Girolamo Savonarola e la Repubblica fiorentina

Carlo VIII (1470 – 1498)

Nel 1494, avvenne la cacciata della famiglia dei Medici da Firenze, mentre i Pisani rivendicavano la loro libertà dal giogo fiorentino, causa d’immani problemi al commercio ed all’industria, istigati da Ludovico il Moro, che avrebbe desiderato d’impadronirsi della città. Quando Carlo VIII fu sul punto d’entrare in città, i pisani la saccheggiarono, devastando le insegne medicee, proclamando la libertà e l’indipendenza e richiamando gli esuli. Il re francese proseguì il suo cammino, sostando a Signa, dove attese che i tumulti sedassero in Firenze, pronta a riceverlo con i dovuti onori. Ogni casa era provvista di munizioni da guerra e lo scontro a difesa della Repubblica sembrava prossimo.

Piero De Medici (1472 – 1503)

Il 15 novembre arrivarono i soldati francesi, mentre giunse la notizia che Piero De Medici fosse alle porte della città. La campana suonò a distesa e le vie si riempirono di cittadini armati. Quando la nuova si rivelò inesatta, ognuno degli armati rientrò docilmente nelle abitazioni, riponendo le armi.

Il 17 novembre, Palazzo Riccardi fu sontuosamente addobbato, per ricevere Carlo VIII, così come le vie, dove sarebbe dovuto passare il corteo regale. Luca Corsini fu incaricato di leggere il discorso ufficiale, quando una fitta pioggia interruppe l’evento e il re con il seguito fu pregato di procedere oltre. Entrato in Duomo, pregò insieme alla Signoria, con i cui rappresentanti avrebbe poi dialogato.

(1146 – 1496)

A Palazzo Riccardi, si svolsero le trattative tra i francesi ed i rappresentanti della Signoria: Guidantonio Vespucci, insigne giurista, Domenico Bonsi, Francesco Valori e Pier Capponi. Nato nel 1447 da famiglia di antico sangue, il Capponi fu educato al commercio, fin quando Lorenzo il Magnifico, ammirato dal valore dell’uomo, lo volle con sé, incaricandolo di alcune ambascerie, che svolse con sollecitudine, nonostante si dichiarasse un fiero avversario della tirannide medicea. Alla morte del Principe, non favorì l’ascesa di Piero, dichiarandosi per il partito popolare, che gli affidava le sorti della repubblica, essendo stato più volte ambasciatore in Francia.

Intanto, Lucrezia Tornabuoni (moglie di Piero) e Clarice Orsini (consorte di Lorenzo), si schierarono a fianco del re francese, promettendo che, se Piero fosse stato nuovamente ammesso in città, avrebbe condiviso il potere coi francesi. La mossa fu esatta, poiché la trattativa coi delegati della Repubblica iniziò a manifestare difficoltà. Furono informati i migliori cittadini fiorentini, pronti a prendere le armi, così lo stallo si sbloccò e fu firmato il trattato, che avrebbe stabilito amicizia tra la Repubblica fiorentina ed il re francese, il quale avrebbe protetto i cittadini di Firenze per la somma di centoventimila fiorini. L’occupazione francese avrebbe sgombrato dopo due anni, i Pisani sarebbero stati perdonati, se avessero accettato tornare all’obbedienza di Firenze. Fu tolta la taglia sui Medici, pur rimanendo la confisca dei beni al cardinal Giovanni e Giuliano, perché pagassero i debiti i Piero, che sarebbe rimasto confinato a duecento miglia dal contado, mentre i fratelli a centomila.

Alla sottoscrizione del trattato, il re avrebbe dovuto lasciare la città, ma egli desisteva nonostante le sollecitazioni. Si ricorse alla mediazione di Fra Girolamo, che riuscì in breve tempo ad ottenere la desiderata e così fu fissata la partenza il giorno 28 novembre, mentre la città tornava nelle mani del partito popolare e del Frate, che avrebbe guidato la volontà del popolo.

Agnolo Poliziano (1454 – 1494)

Furono registrate alcune morti di eccellenti personaggi: Agnolo Poliziano era scomparso il 24 settembre, «con tanta infamia e pubblica vituperazione, quanto uomo sostener potesse1», perché considerato troppo vicino a Piero. Eppure, negli ultimi giorni di vita, aveva chiesto di riposare in abito domenicano nella chiesa di S. Marco, dove sarebbe stato accanto a Pico della Mirandola, scomparso il 17 novembre. Aveva anch’egli chiesto di vestire in vita l’abito domenicano, ma aveva esitato, perché sorpreso in compagnia di una giovane. Grazie al provvido intervento di Fra Girolamo, sarebbe stato sepolto coll’abito richiesto.

Il 2 dicembre, fu suonata la campana, per raccogliere il popolo in piazza, per comunicare la nomina di venti Accoppiatori con la Balia (la facoltà d’indire la dittatura) e la facoltà di eleggere per un anno la Signoria, i principali magistrati, tra cui scegliere il Gonfaloniere di giustizia.

Alamanno Zanobi Rinuccini annotò nei Ricordi storici:

«I Signori vennono in sulla ringhiera, e quivi feciono leggere una petizione, che conteneva fra l’altre cose il fare li Otto di balia a mano, per una volta; e che le borse dei tre maggiori uffici si tenessino a mano e aperte, per un anno, per venti Accoppiatori; e facessino Dieci di libertà e pace per sei mesi; e privorono di ufficio li Otto di guardia e balia che allora erano in uficio».

Il popolo approvò il nuovo governo, ma ben presto sorsero i primi pesanti disaccordi tra i membri, che relegarono in un sostanziale stallo la Repubblica e produssero insoddisfazione nei fiorentini, i quali giudicavano svanite le speranze di una buona amministrazione. Pisa intanto mostrava le prime ribellioni alla ricerca dell’indipendenza; Arezzo e Montepulciano si mossero sulla stessa via. Al fine di sedare gli animi, la Repubblica si apparecchiò nell’organizzare tre possibile guerre, continuando a pagare i debiti al re francese. Firenze non sapeva a chi affidare le sorti di una trattativa, al fine di scongiurare lo scontro; il lungo dominio dei Medici aveva di fatto privato la società di politici. Dopo diverse ed animate discussioni, emersero vincenti i pareri di Guidantonio Vespucci e Paolo Antonio Soderini, membro del partito popolare, con una lunga carriera di ambasciatore a Venezia. Egli propose di abolire i due Consigli comunale e popolare, sostituendoli con il Consiglio maggiore, dove sarebbero stati riservati un certo numero di posti al popolo, che avrebbe potuto così votare le leggi ed i magistrati.  Ad un Consiglio più ristretto, sarebbero state affidate tutte le questioni, che non sarebbero potute essere discusse in pubblico. Propose l’abolizione dei Venti, lasciando intatto l’ufficio della signoria. L’articolata proposta del Soderini incontrò non poche difficoltà nel «Palazzo», poco o punto preoccupato della situazione incandescente; ed, ancora una volta, il popolo pensò a Fra Girolamo, perché sbloccasse velocemente e decisamente lo stallo. Il Frate si era rifiutato di scendere in politica, attendendo sempre e soltanto alle cose di religione. La situazione in cui versava il suo amato popolo era davvero terribile, il caos generato da una finta classe dirigente minacciava di far crollare tutto, la guerra era quasi alle porte della città. Nei lunghi sermoni domenicali, iniziò allora a parlare di politica, asserendo come il governo di un solo uomo potesse essere d’ottimo auspicio, se il predestinato fosse illuminato; pessimo, quando il principe fosse stato un incompetente. Auspicava necessario che il politico si adattasse alla natura del popolo fiorentino, dove abbondava forza ed intelletto, ove gl’ingegni mostravano sottigliezza in un animo pur sempre inquieto, e risolvendo che il governo di un solo uomo si sarebbe rivelato tirannico. Desiderava quindi «un governo civile ed universale», che avrebbe posto al bando la possibilità di trasformare la repubblica in una dittatura. Essendo egli – buon per lui! – ispirato da Dio ed avendo vaticinato con esattezza il futuro, pregava i fiorentini di seguirlo, perché potessero diventare esempio per tutta l’Italia da cambiare. Predicava quanto fosse necessaria una riforma spirituale, perché tutto il bene temporale servisse al bene morale e religioso, riconducendo l’azione del governo alla volontà di Dio. Elencando le procedure d’adottare, il nuovo governo avrebbe stabilito che «nessuno conosca benefizio alcuno se non dallo universale, il quale deve, solo, creare i magistrati ed approvare le leggi». Un Consiglio Grande, seguendo la maniera veneziana, si sarebbe dimostrata la forma più adatta; esso avrebbe radunato tutto il popolo sotto i sedici Gonfalonieri, di cui quattro sarebbe stati presentati al Consiglio, che avrebbe scelto il migliore, dopo la lettura della presentazione dei progetti. Chiedeva una riforma seria della tassazione, assolutamente iniqua, perché gravava oltremodo il popolo e lasciava nelle ristrettezze la Repubblica.

Fra Girolamo dedicò un sermone speciale ai soli magistrati ed al popolo di sesso maschile, proponendo loro il timore di Dio, la riforma dei costumi, la buona politica interessata solo al bene comune, ed una sostanziale amnistia, e pietà per i debitori verso lo stato. Le proposte suscitarono una forte eco nell’animo dei presenti, grazie alla quale il partito popolare sconfisse le teorie del Vespucci, colla nomina di un governo, che poi avrebbe offerto occasione di disordini, su immagine del consiglio veneziano.

In breve, Fra Girolamo fu eletto guida politica della città. L’esule Piero De Medici era corso a Napoli, ben accolto da re Carlo, ciò induceva i fiorentini a formare il nuovo governo.

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(1) PIERO PARENTI. Storia fiorentina, pagina 51, Olschki 1994.

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