Nel 1963, Pier Paolo Pasolini fu condannato a quattro mesi di reclusione per aver vilipeso la religione cattolica nel film La ricotta. Fu la prima volta nella storia giudiziaria del nostro Paese, che un regista ricevesse una condanna a causa del contenuto espresso in un film.
Pasolini aveva dichiarato che non era intenzionato affatto a vilipendere la religione, ma di essersi riservato di descrivere, «sotto il profilo poetico», un personaggio «vivo e vero» quale Stracci, una comparsa di un film di contenuto biblico nella parte del «ladrone buono».
Affermò il regista di aver lasciato «vicino a Stracci la Passione di Cristo, che veniva ad essere così la proiezione concreta e visiva di un elemento ideale e intimo del mio personaggio.
P. M. – Ma cosa vuol dire religiosità?
Pasolini – Quella che contraddistingue un personaggio come lo Stracci è una religiosità condita di superstizione, che non è davvero quella di teologi. E’ una religiosità semplice e istintiva, che gli consente di credere a Dio e ai Santi.
P. M. – Come spiega allora che Stracci, alla comparsa che interpreta Cristo sulla croce, il quale gli dice: “Oggi stesso sarai con in Paradiso”, risponde: “Ma io starebbe tanto bene su ‘sta terra”?
Pasolini – Ma sono due battute scherzose, queste!
Avv. Berlingieri (difensore) – Perché ha scelto due quadri classici da imitare per le scene della deposizione dalla croce?
Pasolini – L’intenzione fondamentale era di rappresentare accanto alla religiosità di Stracci la volgarità ridanciana, ironica, cinica, incredula del mondo contemporaneo. Questo è anche detto nei miei versi che il regista Orson Welles legge in una scena del film. Per comprendere bene il senso del film è necessario comprendere bene il senso di questi versi. Intorno alla religiosità primitiva dello Stracci ho voluto rappresentare una sarabanda d’incredulità, di cinismo, d’ironia, di miscredenza in tutti i livelli del mondo contemporaneo, dal vertice alla base. Al vertice è il produttore, con i suoi interessi economici, poi il regista, animato di una religiosità decadentistica, il quale, uomo accorto, ha venduto l’anima al diavolo dirigendo un film insinceramente.
Ho scelto i quadri del Pontormo e del Rosso Fiorentino perché questi pittori rappresentano, nel momento della grandezza rinascimentale, l’inizio dell’inaridirsi della pittura e sono perciò fuori della iconografia classica.
Il P. M., Giuseppe Di Gennaro, contestò un’imputazione generica a Pasolini, «rappresentando, col pretesto di descrivere una ripresa cinematografica, alcune scene della passione di Cristo, dileggiandone la figura e i valori col commento musicale, con la mimica, col dialogo e con altre manifestazioni sonore, nonché tenendo per vili simboli e persone della religione cattolica».
Con l’aiuto di un proiettore, il P. M. mostrò ai giudici le scene del film incriminate: la corona di spine che il regista tenta di sistemare sul capo dell’attore, che interpreta il ruolo di Cristo; la deposizione di Cristo dalla croce e che, per un errore del tecnico del suono, nella finzione scenica viene accompagnata da un brano di musica twist, prima che venga inserita nella colonna sonora una musica di Scarlatti; un’esibizione di spogliarello compiuta da una comparsa dinanzi al protagonista del film; le grida di “Via i crocefissi”, secondo l’ordine impartito dal regista, che è interpretato da Orson Welles; l’epiteto di “cornuti, cornuti!”, che l’aiuto regista rivolge ad alcune comparse per gli errori compiuti, mentre stanno girando la scena; il commento non ortodosso di una comparsa, che, durante la pausa del film, mangia seduto su una croce.
La difesa nella replica controbatté che il mondo cattolico si era espresso a favore dell’assoluzione del Regista, pur sconsigliando la visione del film.
«La storia del film – ricordò l’avvocato Berlingieri – è tutta nella storia di Stracci e della sua vita sventurata. E’ un personaggio pervaso di religiosità, come viene provato dal suo comportamento, quando è vittima degli scherzi volgari dei compagni mentre si accosta alla Croce in attesa che venga girata la scena conclusiva del Calvario; quando il cane della prima attrice mangia il contenuto del cestino, col quale avrebbe voluto sfamarsi; quando muore. Dov’è nel film l’idea di dileggiare la religione? Dov’è un pensiero blasfemo? Un episodio fra tutti sembra avere impressionato il P. M.: quello relativo alla “corona” di spine sistemata sul capo del Cristo nella scena della crocifissione: ebbene, vi è da dire che quando questa “corona” viene ripresa in primo piano, cessa ogni rumore, ogni musica e per qualche attimo regna il più profondo e raccolto silenzio; non significa questo che Pasolini intendeva rispettare il simbolo più elevato della religione cattolica?»