Francesco De Sanctis. In commemorazione del Conte di Cavour

Camillo Benso, conte di Cavour (1810 – 1861)

Il 6 giugno 1861, morì Camillo Benso, Conte di Cavour, primo Presidente  del Consiglio del neonato Regno d’Italia.

Il 24 giugno, si tenne la solenne commemorazione alla Camera, a cui partecipò il Ministro dell’Istruzione pubblica, Francesco De Sanctis, il quale nel suo intervento rimpianse la perdita dell’insigne uomo politico, ricordando come fosse prassi «combattere gli uomini quando sono vivi e deificarli morti». Questo modo di pensare non si sarebbe potuto condividere, quando si sarebbe fatto dei morti «un’arma contro i vivi: quando dalla morte dell’onorevole deputato Di Cavour, si vuol dedurre il pensiero che quella Tebe, quella Atene, quella Macedonia, quelle parti diverse, le quali egli, Alessandro, aveva unificato, cadute in mano a’ suoi generali, possano portar pericolo di disgregarsi».

De Sanctis richiamò all’attenzione dei deputati convenuti l’interessante eredità del Cavour, consistente in un sistema, che l’aveva condotto alla fama ed alla grandezza da tutti riconosciutagli, che s’instaurò, quando il popolo piemontese portò nella sua anima l’Italia con tutte le sue aspirazioni. Continuò quindi il Ministro:

«Alessandro è morto, sono rimasti i suoi generali […], ma un grand’uomo non muore mai tutto; egli lascia alcun che d’immortale, l’anima; e per questo intendo il pensiero, la volontà sua, i suoi libri, tutto insomma ciò che opera sulla generazione contemporanea, tutto ciò che lascia profonda impressione in coloro che appartengono alla sua politica». De Sanctis insiste, giustamente, sull’essere e non sull’avere. La nostra eredità eterna si compone esclusivamente del prodotto del nostro pensiero; ecco il vero lascito.

«Questo è ciò ch’io chiamo l’immortalità del grand’uomo, non nell’altro mondo solo, ma anche in questo mondo. Alessandro è morto, ma non è morto intiero, lasciò dietro di lui una traccia luminosa, lasciò la civiltà greca, lasciò la civiltà diffusa fra l’umanità; Alessandro è rimasto una figura animata e radiante, essenzialmente umanitaria.

Le conquiste materiali d’Alessandro sparvero, rimasero le idee ch’egli lasciò nelle sue conquiste. E perché sparvero le sue conquiste materiali? Perché morendo egli lasciò dei generali, non lasciò un popolo. Il conte Di Cavour è morto, signori, ma a lui sopravvive un gran popolo, informato del suo spirito e del suo pensiero, e che innanzi alla coscienza d’Europa, col suo senno e con la sua energia apparisce già meritevole di quella libertà cui aspira».

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