La lettera inizia con un dolce rimprovero, che sembra provenire dal cuore del Poeta, così angosciato dal troppo tempo trascorso senza ricevere alcuna notizia dal Giordani.
Quindi un breve accenno alle condizioni di salute, che sembravano migliorare, nonostante l’ansietà che Giacomo stava provando e che avrebbe potuto ribaltarlo in una condizione maggiormente precaria. Quindi l’immediato desiderio di dimenticare l’esperienza, grazie all’arrivo delle nuove dal Giordani, definito «mio». Giacomo sa di poter contare sul suo grande amico, che può capirlo, comprenderlo ed, in piccola grande parte, riempire il vuoto, provocato dall’incomunicabilità verso uomini troppo distanti dalla sua anima. Il rapporto è definito davvero intimo tra i due intellettuali, poiché il Recanatese ammette di dedicarsi profondamente allo studio, onorando una così alta amicizia. L’impegno verrebbe meno, se venisse meno anche l’amicizia con il Giordani, e Giacomo sperimenterebbe il tragico stato dell’anima divisa dal corpo, rinunciando allo studio.
Da una lettera precedente, apprendemmo come Giacomo si confrontasse col fratello Carlo su diverse questioni, prendendo posizioni piuttosto avverse e forse Giordani si propose da mediatore, ruolo che il Recanatese ritenne inutile, perché le contraddizioni col fratello furono giudicate insanabili.
Quindi un’interessantissima considerazione a proposito della tanto agognata gloria, che fu una delle condizioni più importanti del periodo giovanile del Poeta.
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A Pietro Giordani, a Piacenza
Recanati, 21 novembre 1817
O carissimo e dolcissimo Giordani mio, vi riabbraccio con tutto il cuore e l’anima. O Dio! Voi non sapete in che pensa sono stato questi giorni per voi. La cagione potete immaginarvela. Dal giorno in cui vi scrissi l’ultima mia, fintano che non ho ricevute le vostre del 1° e del 6 (che le ho ricevute unitamente), sono stato, non vedendo vostra lettera, in un’ansietà spaventosa. Ho provato strette di cuore così dolorose, che altre tali non mi ricordo di avere mai provato in mia vita. E, perché in questi ultimi mesi la salute è andata molto meglio, mi disperava che due sole cose essendoci che mi possano toglier la pace, dico la infermità in me e le disgrazie dei miei cari, io, uscendo in certo modo da quella, cadessi subito in quest’altra infelicità; la quale m’era tanto più grave, quanto in quella, se non aveva, almeno poteva avere qualche sollazzo; ma in questa se gli avessi avuti, gli avrei abbandonati, perché ogni ombra di rilassamento mi facea nausea e dolore. Ma non mi lagno del travaglio passato, poiché è stato per voi, e soprattutto poiché è stato vano. Or Dio sia benedetto, poiché siete mio; e in verità quando ho ricevute le vostre lettere, ho sfidato tutte le sciagure del mondo a venirmi addosso e a scuotermi se potevano. Perché certo io vivo sempre con voi, e ne’ miei pensieri mi trattengo con voi, e studio per piacere a voi; e già questo miserabile sospetto mi parea di non avere più motivo di studiare, e pensando al futuro non vedea come potessi vivere altrimenti che in uno stato simile a quello dell’anima divisa dal corpo, il quale dicono i filosofi che sia violento. Abbiate cura di chi vi ama più che se stesso; e se non volete che muoia, vivete; e se non volete che viva infelicissimo, vivete felice. Questo vi dico da senno, perché non vorrei ricadere nell’afflizione passata.
Non vi togliete la briga di aggiustare le differenze tra mio fratello e me, che non ne uscireste a buon termine. Sappiate che questo scellerato non vuol sentire il nome di differenze, né anche mi concede che tra noi veramente ci sieno; vedete quanto andiamo d’accordo. Le stesse controversie non si possono scrivere, perché sono infinite, e nasce tutti i giorni come i funghi.
Dell’amor della gloria la mia massima è questa: Ama la gloria, ma, primo, la sola vera; e però le lodi non meritate, e molto più le finte, non solamente non le accettare, ma le rigetta, non solamente non le amare, ma le abbomina; secondo, abbi per fermo che in questa età, facendo bene, sarai lodato da pochissimi, e studiati sempre di piacere a questi pochissimi, lasciando che altri piaccia alla moltitudine e sia affogato dalle lodi; terzo, delle critiche, delle maldicenze, delle ingiurie, dei disprezzi, delle persecuzioni ingiuste, fa quel conto che fai delle cose che non sono; delle giuste non ti affliggere più che dell’averle meritate; quanto, gli uomini più grandi e più di te, non che invidiarli, stimali e lodali a tuo potere, e inoltre amali sinceramente e gagliardamente. Con queste condizioni l’amor della gloria non mi sembra pericoloso.
Se mi amate, pensate a consolarmi. Mio padre e Carlo vi salutano. Addio, addio.