La «Cappella Ovetari» della chiesa degli Eremitani in Padova di Andrea Mantegna

Tra il 1448 ed il 1457, Andrea Mantegna affrescò la Cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani di Padova. L’ancor adolescente Andrea fu assegnato ad un gruppo di pittori, cui erano state pregiudicate delle scene da affrescare, quando nel corso del lavoro ne assunse la direzione.

In questo straordinario ciclo, Mantegna apparve come un esperto drammaturgo, specialmente nella dipintura delle scene, che si trovano nella zona più in basso.  

San Giacomo condotto a morte

In una scena memorabile, San Giacomo è ritratto, nel momento in cui è condotto da alcuni soldati romani verso l’esecuzione (S. Giacomo condotto a morte).

Nella scena vicina, che ne illustra il Martirio, al fine di realizzare una coinvolgente e realistica rappresentazione, si evidenzia un elemento architettonico in marmo, entro il quale la testa cadrà. La verosimiglianza è anche magnificamente espressa dal corteo dei presenti, i quali non appaiono affatto meno importanti del protagonista nell’esprimere la tensione dell’atto in svolgimento.

La leggenda racconta che San Giacomo, prima di essere avviato al martirio, guarì un paralitico, che si trovava sulla strada, inducendo il suo boia, che indossa delle scarpe con le suole consumate, a chiedergli perdono per il grave atto, che avrebbe di lì a poco commesso. Mantegna immaginò che la guarigione avvenisse poco prima che il santo attraversasse l’arco romano, ingiungendo così anche la conversione del boia quale fulcro drammatico della composizione. Il suo gesto è disprezzato dagli astanti, disposti su un terreno fortemente inclinato, così come si evince dall’espressione del viso, mentre una porzione della scena è occupata da un visibile alterco tra due personaggi, esposti in primissimo piano alla destra dell’affresco, per contrastare l’azione benevola del santo, dove il soldato usa la lancia, per respingere l’uomo infuriato, che lo sta scalciando.

La figura col turbante imbraccia un lungo palo, al termine del quale il simbolo della Giustizia e lo stendardo al di sotto sembrano in balia di un forte vento, simbolo della precarietà della tragica decisione. L’arredo urbano non ricorda affatto il periodo storico dell’evento, avvenuto nel I secolo d. C., poiché Mantegna ideò un arredamento rinascimentale, perché i fedeli vivessero l’episodio quale estensione del proprio mondo quotidiano.

Come un eccellente romanziere, Mantegna coinvolge lo spettatore presentando nell’espansione narrativa l’attenzione verso il dettaglio (le suole delle scarpe consumate del boia), ma evitando che la concentrazione cada su un singolo evento rappresentato. Egli presenta i protagonisti all’interno del dramma perpetuo della vita, dove inspiegabilmente convivono la crudeltà e la tenerezza ed, a volte, l’indifferenza.

Rilievo di Dontaello

Diversi furono gli attori, che influirono sul gusto del Mantegna; primi fra cui i rilievi in bronzo eseguiti da Donatello, tra il 1146 ed il ’49, presso la Basilica di Sant’Antonio da Padova, che presentano una complessa stratificazione architettonica rivelata in un’ampia gamma espressiva, e li collocano tra le composizioni più innovative, complesse e coinvolgenti di tutta l’arte italiana. Donatello si stabilì nella città veneta nel 1443, quando Mantegna stava per raggiungere la maggior età. L’opera dello scultore fiorentino avrebbe sicuramente cambiato la storia della pittura rinascimentale in Italia.

Jacopo Bellini invece influì nell’indagine pittorica di Andrea nel favorire la discorsività del gesto, che non fu mai sacrificata alla dimostrazione della padronanza dello spazio prospettico.

L’universo della pittura olandese influì altresì grazie alla sua maestria descrittiva, capace magicamente di abbracciare l’intero mondo visivo.

Adorazione dei pastori
Borso d’Este (1605 – 1657)

Mentre Mantegna era impegnato nella dipintura della Cappella Ovetari, realizzò la piccola Adorazione dei pastori (1450 – 51), probabilmente per Borso d’Este, poiché sono presenti dei simboli araldici, cari al signore di Ferrara. Nel 1598, il nipote di papa Clemente VIII, il cardinal Pietro Aldobrandini lo portò a Roma, per ospitarlo nella collezione d’arte di famiglia; quindi attorno al 1800, fu acquistato dal mercante britannico Alexander Day.

Leonello d’Este (1407 – 1450)
Rogier van der Weyden – La deposizione di Cristo

Qualora l’Adorazione fosse stata dipinta per la corte estense, si spiegherebbe meglio l’influenza del pittore olandese Rogier van der Weyden, il quale, nel 1435, aveva ricevuto la commissione di realizzare la Deposizione di Cristo da Leonello d’Este, fratellastro di Borso. Ciò chiarirebbe inoltre la evidente somiglianza con il tratto del grande maestro olandese, nel definire i lineamenti grossolani dei pastori, individuati dal Mantegna.

Presso la Corte, si praticò, grazie a Guarino da Verona, precettore di Leonello dal 1429 fino alla morte sopravvenuta nel 1460, una particolare forma poetica: la Ekphrasis, con cui si descriveva un’opera d’arte, stabilendo correlazione tra le varie sezioni. In una sua creazione, Guarino elogiò la capacità del Pisanello – artista prediletto da Leonello – di evocare gli effetti della natura nella descrizione del suono delle onde infrangenti o dei piacevoli sollazzi della primavera.

Probabilmente l’Adorazione seguì la semantica dell’Ekphrasis, poiché la natura descritta sembrerebbe ricalcare la definizione del Guarino, come nell’arancio, al quale è appoggiato San Giuseppe, che mostra frutti rigogliosi e nel salice, che, appena potato, mette nuovi germogli. Egli è vestito classicamente ed offre un prezioso contrappunto ai due pastori, che indossano abiti visibilmente logori e contemporanei, colti in procinto d’inginocchiarsi: il primo con le mani giunte, l’altro dopo essersi tolto il cappello. La Vergine appare rapita nel devoto sguardo verso il Bambino adagiato, il quale è circondato da dei cherubini. Infine, è da notarsi il contrasto tra le rocce, disposte in primo piano, ed il piano verde lontano.

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