «per lo desiderio, ch’era tutti d’imparare; dove communicandosi insieme l’eruditione delli tre fratelli, Annibale, Agostino e Ludovico, vi concorrevano molti giovini nobili e rari ingegni della città per le varie discipline, che oltre il naturale, s’insegnavano, le proportioni, l’anatomia, la prospettiva, l’architettura. Laonde crebbe in gran riputatione il nome de’ Carracci e tutti tre furono chiamati insieme a diverse opere, alle quali con grandissima lode loro diedero compimento».

Crocifissione e Santi (Santa Maria alla Carità, Bologna)
Battesimo di Gesù (Chiesa dei santi Gregorio e Siro, Bologna)

Ludovico invitò il giovane allievo, e cugino, a partecipare ad alcune commesse: alla realizzazione del Compianto su Cristo morto (andato perduto) per la chiesa di San Prospero in Reggio; nel 1583 la Crocefissione e santi per la chiesa di Santa Maria della Carità in Bologna; nel 1585 il Battesimo di Gesù per la chiesa dei santi Gregorio e Siro di Bologna.

I tre artisti, nel 1584, illustrarono Le storie di Giasone e Medea e Le storie di Enea presso palazzo Fava in Bologna, «diviso in dodici quadri, cominciando da Sinone, secondo la descrittione di Virgilio, è tra componimenti migliori. Tiensi che fu di mano d’Annibale l’incontro dell’Harpie».

Agli occhi del giovane Annibale, si schiusero i lavori del Correggio e di Tiziano nel trasferimento a Milano a seguito del fratello Agostino. Giunti a Parma, studiò le opere del Correggio, come la bellissima Pietà (conservata presso il Museo civico di Correggio).  «Non si può dire a bastanza quanto Annibale s’internasse e si facesse proprie le migliori parti del Correggio, così nella dispositione e ne’ moti delle figure, come nel d’intornarle e colorirle con la dolce idea di quel gran maestro».

Per il duca Ranuccio I Farnese, figurò lo Sposalizio mistico di Santa Caterina, «figurata nostra Donna sedente sopra una nube col Bambino in seno, che mette l’anello nel dito della Santa in ginocchione, l’Angelo gli regge il braccio; figure non intiere e ridotte con la medesima perfezione ed idea».

Sposalizio mistico di Santa Caterina (Museo Nazionale di Capodimonte)

Annibale raggiunse il fratello, Agostino, a Venezia, dove ebbe agio di conoscere Paolo Veronese, Tintoretto, Bassano, che più volte lo ricevette in casa.

Elemosina di San Rocco (Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda)

Nel 1587, Annibale dipinse l’Elemosina di San Rocco (oggi al Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda)  per la Confraternita di San Rocco di Reggio Emilia.

«Situato S. Rocco da un lato del quadro, fintovi il portico d’un cortile, dov’egli asceso sopra un basamento rilevato dispensa le sue ricchezze per amore di Giesù Christo. Vedesi di profilo, e tiene la borsa aperta con una mano, con l’altra distribuisce le monete, e sotto si sforzano i poveri, alzandosi in punta de’ piedi, con le mani e i figliuolini in collo; tra quali s’avanza la spalla, e ‘l braccio d’una donna, che stende una scodella e vi riceve dentro l’elemosina dal Santo. Dietro un orbo con una mano tiene l’archetto e la viola, con l’altra s’appoggia alla spalla d’un garzone, che s’inoltra fra quei poveri col braccio avanti per avvicinarsi, e nel tempo stesso si tira dietro l’orbo per un lembo. Sono quelle figure collocate in un piano elevato da due scaglioni, donde scende una madre con un figliuolino in braccio; posa ella un piede in terra, e piega il volto, guardando in dietro a gli altri poveri, che hanno ricevuto l’elemosina e questa nel suo placido moto e nell’andamento, dimostra la quiete e ‘l contento dell’animo per haver ricevuta anch’essa l’elemosina, stringendo la borsa piena, nell’abbracciare il figlio. Sotto il Santo un infermo nella carriuola vien condotto da un giovine vigoroso e forte, ignude le spalle e le braccia, tenendo i manichi del carro nello spinger la ruota; e quanto egli si mostrerà valido e robusto, altrettanto l’infermo esprime il languore delle membra e del volto flebile, nel giacer supino, con una gamba raccolta avanti e la mano pendente dal carro con la corona in divotione.

Seguono in lungo gli altri poveri, che hanno ricevuto l’elemosina; ove nel primo piano siede e si stende in terra una donna appoggiata col braccio a certi sassi e pietre nel cortile, la quale numerando le monete su la palma della mano, le lascia cadere sotto in una scodella e nel tempo istesso volgesi attratta verso l’infermo che vien condotto nel carro. Dietro apparisce un huomo fino le ginocchia inclinato ad una di quelle pietre, numerandovi sopra le monete, distinguendole col dito. Vi siede appresso un padre, che gli volge le spalle e sedendo incavalca le ginocchia con le gambe ignude vedute di profilo in attitudine di riposo e con vago scherzo attende ad un figliuolino, che gli pone una mano su la gamba e lieto con l’altra gli mostra uno scudo d’oro col pugno aperto; ma egli intanto che si arresta mirando, travolge le braccia dal contrario lato, ove sostiene ritto in piedi su quelle pietre, un bambino, che puerilmente alza la camiciuola e vi raccoglie dentro l’elemosina, volgendoli anch’egli a quello scudo d’oro mostrato dal fratello, dietro ‘l quale fermai intenta una fanciulla, stringendosi la borza al seno con altre figure in atto di ammirare la gran carità del Santo.

Questi e altri affetti andò spiegando Annibale e compì un attione perfetta di moti naturali, de’ quali egli era osservantissimo; finché s’avanza il colore alla vita, ed al senso d’ogni figura».

Agostino, Annibale, Ludovico Carracci – La storia di Roma (Palazzo Magnani, Bologna)

I tre artisti Carracci furono chiamati ancora a collaborare, nel 1590, per Lorenzo Magnani nell’affrescare la Storia di Roma, che rese «glorioso il nome di Carracci in tutte le parti della pittura, e nel colorito principalmente, che tiensi dal loro pennello e nell’età nostra uscisse il migliore. E’ diviso il fregio in quattordici storie di Romolo, cominciando dalla lupa fino la deificatione. Vedesi Romolo, che batte i pastori di Numitore fuggitivi fra gli armenti: giace l’uno supino tra’ suoi piedi in terra; mentre egli vibra il nodoso bastone contro di un altro, che si volge indietro e con esso volgere un giovine con la mano al capo, e par che si dolga della percossa. Sono figure ignude ne’ moti loro naturalissime. Segue Remo con le braccia legate indietro e condotto avanti Numitore, che dal seggio stende verso di lui la mano; e appresso vi è il Re Amulio assalito da i due fratelli. Romolo a destra lo prende ne’ capelli sopra la fronte senza il diadema e stringe il ferro ignudo; Remo a sinistra afferra al petto il real manto, ed arretra l’altra mano per ferirlo. Mentre un altro armato avanti spinge l’hasta e lo trafigge cadendo Amulio indietro nel leggio. Succede l’edificatione di Roma, e le mura disegnate con l’aratro. Romolo armato guida i buoi, e addita il luogo delle porte della Città a gli agricoltori, che alzano il vomero e le ruote, lasciando quello spatio intatto dal folco e gittando dentro le zolle. L’asilo è figurato in un tempio lungi fra le rupi e ‘l bosco del Campidoglio; vi sono due, che rifuggono veduti avanti in mezze figure; uno di loro impugna la spada e stende l’altra mano alla sicurezza del luogo. Dopo si rappresenta il ratto delle Sabine; Romolo dà il segno nel teatro a’ suoi soldati; altri le abbraccia, altri se le reca su le spalle piangendo, e esclamando le donne rapite, senza difesa e in preda alle voglie, e violenza de’ soldati. Nel mezzo una di loro cade con le ginocchia e con una mano in terra, stretta al seno da un armato, che l’abbraccia dietro, dov’ella respingendolo con la mano all’elmo, vien presa da lui nel braccio, e si difende invano. Sono l’altre figure in piedi e quella cadendo espone con le braccia il petto e le mammelle, attraversate da un picciol velo e travolge la faccia dolente coi capelli sparsi. Segue Romolo armato, che porta le spoglie opime del Re Acrone, per consacrarle a Giove. La battaglia fra Romani e Sabini, espressavi la pietà di una donna, la quale sparsi i crini e le poppe ignude, porta un figliuolino in braccio e ritiene il fratello, che non uccida il marito caduto a terra. Appresso vedesi Tatio, che sacrificando in Lavinio, viene ucciso da’ Laurenti, per non haver punito gli uccisori de’ loro Ambasciadori, cade egli avanti l’altare trafitto il collo da un soldato con l’hasta, un altro l’afferra nella spalla e gli volge il pugnale al petto. Sta Romolo ginocchione al sacrificio e per la sua giustitia viene lasciato in vita.

Succede la vittoria contro Veio e ‘l vecchio inesperto Capitano schernito fra prigioni, con la vette di porpora e la bulla pendente dal collo a guisa di fanciullo, precedendo il Nuntio con la tromba. Rappresentasi dopo Romolo che fattosi Re, circonda le mura di Roma coi littori avanti, seguito da suoi soldati. Va egli in habito regio superbamente armato col paludamento di porpora e con l’elmo cinto di corona radiata d’oro. In ultimo si vede Romolo deificato, che apparisce a Proclo e si mostra in aria armato, additandogli la sua ascensione al cielo. Sta Proclo ginocchione con le braccia aperte, l’adora e lo riguarda per meraviglia.

Ammirasi in tutta quell’opera tanto Annibale quanto Ludovico e Agostino, il quale pare incredibile, che impiegato di continuo al bulino e all’intaglio, prendesse all’hora il pennello e riuscisse più pittore che intagliatore.

Oltre di ciò si stima che non poco giovassero li costumi di Annibale, senza invidia e senza ambitione, esercitandosi con gli altri due in una medesima scuola, che era maestra».

Tornato a Bologna, dipinse nel 1592 il quadro della Cappella Bonasoni presso la chiesa di S. Francesco dei Conventuali l’Assunzione (oggi alla Pinacoteca Nazionale di Bologna) « portata al Cielo dagli Angeli, con gli Apostoli al sepolcro in astrattione di meraviglia, che è ancora opera degnissima».

Assunzione Bonasoni (Pinacoteca nazionale di Bologna)

Dipinse per la chiesa di San Giorgio Madonna col Bambino in trono e i Santi Giovannino, Giovanni Evangelista e Caterina d’Alessandria (1593) (oggi presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna): «nel mezzo sopra un piedestallo la Vergine assisa col Bambino, ed appresso San Giovanni fanciullo: opera lodevole quanto mai si possa commendare».

Madonna col Bambino in trono e i santi Giovannino, Giovanni evangelista e Caterina d’Alessandria Pinacoteca nazionale di Bologna)

Sempre nello stesso anno, Annibale fu impegnato nella realizzazione della Madonna in gloria sulla città di Bologna (oggi conservata presso la Christ Church Picture Gallery di Oxford), per la cappella di casa Caprari.

Per il Collegio dei notari, descrisse la Vergine che appare a San Luca e Santa Caterina (oggi al Louvre).

Vergine che appare a San Luca e Santa Caterina (Louvre)

Negli affreschi di Palazzo Sampieri Talon, si distinse nel dipingere Cristo e la Samaritana; la Resurrezione di Cristo in Palazzo Angelelli (oggi al Louvre), «la cui eccellenza fu da Annibale istesso col suo nome significata ANNIBAL CARRATIVS PINGEBAT MDXCIII

Cristo e la Samaritana (Pinacoteca di Brera)
La resurrezione di Cristo (Louvre)

«Sorge il Redentore in mezzo la luce circondato dagli Angeli che aprono intorno le nubi, solleva la destra in atto di pacificatore, e trionfante, portando con la  sinistra la vittoriosa insegna della Croce. Destansi le guardie dal sonno per lo spavento del tremuoto e tra esse un alfiere sorgendo allo scuotimento improvviso, fassi riparo con una mano e con l’altra tiene la bandiera. Finse avanti un soldato a dormire supino in terra, rovesciando il braccio dietro il collo sopra la faretra, e con l’altro a giacere boccone sopra la pietra del monumento, con la testa piegata fra le braccia, mentre occupato dal sonno, non si accorge della uscita del Signore fuori del monumento che per miracolo resta chiuso. Figuratovi più lontano un altro di loro, che addita il suggello e la chiusura del marmo. Lo spirito della quale inventione vive in ogni figura per quanto può la forza del colore, fintovi un lontano fra le tenebre della notte, e la luce del giorno. Questo quadro fu dipinto per un Mercante, ne’ cui libri leggevasi notata la partita di pagamento fatto a Messere Annibale, d’alquanto grano, vino e denari: così grande era all’hora la parsimonia della patria, nella quale non era ancor venuto Guido a remunerare la Pittura».

Nel 1594, Annibale fu chiamato a Roma dal cardinale Odoardo Farnese, perché adornasse la sua galleria col Cristo e la Cananea (oggi alla Pinacoteca Stuard di Parma), «prostrata avanti Christo in atto di supplicarlo; accennando ella il cane, che rode i minuzzoli di pane, mentre Christo assicura la donna con la mano e approva la sua gran fede. Quelle due figure hanno il campo in una veduta d’alberi con rustici cadimenti lontani».

Cristo e la Cananea (Pinacoteca Stuard di Parma)

Presto fu raggiunto dal fratello Agostino, perché lo aiutasse nella lavorazione della Galleria. Si narra che un giorno, «esaltando, in compagnia d’alcuni, il gran sapere degli Antichi nelle statue, si diffuse nelle lodi del Laocoonte; e vedendo che ‘l fratello, senza dir nulla, poco attendeva alle sue parole, se ne dolse e lo riprese, quasi non apprezzasse così stupenda scoltura. Seguitando egli dopo a dire con attentione de’ circostanti, Annibale voltatosi al muro, disegnò col carbone quella statua sì giustamente, come se l’havesse havuta avanti ad imitarla. Del qual fatto restarono gli altri ammirati e fi ammutì Agostino, confessando che ‘l fratello meglio di lui haveva saputo dimostrarla. All’hora partendosi Annibale, gli si voltò ridendo e disse: li poeti dipingono con le parole, li pittori parlano con l’opere, la qual risposta feriva in più modi Agostino, che componeva versi  e si pregiava molto del nome di poeta».

Giunse da Parma la copia di Santa Caterina, dipinta da Lucio Massari, valente imitatore dei quadri di Annibale, il quale «di sua mano la mutò in Santa Margherita, come si vede nel primo altare della Chiesa di Santa Caterina de’ Funari.

Santa Margherita (Chiesa di Santa Caterina dei funari, Roma)

Sta la Santa appoggiata in cubito ad un piedestallo di marmo, in cui è scritto SURSUM CORDA e addita il cielo; posa l’altra mano col libro su ‘l ginocchio, tenendo la palma; e è bellissimo l’atto nel volgere con la testa in faccia al lume ombreggiando il ginocchio sollevato in profilo, col drago sotto il piede. Collocato il quadro su l’altare, per la novità, vi concorsero li pittori; e fra li varij discorsi loro, Michel Angelo da Caravaggio, dopo essersi fermato lungamente a riguardarlo, si rivolse e disse: mi rallegro che al mio tempo veggo pure un pittore, intendendo egli della buona maniera naturale, che in Roma e nell’altre parti ancora affatto era mancata. Fece Annibale il disegno dell’ornamento di legno dorato dell’altare; e nel frontespitio colorì ad olio in due mezze figure Cristo, che incorona la madre».

(continua)

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