Nel 1787, uscì l’edizione italiana delle Mémoires di Carlo Goldoni, da cui sono tratte queste nostre note biografiche.
Rientrato in albergo, Goldoni riprese in mano il libretto della «Amalasunta»; letto un verso e poi l’altro, non la giudicò affatto poco riuscita, nonostante fosse stata concepita al di fuori delle regole teatrali, e quindi impossibile a porre in scena. Con un gesto rabbioso, la gettò nelle fiamme nel caminetto acceso. L’indomani si recò in casa del ministro Bartolini, per informarlo sulla visita al conte Prata, che aveva tagliato ogni possibile illusione teatrale al giovane commediografo e della triste fine del libretto, posto per essere bruciato. Il ministro gli assegnò un bell’appartamento nel suo palazzo, eleggendolo a gentiluomo di camera.
Giunse in città un ciarlatano, ex gesuita, «tal Buonafede Vitali di Parma», che campava vendendo elisir e turlupinando la gente, che intratteneva con facile facondia, impersonando ora una ora le altre maschere della commedia dell’arte. Essendo attratto dal teatro, svolgeva anche funzione di capocomico, cosicché Carlo andò «a trovarlo sotto pretesto di comprare un poco del suo alexifarmaco; in questa occorrenza promossi varie questioni sopra la malattia che avevo o credevo d’avere, e si accorse che la sola curiosità mi aveva tratto alla sua casa: mi fece portare una buona tazza di cioccolata e mi disse esser quello il miglior medicamento per il mio stato». La conversazione fu assai piacevole e quando il falso medico seppe che il suo amabile conversatore aveva forti conoscenze Venezia, lo mise a partito di un suo progetto.
Essendo in Quaresima, ogni teatro aveva sospeso l’attività; in Milano, la ripresa pasquale era stata affidata ad una compagnia, il cui capocomico era partito per la Germania. Avrebbe desiderato che la sua compagnia rimpiazzasse gli assenti e così Goldoni promise i suoi servigi, parlandone al ministro Bartolini «ed in tre giorni fu firmato il contratto». L’occasione brillò nella testa di Carlo, che scrisse un piccolo intermezzo, «Il gondolier veneziano», che fu eseguito «ed ebbe tutto il buon successo che una simile composizione poteva meritare». Poco dopo, il libretto sarebbe stato stampato «nel quarto volume delle mie opere comiche, edizione di Venezia del Pasquali». Grazie al successo ottenuto, fu poi la volta del «Belisario», davanti ad un teatro esaurito nei posti:
«Ma che detestabile rappresentazione! Giustiniano era un imbecille, Teodora una cortigiana e Belisario un predicatore. Compariva in scena privo di occhi. Arlecchino era il conduttore del cieco e gli dava dei colpi di stecca per farlo andare; tutti erano nauseati, io poi più degli altri, avendo distribuito parecchi inviti a persone di primo merito».
L’indomani fu ricevuto dal Casali, il quale gli suggerì di non prendersela troppo, perché i comici amavano cambiare il testo, cadendo spesso nel turpiloquio, al fine di provocare la facile risata nel pubblico. Casali suggerì di comporre «una tragi – commedia» senza maschere e quindi senza «buffonerie» e così Goldoni si pose immediatamente al lavoro, quando, tornando da un pranzo, intravide «a una finestra del primo piano un bellissimo visetto che fingeva di nascondersi dietro la tenda. Corro subito a prenderne notizia». Saputo ch’era d’origine veneziana, si recò in casa della ragazza, la quale lo accolse in lacrime «e nella massima desolazione. Che spettacolo attraente e da far colpo! Una bella donna che piange ha certamente qualche diritto sopra un animo sensibile». Goldoni chiese il motivo di tanta tristezza, quando la donna, «Margherita Biondi», gli dichiarò la sua forte delusione per un amore finito a causa della diversa condizione sociale del fidanzato.
«Seppi poi che non era né Margherita né Biondi, né nipote né fanciulla; ma era giovane, bella, amabile, aveva l’aria civile. Potevo mai abbandonarla nel cordoglio o nell’afflizione?». Goldoni apprestò un appartamento per la giovane, che iniziò a frequentare quotidianamente, perché «la sua compagnia mi riusciva gradita un giorno più dell’altro».
Era l’anno 1733, cominciava la guerra, «chiamata la guerra di don Carlo, il re di Sardegna si dichiarava del partito di questo principe, e riuniva le sue armi a quelle della Francia e della Spagna contro la casa d’Austria. […] Non tardarono frattanto a comparire anche le truppe francesi e a riunirsi alle sarde loro alleate, mettendo insieme quell’esercito formidabile che gl’Italiani chiamavano l’esercito dei Gallo-Sardi».
Goldoni si preoccupò della donna, affidandola ad «un mercante genovese, in casa del quale non potevo vederla che in mezzo a una famiglia numerosa ed eccessivamente inquieta». Qualche giorno dopo l’assedio al ministro, fu chiesto di trasportarsi in Crema, dove traslocò anche Goldoni, investito dell’incarico di segretario, mentre la bella veneziana restò in Milano.