Lo «Stabat mater» di Gioachino Rossini nel ragionamento di Heinrich Heine

Il pomeriggio del 7 gennaio 1842, presso la Sala Ventadour di Parigi, fu eseguito lo Stabat Mater di Gioachino Rossini. La sequenza colse un vibrante successo, come ebbe a scrivere il critico di Débats grazie anche alla perizia interpretativa dimostrata dai quattro solisti: Giulia Grisi, Emma Albertazzi, Giovanni De Candia Mario e Antonio Tamburini.

Anche il poeta Heinrich Heine rimase profondamente colpito dalla toccante esecuzione, tanto da ergersi a paladino contro quei pochi critici, che avevano avuto agio di commentare non positivamente.

«I più grandi artisti, si pittori che musicisti, hanno cercato di adornare così quanti più fiori era possibile gli esagerati terrori della passione e mitigarne la tragica serietà mediante una carezzevole amorevolezza. E così fece il Rossini quando compose il suo Stabat. Questo fu la più spiccata meraviglia della stagione or ora passata. Il trattarne è pur sempre all’ordine del giorno e sono precisamente gli attacchi che vengono dal cuore della Germania contro il grande Maestro che mettono in evidenza l’originale profondità del suo genio. La composizione, si dice, è troppo mondana, troppo peccaminosa, troppo leggiadra, troppo lieta per un argomento sacro. Così pure se ne lamentano i pedanti e noiosi criticuzzi. Come nei pittori, nei musicisti signoreggia un concetto interamente falso: che il vero sentimento cristiano, cioè, debba esser reso soltanto con contorni sottili e smilzi, scarni e scoloriti. In arte non è la rigidezza e pallidezza esteriore il segno della veracità cristiana che non può essere imposta col battesimo, né studiata. Il Rossini, allontanandosi dalla vita teatrale e riconcentrandosi a sognare le memorie della sua infantile età cattolica, quando cantava nel coro del Duomo della sua Pesaro o da chierichetto serviva la Messa, dovette sentire gli antichi accordi dell’organo nel prendere la penna per scrivere lo Stabat. Egli non ha inteso di ricostruire scientificamente lo spirito del Cristianesimo, né doveva imitare servilmente Händel e Bach. Solo gli ha bastato di richiamare al sentimento i suoni della prima fanciullezza; ed, oh! Meraviglia, per quanto profondamente dolorosi echeggino questi accordi, per quanto sospirino e sanguinino, pure hanno qualche cosa della fanciullezza, e mi rammentano la passione rappresentata dai bambini di Cette. Si, a questa piccola e devota mascherata doveva pensare, assistendo alla prima esecuzione dello Stabat, dove il grandioso e sublime martirio è reso coi più ingenui concenti infantili; i tremendi lamenti della Madre dolorosa risuonano come se uscissero dalla gola d’una struggente bambina; accanto al più nero lutto stormiscono le ali di tutti gli amoretti; il terrore della crocifissione è mitigato, e il sentimento dell’infinito aleggia e circonda il tutto come il cielo azzurro che splendeva sulla processione di Cette, come l’azzurro mare, sulla cui sponda sfilava cantando e salmodiando la processione. Questa è l’eterna soavità di Rossini, la sua serena dolcezza, cui nessun impresario, nessun marchand de musique poté, non dico sconvolgere, ma neppure offuscare. Per quanto vili, per quanto sordidi e tenebrosi siano stati i tiri giovatigli, noi non troviamo nella sua composizione neppure una traccia di bile. Come quella sorgente d’Aretusa che, pur attraverso le acque salse del mare, conserva la dolcezza delle sue onde, così il cuore di Rossini mantenne la sua melodica dolcezza, sebbene avesse gustato, purtroppo, tutti gli amari calici della terra».

E’ certamente il più commosso e sentito omaggio del Maestro al mistero del martirio dell’Uomo – Dio, laddove intravide il palpito della speranza nell’atto della resurrezione.

Quando fu eseguito il Pro peccatis, fu bissato per le convinte richieste del pubblico. Nel quartetto Sancta Mater, istud agas, – a nostro avviso – Rossini presenta il pezzo maggiormente drammatico della Sequenza, in cui non si ravvisa nulla di liturgico.

La prima esecuzione italiana avvenne, sotto la direzione di Gaetano Donizetti, il 18 marzo dello stesso anno presso l’Archiginnasio di Bologna. Il Compositore si ritirò ancor prima che finisse l’esecuzione, che avrebbe suscitato un successo vivissimo nel pubblico, parte del quale si trasferì in casa del Pesarese, per omaggiarlo. Rossini fu allora costretto ad affacciarsi, al fine di ringraziare i convenuti. Nel rientrare, inciampò cadendo a terra nei pressi del ritratto dell’amata madre, Anna. Il Maestro interpretò tale avvenimento come un chiaro segnale della presenza della mamma, che aveva così voluto assistere all’ennesimo, grande trionfo del figlio.

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