Brevi note sul «Parsifal» di Richard Wagner

Alcuni biografi wagneriani, scrissero che, quando Wagner stava componendo la scena finale del «Tristan und Isolde», in cui il protagonista, prostrato ai piedi della sua amata, anelava alla morte liberatrice, fu punto dall’introdurre il personaggio di Parsifal in veste di pellegrino, che avrebbe dovuto portare il conforto della fede agl’infelici amanti. Reputò quindi non sana l’idea di chiudere il dramma colla redenzione morale offerta dal cristianesimo.

Nella primavera del 1857, ospite dei coniugi Wesendock, mentre attendeva alla composizione del Tristan, il giorno di Venerdì santo ricordò il personaggio di Parsifal e così ideò la scena, in cui Gurnemanz spiega a Parsifal l’incantesimo di quel giorno, in cui nel rifiorire della natura è adombrato il mistero della redenzione, e la gioia pervade l’animo dell’uomo pentito, dopo le sofferenze patite.

Il mito, che avrebbe svolto circa dieci anni dopo il Tristan, denunciava origine assai antiche, legate alla fioriture di leggende sorte attorno al ceppo dei Vangeli. Nell’apocrifo di Nicodemo, si racconta che, quando Lucifero fu precipitato dal cielo, avesse il capo cinto da una corona con un meraviglioso diamante incastonato, che sarebbe stato intagliato dai patriarchi, per formare un calice. Salomone ne fu il primo custode, quindi i Magi lo portarono a Betlemme, ed infine usato dal Redentore nell’Ultima Cena. Secondo un’altra leggenda, Giuseppe d’Arimatea aveva nascosto la coppa, dopo la cattura di Gesù sul Monte Uliveto ed, alla sua morte, aveva raccolto il sangue, che stillava dalla piaga aperta nel corpo dalla lancia di Longino. Il Santo Graal avrebbe consegnato l’ordine di custodire ed onorare la coppa ed il santo contenuto.

Diversi furono i romanzi medievali tratti: Chrétien de Troyes fornì un’ottima elaborazione nel «Le Roman de Perceval ou le conte du Graal» (1175 – 1190); in Germania, Wolfram Von Eschenbach con «Parzifal» (1200 – 1210) formò il poema, da cui Wagner avrebbe attinto per il suo lavoro.

Il Compositore, che nel 1848 aveva creduto nella felicità dell’uomo grazie alla rivoluzione politica ed economica; l’ateo che incolpava le religioni dell’asservimento dell’uomo, vedendo così la fine dell’egoistico regno dell’oro, aveva dopo il del Ring in Bayreuth (1876) mutato la sua concezione morale del mondo e dell’attività umana. Egli aveva dovuto accettare il dolore quale legge universale dell’esistenza, e l’unica speranza consisteva nella rinuncia alla volontà di vivere. I versi finali di Brunhilde, che bandivano alla razza futura le leggi dell’amore, unico superstite sulle rovine degli Dei, non erano stati musicati, perché soppressi.

Nel «Parsifal», trovò una nuova via d’uscita: la via della redenzione sarebbe stata possibile all’uomo puro, ingenuo, innocente, ancora non inquinato dal cosiddetto viver civile, concezione adombrata nel «Siegfried», fin quando il protagonista era rimasto vittima delle passioni. Il nuovo eroe invece avrebbe dovuto uccidere i desideri sensuali, per innalzarsi verso una vita di purezza e santità, nell’ambito di una dottrina religiosa costituita da uomini ari non corrotti dal seme semitico, portatore di egoismo e conquista dei beni materiali, secondo la dottrina di Gobineau.

Nell’età visigota, tra i monti della Spagna settentrionale, sorge il castello di Monsalvato, che ospita i cavalieri del Graal, mentre sulle pendici del monte, si alza il castello incantato di Klingsor, il mago rinnegatore dell’amore, al fine di conquistare il potere di dominare chi subisce l’incanto dei sensi. Costringe ai suoi servigi Kundry, simbolo dell’eterno femminino, che infiamma impuramente l’uomo. Tra la rocca della fede cristiana ed il castello della sensualità pagana la lotta è ancora aperta, poiché Klingsor insinua la virtù dei cavalieri, al fine d’impossessarsi della sacra reliquia, determinando la distruzione dell’ordine, da cui fu escluso. Amfortas, succeduto al vecchio padre Titurel, colla santa lancia si muove contro il nemico, ma Kundry lo avvolge colle sue braccia, sicché Klingsor lo ferisce al fianco, provocando una piaga inguaribile e corrosiva. Il padre desidererebbe morire, per evitare lo strazio del dolore, ma è tenuto in vita, affinché espii per intero la colpa. Kundry, colta dall’impulso della redenzione, poiché taceva l’ardore dei sensi, offre i suoi servigi ai cavalieri, finché ricade nuovamente sotto il dominio dello stregone, per soggiacere al suo comando. Durante la preghiera, Amfortas ascolta interiormente le seguenti parole: «Pietà fa saggio il puro Folle: io l’ho scelto: tu attendilo».

E’ il giorno della mistica Cena. Gurnemanz, cavaliere del Graal, attende con due scudieri presso il lago il corteo, che deve recare il re Amfortas, perché trovi sollievo dalle acque. Kundry pietosamente reca dei nuovi unguenti, per curare la ferita, quando un cigno cade colpito da una freccia nelle acque. Gli scudieri catturano il colpevole: un giovane, che ignora il suo nome; egli è riconosciuto da Kundry, quale figlio di Gamuret: Parsifal. Rimasto orfano di padre, fu allevato dalla sola mamma, Herzeleide, lontano dalle armi, per evitare una possibile azione dei nemici; egli allora s’era industriato con un arco, per colpire le fiere, che infestavano il bosco. Kundry lo informa della recente scomparsa della madre, nel periodo in cui vagava a caccia di animali ed il giovane sviene, rincuorato dalla donna  e da Gurnemanz, il quale immagina che possa essere l’eletto, traendolo con sé presso il Graal. Nel tempio, i cavalieri si apprestano alla santa cena; dalla nicchia, dove giace come in una tomba, Titurel invita il figlio, Amfortas, a celebrare il rito, che rilutta alla visione della coppa, che gli ricorda il suo grande peccato. Il sangue divino allora fluisce nel calice, il sangue torbido del padre, corrotto dal peccato, sgorga dalla ferita del fianco. Quando anche i cavalieri si uniscono alla richiesta di Titurel, il rito si compie fra i canti alla presenza di Parsifal, il quale non comprende il significato simbolico dell’accaduto. Gurnemanz lo espelle dal tempio.

Klingsor chiede allo specchio magico un nuovo nemico: Parsifal, il puro folle, che sarà combattuto attraverso le sue arti magiche, evocazione di scongiuri infernali sulla sua ancella, Kundry, la quale si mostrava riluttante all’opera perversa. Klingsor le insinua il nuovo nemico da combattere: Parsifal, il quale è giunto sugli spalti, per trovarsi in un giardino, dove delle provocanti fanciulle lo avvolgono, tentando inutilmente di sedurlo. Kundry gli va incontro, riprendendo il racconto delle sue origini, per poi baciarlo sulle labbra. L’atto gli rivela il senso del peccato, ma riesce a sciogliersi dall’abbraccio della tentatrice, che ordina l’intervento di Klingsor. Il mago, armato della lancia di Amfortas, la scaglia contro Parsifal, ma l’arma rimane sospesa sul capo dell’eroe, che l’afferra, per eseguire il segno della Croce. Il castello crolla, il giardino si converte in un deserto e, mentre Kundry cade a terra, Parsifal si allontana.

Sul monte del Graal, rifiorisce la campagna. Da una capanna, esce Gurnemanz, vecchio e cadente, e trova sotto un cespuglio Kundry assiderata e dormiente, tanto da non riconoscerla nel vederla così umile. Alle sue domande, ella risponde che vorrebbe servire.

Parsifal si avanza, coperto nell’armatura; egli ha vagabondato a lungo nei sentieri dell’errore e del dolore, poiché, non essendo capace ad usare l’arma sacra, ha subito diverse ferite. Consegna la sacra lancia al Graal, provocando sensi di gioia in Gurnemanz, il quale confida al cavaliere del lutto, in cui giace il tempio, della morte di Titurel e del desiderio di morire di Amfortas e come il Graal non sia mai uscito dall’arca. Parsifal comprende la sua missione, quindi Gurnemanz gli spruzza sul viso dell’acqua della fonte, Kundry gli toglie i calzari, per lavargli i piedi e poi ungerli. Parsifal allora asperge il capo di Gurnemanz con l’acqua della fonte ed è salutato quale re del Graal; poi battezza Kundry. L’incanto del giorno celebra il cuore del credente, che torna ad amare Cristo, che s’immolò sulla Croce, per redimere l’uomo. Kundry piange sommessamente, sollevata da Parsifal, che le suggerisce come le sue lacrime siano diventata rugiada. Mentre suonano le campane del Graal, Gurnemanz copre col suo mantello di cavalieri le spalle di Parsifal, avviandosi verso il tempio, dove i cavalieri attendono in prossimità della bara di Titurel, recata l’arca del Graal e la lettiga in cui giace Amfortas. Si scoperchia la bara, ed Amfortas, preda di un dolore lancinante, prega i cavalieri di colpirlo mortalmente nella ferita. Parsifal tocca con la lancia la parte offesa, per risanarla, mentre una colomba scende dall’alto.

Il carattere mistico del poema e l’indole prevalentemente filosofica avrebbero potuto essere accolti con estrema cautela da parte del pubblico, poco avvezzo alla concezione monumentale ed alle speculazioni compositive forse maggiormente adatti ad un pubblico d’«iniziati». L’amore giocondo dei « Die Meistersinger von Nürnberg», quello straziato che aveva imperlato la storia tra Tristano ed Isotta; quello sensuale del «Tannhäuser», risultava ora purificato nella transumanità di Parsifal, nonostante il soffio di sensualità, che si sprigiona nella prima parte del secondo atto, grazie alle arti magiche di Klingsor, che puntano alla perdizione del protagonista.  L’opera risulta un cammino verso un mondo, dove lo spasimo delle sofferenze umane, hanno un’origine iniziatica, poiché tutti i personaggi appaiono completi nella dimensione fisica e spirituale, tanto da poter essere interpretati quali simboli definiti e caratterizzati dall’elemento musicale. I temi caratteristici sono stati utilizzati quali leit – motiv, con la consueta impronta netta, quasi tagliente tanto da impressionare immediatamente la memoria dell’ascoltatore. I motivi principali sono presentati sin dal Preludio; essi compaiono, si affermano, per lasciare quasi una scia di silenzio; quindi si sovrappongono, si aggrovigliano, per completarsi con un’intensità di combinazioni foniche di grandi sonorità.

Dopo il Preludio, i temi della «cena» nella forma ascendente sincopata ad esprime quasi dolore in una suprema aspirazione mistica; il tema del «Graal», nobile e sostenuto; la «fede», austero e deciso nello sviluppo di una magnifica pomposità, ci guideranno nel corso dello svolgimento, ritornando liberi nella loro primitiva presentazione o alterati nel ritmo e nella tonalità: essi edificheranno l’impronta religiosa del poema mistico, dove luoghi e personaggi si fonderanno.

Altri temi, pittorici ed esteriori, identificheremo nella «brezza» del primo atto, nelle «campane» del Sacro Graal e nel «deserto» del terzo; dal valore fortemente musicale invece individueremo i «fiori» del secondo atto, la «primavera» del terzo atto ed il preludio cupo, che precede il sortilegio di Klingsor.

I personaggi. Parsifal vive la purezza del buono, grazie alla quale vince le arti di Kundry, creatura proteiforme, peccatrice, un poco Circe, che comunque aspira all’espiazione, seppur sottomessa al potere del mago Klingsor, figura primitiva. Amfortas esprime nel dolore la piena capacità umana, che deve essere sublimata nella trascendenza; il solo Gurnemanz riflette in sé una vivida luce di umanità, seppur il suo ruolo nello svolgimento drammaturgico si riduca ad esporre antefatti, commentare l’azione, che si svolge sul palcoscenico.

Il momento forse dove il simbolo è espresso nella piena luce dell’ispirazione musicale è la scena dell’«Agape sacra», laddove quattro note, divise in due intervalli di quarta ne costituiscono la trama sopra un nobile tessuto armonico, quindi vibrano in lontananza, mentre la scena si trasforma, poi si avvicinano in un minaccioso e grave scampanio, dileguano ed a poco a poco dilaga imponente il motivo della cena nella sacralità del tempio. E’ una pagina sublime, che eleva lo spirito verso vette vertiginose, e, quando l’aria è intrisa di soave misticismo, la voce di Titurel invita il figlio dolorante a compiere il sacrificio. L’indeterminatezza del linguaggio musicale, caratterizzato da un intrecciarsi di disegni ben definiti, ritraggono meravigliosamente la lotta, che si scatena nell’animo dei personaggi, poi in un osannare di campane, erompe tutta la bellezza dell’arte cristiana: è l’atto di fede, speranza e carità, che ha base armonica nel tema del Santo Graal.

Al contrario, la danza delle ragazze trasformate in fiori appare voluttuoso e molle, mentre Parsifal è sordo alla carezza delle voci, che l’invitano dolcemente; ma egli nulla può, provocato da Kundry, la quale ricorda la madre, per allettarlo onde trascinarlo con sé. Attraverso un procedimento cromatico, che già Rousseau considerava eccellente per descrivere la passione, si librano atteggiamenti di tenerezza e dolcezza. Quando la donna rivela la sua colpa, per aver riso di Cristo nel Venerdì Santo, un gran vento di passione sembra avvolgere l’orchestra in un linguaggio colorito, che erompe dalle profondità di una strumentazione sontuosa, dove la legge del leit motif s’impone limpida a chi ascolta.

Nel Terzo atto, Wagner rivela una soavità di mezzi espressivi, che delineano immagini musicali di soffice delicatezza, immersi in una mistica penombra, entro la quale le figure sceniche passano silenziose e dolenti nella speranza della redenzione. E’ il testamento finale di Richard Wagner nella risoluzione dell’amore mistico e della fede, che si rivela attraverso la musica solenne e dolente.

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2 pensieri riguardo “Brevi note sul «Parsifal» di Richard Wagner

  1. Bellissimo articolo, complimenti davvero

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