Nel 1921, Luigi Pirandello pubblicò i Sei personaggi in cerca d’autore, guadagnandosi il commento del Marinetti, convinto che fossero d’ispirazione futurista.
L’anno successivo, è editato il primo numero della rivista Il Futurismo, che sarà anche tradotto in lingua tedesca (Der Futurism), mentre Anton Giulio Bragaglia fondava a Roma il Teatro Sperimentale degli Indipendenti, che avrebbe condotto fino al 1936, producendo opere d’avanguardia a cura di autori italiani e stranieri.
Il 28 ottobre, Benito Mussolini, dopo la Marcia su Roma, formava un governo di coalizione ed istituiva il Gran Consiglio del Fascismo.
Giuseppe Prezzolini commentava su Il Secolo il 3 luglio del 1923 a proposito di Futurismo e movimento fascista:
«Come possa l’arte futurista andare d’accordo col Fascismo italiano, non si vede. C’è un equivoco, nato da una vicinanza di persone, da un’accidentalità d’incontri, da un ribollire di forze, che ha portato Marinetti accanto a Mussolini.
Ciò andava bene durante il periodo della rivoluzione. Ciò stona in un periodo di governo. Il Fascismo italiano non può accettare il programma distruttivo del Futurismo, anzi, deve, per la sua logica italiana, restaurare i valori che contrastano al Futurismo. La disciplina e la gerarchia politica sono gerarchia e disciplina anche letteraria. Le parole vanno all’aria quando vanno all’aria le gerarchie politiche. Il Fascismo, se vuole veramente vincere la sua battaglia, deve ormai considerare come assorbito il Futurismo in quello che il Futurismo poteva vere di eccitante, e di reprimerlo in tutto quello che esso conserva ancora di rivoluzionario, di anticlassico, di indisciplinato dal punto di vista dell’arte».
Sempre nel 1923, s’inaugurava alla Galleria Milano una mostra dell’Arte del Novecento di un gruppo formatosi l’anno precedente, che affiancava le tendenze estetiche conservatrici del nuovo regime, di cui l’animatrice era Margherita Sarfatti. Il gruppo sarebbe stato accolto due anni più tardi presso la Biennale di Venezia, affermandosi poi in una mostra al Palazzo della Permanente di Milano (1926), e alla Galleria Pesaro di Milano (1929).
All’inaugurazione della Biennale, avvenuta nel 1924, Marinetti, volgendosi al Re, ch’era a Venezia in visita ufficiale, denunciò «l’incapacità senile e antitaliana della Direzione che massacra i giovani artisti italiani», suscitando un enorme scandalo. Eppure v’era stato un riavvicinamento tra il fondatore del movimento e Mussolini in occasione dell’edizione della terza ed ultima opera politica di Marinetti, Futurismo e Fascismo, per l’editore Campitelli, oltretutto confermato anche dal telegramma che il futuro Duce scriveva agl’intervenuti al Primo congresso Futurista a Milano:
«Considerami presente adunata futurista che sintetizza vent’anni di grandi battaglie artistiche politiche spesso consacrate col sangue. Congresso deve essere punto di partenza, non punto d’arrivo. Credi mia cordiale amicizia ed ammirazione».
Marinetti così avrebbe concluso il suo intervento:
«I futuristi italiani, prima tra i primi interventisti nelle piazze e sui campi di battaglia, e primi fra i diciannovisti più che mai devoti alle idee ed all’arte, lontani dal politicantismo, dicono al loro vecchio compagno Benito Mussolini: con un gesto di forza ormai indispensabile liberati dal parlamento. Restituisci al Fascismo ed all’Italia la meravigliosa anima diciannovista, disinteressata, ardita, antisocialista, anticlericale, antimonarchica. Concedi alla Monarchia soltanto la sua provvisoria funzione unitaria, rifiutale quella di soffocare o morfinizzare la più grande, la più geniale e la più giusta Italia di domani. Non imitare l’inimitabile Giolitti, imita il Grande Mussolini del diciannove. Pensa sempre all’Italia immortale ed al Carso divino. Schiaccia l’opposizione clericale antitaliana di Don Sturzo, l’opposizione socialista di Turati, e l’opposizione mediocrista di Albertini con una ferrea dinamica aristocrazia di pensiero armato che soppianti l’attuale demagogia d’armi senza pensiero. Tu puoi e devi fare ciò, noi dobbiamo volerlo e lo vogliamo».
Il 1° marzo del 1925, Mussolini fu invitato ad un solenne banchetto, offerto da Carli, cui avrebbe partecipato anche Marinetti; il Presidente del Consiglio telegrafò:
«Sono dolente di non poter intervenire al banchetto offerto a Filippo Tommaso Marinetti. Ma desidero che vi giunga la mia fervida adesione che non è espressione formale ma vivo segno di grandissima simpatia per l’infaticabile e geniale assertore d’Italianità, per il poeta innovatore che mi ha dato la sensazione dell’oceano e della macchina, per il mio caro vecchio amico delle prime battaglie fasciste, per il soldato intrepido che ha offerto alla Patria una passione indomita consacrata dal sangue».
Intanto, il fondatore del Futurismo si trasferì a Roma, eleggendola anche a capitale del movimento. Iniziò così un graduale riavvicinamento al Fascismo, sottolineato dalla dedica, che Marinetti inviò a Mussolini, a proposito della pubblicazione di Futurismo e Fascismo: «Al mio caro e grande amico Benito Mussolini», definito dal «meraviglioso temperamento futurista». L’autore analizzava convergenti il patrimonio del futurismo e l’avvento al potere del Fascismo, che avrebbe realizzato «il programma minimo futurista». «Questo programma minimo propugnava l’orgoglio italiano, la distruzione dell’impero austro – ungarico, l’eroismo quotidiano, l’amore del pericolo». Nello stesso momento, ribadiva il distacco dai movimenti esteri e dagli atteggiamenti politici futuristi, «come il bolscevico del Futurismo russo, divenuto arte di Stato». Necessario ritenne sottolineare come «il Fascismo [fosse] nato dall’interventismo e dal Futurismo si nutrì di principi futuristi – ma i futuristi avrebbero operato – nei domini infiniti della pura fantasia, osando sempre più temerariamente. Avanguardia della sensibilità artistica italiana, necessariamente sempre in anticipo sulla lenta sensibilità delle masse».
Marinetti desiderava condannare la decadenza di un romanticismo fiacco e sdolcinato, che aveva irretito la realtà italiana, perché risorgesse in una nuova dimensione grande e creativa, che nel rinnovamento avrebbe inevitabilmente condotto allo scontro ed alla conflagrazione.
«Oggi l’Italia è piena di giovani forti e sportivi. Ma molti purtroppo sacrificano ad una donna la loro volontà di conquista e d’avventura. Dopo Vittorio Veneto io predicai la necessità per ogni combattente di diventare un cittadino eroico. Oggi esiste uno Stato fascista che tutela il diritto individuale. Ma bisogna alimentare ancora lo spirito del cittadino eroico, amico del pericolo e capace di lotta, poiché occorrerà improvvisare domani gl’indispensabili volontari della nuova guerra. questa – lo ripeto – è certa, forse vicina. Perciò è sempre vivo il grido futurista: glorifichiamo la guerra sola igiene del mondo! Il Futurismo interprete delle forze telluriche, il Futurismo, manometro della nostra penisola (caldaia bollente!), odia i macchinisti incapaci. Si palesano tali i culturali d’Italia che verniciati di patriottismo parlano oggi d’Impero, con un’anima pacifista pronti ad imboscarsi al minimo pericolo. Essi ignorano che Impero significa guerra. Vorrebbero conquistarlo con una lezione sulla Roma imperiale!
Noi futuristi parliamo d’Impero convinti e lieti di batterci domani, parliamo d’Impero perché è venuto per l’Italia il momento di prendere le terre indispensabili. Il programma politico futurista lanciato l’11 ottobre 1913 che propugnava una politica estera cinica astuta e aggressiva è più che mai di attualità. Le idee vittoriose tengano fermamente le posizioni conquistate. Le nuove idee si slancino all’assalto. Marciare non marcire!».