Parigi, il 23 /XI / 1966
Anima mia, oggi ero in uno stato d’inquietudine folle. Secondo i miei conti, le Tue lettere avrebbero dovuto essere qui ieri, e, tutt’al più nella giornata. Lo sai che posso impazzire per te, impazzire non ha senso figurato. Va bene, c’è che è demente che io abbia il coraggio d’amarti. Ma non è di questa pazzia che parlo, è del grado al quale può arrivare il mio amore per te, è un grado tale che mi rende impossibile sopportare non avere Tue notizie. Non lo posso sopportare, non lo posso sopportare. La mancanza, o un ritardo minimo di notizie tue, è la tortura, la tortura, l’inferno.
Finalmente dopo le otto, ricevo le tue lettere del 15 e 17. Vedremo Siracusa insieme, e tante altre cose di grazia e di paura che riempiono la Sicilia di segni da sempre ineguagliabili per l’ispirazione dei poeti. A Siracusa c’è anche un fiume che è come un mar morto, e ci si va su una barca infernale, e s’arriva così in mezzo ai campi nell’acqua dei papiri. Sono corridoi strettissimi.
Sai che ora sono? La mezza dopo mezzanotte. Oggi è già un nuovo giorno. Ogni attimo è un nuovo giorno, da quando Ti conosco, anima mia, e Ti guardo, da lontano ti guardo.
Nella tua lettera c’era un fiorellino rosso. La mia ferita è nel cuore un forellino rosso, non mi fa male, mi fa nuovo, reca nel mio cuore un sangue diverso. Sono un altro, non sono più io, sono l’anima tua e l’anima mia, da quando Ti conosco, da sempre, da sempre, sono molto più di te, molto più anima tua che mia, da prima della nascita, non so da quanti millenni, dalla nascita del mondo, amore, amore mio, che bacio e piango felice. Ne ho il diritto? Non sono fuse, oramai fuse, le nostre anime?
Ungà