La poesia di Giacomo Leopardi: All’Italia, Sopra il monumento di Dante, Il passero solitario

L’esistenza di Giacomo Leopardi fu assai povera d’avvenimenti, chiuso, sin dai primi anni di vita, nella biblioteca di famiglia, per studiare ed istruirsi e poi riconoscere la superiorità del pensiero antico rispetto al suo presente.

Il primo frutto poetico dell’abitudine intellettuale di Giacomo furono le due canzoni All’Italia e Per il monumento di Dante, composte nel 1818.

Nella prima canzone, appare evidente l’imitazione del Petrarca anche a fronte di una ispirazione poco originale, poiché molte immagini sono via via tratte da un armamentario retorico piuttosto che dalla coscienza storica e morale del tempo. La poesia non sembrerebbe sgorgare dal cuore dello Scrittore, sofferente per i guai che lamenta, ma cesellata su un gusto classico greco. La canzone è suddivisa in due parti distinte; nella prima vi sarebbe molta enfasi, abuso d’interrogazioni, e quasi una concitazione artificiale in assenza di entusiasmo lirico.

Giacomo parla, sin dall’inizio, all’Italia come estensione di territorio e non come personificazione:

O patria mia, vedo le mura e gli archi

e le colonne e i simulacri e l’erme

torri degli avi nostri,

quindi la patria diventa un’astrazione:

Or fatta inerme,

nuda la fronte e nudo il petto mostri.

In verità, il sentimento patriottico non si rivelò all’animo del Poeta, poiché non ricevette alcuna condizione favorevole dall’ambiente esterno, né ebbe modo di conoscere i moti politici, che si stavano preparando e quindi l’impossibilità di prenderne viva parte. L’amore per la patria e per la cultura avrebbe giganteggiato nell’animo di Giacomo, grazie alla sua natura nobile ed inclinata verso i grandi affetti, e per lo studio dei classici, di cui ammirava la grandezza e la bellezza. In conclusione, non si allontanò troppo dagli abiti formali della nostra tradizionale lirica d’arte, classificandosi, secondo la stima del Carducci, quale scudiero dei classici.

La canzone fu pubblicata nel 1818 quale – sembrerebbe – anticipatrice dei moti del ’21, di cui il Leopardi si sarebbe mostrato quale felice vaticinatore della redenzione.

Sopra il monumento di Dante denuncerebbe minor movimento seppur più lunga di quasi un terzo della prima. La sufficiente ispirazione è sostituita dalla calda eloquenza, grazie ad un andamento grave, alla solennità dei concetti espressi; la costruzione delle strofe corrisponderebbe alla nostra canzone classica.

Spirti v’aggiunga e vostra opra coroni

Misericordia, o figli,

E duolo e sdegno di cotanto affanno

Onde bagna costei le guance e ’l velo.

Ma voi di quale ornar parola o canto

Si debbe, a cui non pur cure o consigli,

Ma de l’ingegno e de la man daranno

I sensi e le virtudi eterno vanto

Oprate e mostre ne la dolce impresa?

Quali a voi note invio, sì che nel core,

Sì che ne l’alma accesa

Nova favilla indurre abbian valore?

L’imitazione petrarchesca si rivelerebbe nei seguenti versi:

Se di cosa terrena,

Se di costei che tanto alto locasti

Qualche novella a i vostri lidi arriva,

Io so ben che per te gioia non senti,

Chè saldi men che cera e men ch’arena,

Verso la fama che di te lasciasti,

Son bronzi e marmi; e da le nostre menti

Se mai cadesti ancor, s’unqua cadrai,

Cresca, se crescer può, nostra sciagura,

E in sempiterni guai

Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.

In queste due prime canzoni, Leopardi ancora non si sarebbe rivelato a se steso, scegliendo di rimaneggiare una materia, a cui in greco, in latino ed in italiano, una folta generazione di poeti aveva recato molteplice contributi di concetti e di figure.

Il 1819, si distinse come uno degli anni più tristi nella pur breve esistenza del Poeta, così come descritti nelle lettere al Giordani, raggomitolato nel proprio dolore. Uscito dalle due burrasche amorose del ’17 e del ’18, impossibilitato a studiare, è costretto a volgersi alla meditazione solitaria e fantastica, durante le lunghe passeggiate nella natura in contemplazione dei poggi circostanti o guardando l’amica luna dalle finestre domestiche, eterna amica e confidente dei poeti.

I canti, composti in questo periodo, furono nomati idilli, quali quadri delicati dove Giacomo stillò con qualche spasimo di sentimentalità, la compressa passione.

Furono pubblicati tra il 1825 ed il ’26 nel Nuovo ricoglitore e collocati dopo alcuni Canti composti dopo il 1820, essi accennano ad un probabile rimaneggiamento posteriore. Gl’idilli sono i seguenti: Il passero solitario, Alla luna, Il sogno, La vita solitaria e La sera del dì di festa, cui aggiungiamo il Consalvo, pubblicato nel ’35.

Il passero solitario è una canzone a strofe libere, perfetta nella presentazione classica e nei contorni nettamente disegnati con incredibile moderazione, nella descrizione della realtà e nell’atteggiamento artistico.

Sulla torre della chiesa di S. Agostino in Recanati, sembra ci fosse un passero solitario, ma al di là della sua certificata presenza, il Leopardi si dimostra testimone del vero, dal quale mai si collocherebbe al di fuori, cogliendone i lineamenti essenziali, al fine di costruire la base della sua idealizzazione. Il passero è il simbolo della sua vita sciagurata; sempre solo, perso nella campagna, si lamentava:

Ohimé, quanto somiglia

Al tuo costume il mio!

I primi versi appaiono come una pittura classicamente leggiadra, in cui sono descritti i mirabili aspetti del Poeta: il canto, la primavera che profuma l’aria e tutte le circostanze significate sembrano intrise della sua anima, al fine di scolpirle. Ma ciò purtroppo scompare nell’attimo in cui descrive la festa circostante, il mondo che cerca di sorridergli, ma ormai il tempo è passato, ed egli si sta perdendo nella sfiorente giovinezza. Egli non partecipa. Nella prima parte, descrive l’abitudine solitaria dell’uccello nel risveglio della primavera; nella seconda le sue tristi abitudini; nella terza, riassume le due antitesi iniziali in un’altra tesi conclusiva.

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Giacomo Leopardi: muore giovane chi è caro agli dei

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Alla disperata ricerca di un’occupazione

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L’arrivo a Roma

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La fuga da Recanati

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L’infanzia

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Lettera di Giacomo Leopardi a Pietro Giordani del 30 aprile 1817

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Breve commento a «La vita solitaria»

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2 pensieri riguardo “La poesia di Giacomo Leopardi: All’Italia, Sopra il monumento di Dante, Il passero solitario

  1. I passeri di norma si beccano nella competizione sul cibo e la femmina. ma credo non soffrano come l’uomo. Ma Leopardi sa immedesimarsi nella natura quale sua prima compagna. Grazie

    1. Nella prima fase della sua pur breve vita, la natura fu l’unico retaggio di serenità, poi subentrò la disperazione cupa e drammatica.

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