«Paolo Uccello, pittore fiorentino. Discepolo di Antonio Veneziano» tratto dalle «Notizie de’ Professori di Disegno da Cimabue in qua» di Filippo Baldinucci.

Paolo Doni detto Uccello nacque a Pratovecchio, in provincia di Arezzo, il 15 giugno del 1397 e morì a Firenze il 10 dicembre del 1475. Secondo quanto scritto da Giorgio Vasari, il cognome gli fu assegnato per la capacità straordinaria di ritrarre uccelli.

«Fu questi dunque nell’operar suo diligente quanto altri mai, ma quello in che egli si rendé più segnalato, si fu il molto discostarsi ch’ei fece dalla vecchia maniera; fu il primo che coll’esempio e coll’indirizzo di Filippo di ser Brunellesco, ponesse studio grande ella prospettiva, introducendo il modo di mettere le figure su’ piani, dove esse posar devono diminuendole a proporzione. Il che da’ maestri avanti a lui si faceva a caso, e senz’alcuna considerazione. Per tali sue abilitadi fu egli in questa sua patria come professore primario riputato».

Affreschi di Santa Maria Novella, Firenze

Tra il 1425 ed il 1430, realizzò il ciclo pittorico della Creazione degli animali, La Creazione di Adamo, La creazione di Eva e Il peccato originale, la Cacciata dal Paradiso terrestre e Lavoro dei progenitori, Caino e Abele, L’uccisione di Caino) e l’Arca di Noè, Il diluvio Universale e Ebbrezza di Noè presso il chiostro di Santa Maria Novella.

«Espresse in queste opere un altro suo nuovo capriccio, che fu di rappresentarvi alberi diversi, coloriti di loro proprio colore, per entro paesi ben digradati in prospettiva, cosa allora da altri poco e male usata; onde può dirsi che egli, per avere tanto migliorata tal facultà, meriti la lode di esserne stato fra noi quasi inventore, onde egli abbia a quei che son venuti dopo di lui scoperta gran luce, per andarla conducendo a poco a poco a quel segno, ove ella è giunta».

Raccontò il «gentiluomo fiorentino, Francesco Rondinelli, Bibliotecario del Serenissimo Granduca di Toscana che un giorno il celebre Angelo Poliziano passeggiasse per quel chiostro, ammirando quelle pitture del nostro Paolo, delle quali niuna migliore aveva veduta quel secolo; e con tale congiuntura dando l’occhio nel Sacrifizio d’Abele e di Caino, dipinto però da altra mano di gran lunga inferiore; e sentendosi svegliare da vago spirito di bizzarro componimento poetico, trattosi di tasca un suo stile, o vogliamo dire matitatojo con matita rossa, a lettere antiche romane di piccola proporzione nel sodo dell’altare del Sacrifizio scrisse di propria mano l’appresso notato verso; bello non tanto per l’aggiustatezza del significato, appropriatissimo a quell’opera, quanto per la spiritosa allusione, che il medesimo verso indifferentemente fa ai sacrifizj dell’uno e dell’altro fratello, che si veggono uno a destra e l’altro a sinistra dell’Altare e tale allusione con diversità di senso si fa con non più, che con leggere il verso prima a diritto, e poi a rovescio. In questo modo nel leggersi da man destra, ove è rappresentata la persona d’Abele, dice così:

Sacrum pingue dabo, non macrum sacrificabo.

E leggendosi dalla parte opposta, ove si scorge la figura di Caino, dice:

Sacrificabo macrum, non dabo pingue Sacrum».

Purtroppo, le intemperie ed il passar del tempo, scrostarono l’intonaco dal muro, la frase andò perduta.

«Fu anche cosa in quei tempi degna di ammirazione l’avere Paolo uccello nell’opera del Diluvio, che abbiamo di sopra accennata, diminuite in prospettiva alcune figure distese sopra l’acqua, e disposte in attituidni diverse con bella invenzione. E non è da tralasciarsi che nella persona di Cam, figliuolo di Noè, egli rappresentò al vivo l’effigie di Dello Fiorentino, pittore ne’ suoi tempi eccellente nel dipignere i Cassoni, che si usavano fra la nobil gente per riporre in essi gli arredi e abbigliamenti più nobili delle spose novelle; e fu anche rinomato scultore».

Nel 1436, Paolo Uccello lavorò presso il sito di Santa Reparata, antica cattedrale fiorentina, su cui sarebbe sorta Santa Maria del Fiore. Anche molte altre opere andarono disperse.

Tra il 1447 ed il 1454, realizzò presso la Basilica di San Miniato al Monte in Firenze le Storie dei Santi eremiti.

«Egli fu pure inventore di quelli che i pittori chiamano svolazzi de’ panni posti addosso alle figure, che fatti a tempo e a luogo non lasciano di apportare loro spirito e vaghezza, e ai componimenti dell’istorie adornamento e bizzarria. Visse Paolo Uccello fino all’età decrepita, e finalmente nel settantottesimo anno, egli ancora operava bene, pagò il debito alla natura.

Fu questo artefice persona astratta e semplice anzi che no, e che fuori che le opere di Euclide, le quali fu solito studiare assai assistito da Giovanni Manetti gran letterato e suo amicissimo, appena forse vide mai libri; conciossiacosaché si scorgano ne’ suoi componimenti in pittura notabili errori d’istoria e altri s’ fatti. E fra gli altri nell’opera sopraccennata dell’entrare che fecero nell’Arca Noè co’ suoi congiunti, fece vedere fra essi una veneranda donna, che genuflessa in atto divoto stassi colla corona in mano».

Nel realizzare l’Arco del Peruzzi in Firenze, Paolo espresse tutto «il suo genio all’opere di prospettiva, dipinse a figure cube o dadi, quando fu alle quadrature delle cantonate, volle farci i quattro Elementi, ne’ quali rappresentò quattro animali, cioè a dire; per la Terra una Talpa, per l’Acqua un pesce, pel Fuoco la Salamandra, e per l’Aria volle figurare il Camaleonte. E come quelli che non aveva mia né letto né veduto quale fosse la forma di questo animale, portato forse dal suono ampolloso di quel nome di Camaleonte, lo credé essere qualche grossissima bestiaccia, e riflettendo per avventura a quel poco di principio del nome di lui, che ha il Cammello, coll’aggiunta dell’essere così grande e grosso, diedesi a credere che egli non potesse essere altri che esso. E così di punto in bianco dipinsevi un bel cammello, che inginocchiato in terra, come è solito di quegli animali, sta colla bocca aperta attraendo l’aria, quasiché voglia di quella empiersi il ventre».

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