La favola di Sciro

In un piccolo villaggio del Giappone, viveva una coppia di anziani. Il marito si dedicava alla cura del giardino; mentre la moglie era dedita al governo della casa. Purtroppo, non avevano dei figli, e così cercavano di riempire quel triste vuoto, amandosi l’uno con l’altro.

Un giorno, l’uomo si recò in montagna, per raccogliere della legna, quindi si sedette ai piedi di un albero, per consumare il pranzo, portato da casa, quando vide da lontano un cagnolino bianco, che si stava avvicinando. L’animaletto si pose vicino ai suoi piedi collo sguardo rapito dal cibo contenuto nel recipiente, che l’uomo tratteneva nelle mani. L’anziano, rapito da tanta compassione, cedé il cibo rimasto, perché la bestiola potesse sfamarsi un poco. Raccolto il fastello di legna, si avviò verso casa, seguito dal cagnolino, il quale fu assai festeggiato dall’anziana donna, che si preoccupò di preparare un caldo giaciglio per la notte al nuovo e gradito ospite. La coppia decise di chiamarlo Sciro, in omaggio alla bianchezza del pelo.

Un giorno, l’uomo si recò nell’orto, in compagnia del fedele amico, il quale improvvisamente, attratto chissà da quale forza oscura, iniziò a scavare nel terreno colle zampe, richiamando l’attenzione del padrone, il quale rinvenne una vecchia pentola contenente delle monete d’oro. Il ritrovamento fu seguito di nascosto dal confinante, un uomo piuttosto gretto ed avaro, il quale confessò alla moglie che avrebbe rapito il cane, perché procurasse un tesoro. L’indomani, il vecchio avaro si recò dai proprietari di Sciro, chiedendo pietosamente di avere il cagnolino, per sentirsi meno solo. E così l’anziana coppia accettò, a patto che dopo qualche ora rincasasse. Immediatamente l’avaro prese Sciro, il quale molto malvolentieri lo seguì, conducendolo nel suo campo ed ordinandogli che si mettesse in cerca di un tesoro. Nonostante l’impegno profuso, Sciro non poté che rinvenire alcune anfore e cianfrusaglie varie, provocando la rabbia dell’anziano, che lo picchiò col suo bastone. Il padrone accorse immediatamente, sottraendo alla furia dell’avaro il povero animaletto, che, nonostante le amorose cure approntate, non riuscì a superare la notte. L’indomani, Sciro ebbe degna sepoltura sotto un germoglio di pino ed i suoi padroni non si stancarono di rendergli omaggio quotidiano, mentre le lacrime del loro doloroso pianto bagnavano il virgulto, che cresceva potente. I due anziani immaginarono che fosse merito esclusivo di Sciro quello spontaneo e sicuro progresso, certi che nel tronco vivesse l’anima del loro piccolo, adorato amico. La donna propose allora al marito di ricavare dal tronco un recipiente, nel quale avrebbe preparato un dolce di riso, che tanto garbava a Sciro. Quando l’anziana vi versò il cibo, esso crebbe così tanto che traboccò; ed appena il chicco toccava terra si trasformava in una moneta d’oro. L’anziano avaro aveva spiato la coppia e così, ancora una volta, chiese di poter usare il recipiente, nel quale preparare un dolce di riso in onore di Sciro. Appena fu in casa, iniziò a versare i chicchi, che, un poco alla volta, scemavano, mentre quei pochi caduti a terra si erano trasformati in vermi. Ancor una volta l’anziano fu vittima della sua ira e gettò furente il recipiente nel fuoco. Quando la mattina dopo, l’anziano reclamò la vaschetta, l’avaro gli confessò d’averla bruciata, suggerendogli di portare con sé la cenere. Così accadde e, dopo averla ben raccolta e depositata nelle tasche dei pantaloni, l’uomo si diresse verso casa. Essendo inverno, si levò improvviso un forte vento, che fece volare un po’ di quella cenere in terra, generando dei fiori, e trasformando la natura in un giardino primaverile. Il principe del paese, passando a cavallo, fu testimone del prodigio; quindi fece chiamare l’anziano, chiedendogli se fosse stato in grado di far rifiorire il ciliegio. L’uomo vi gettò un poco di cenere, accontentando il signore, che in cambio gli consegnò un sacco contenente delle monete d’oro. Appena l’avaro seppe delle capacità prodigiose della cenere, s’industriò per raccoglierla dal suo camino, avviandosi dietro al corteo principesco, per informare il signore di essere in grado di far sbocciare la primavera nella stagione invernale. Fu immediatamente messo alla prova: avrebbe anche lui dovuto far rifiorire il ciliegio, ma la cenere, anziché depositarsi sui rami, volò sul volto del principe, che ordinò al suo seguito di bastonare l’avaro, il quale, gettatosi a terra, chiese di essere risparmiato dal supplizio, riconoscendo di essere stato castigato da Sciro.

Il signore lo perdonò, perché l’uomo promise che si sarebbe comportato bene come i suoi vicini, che tanto avevano amato il loro amico fedele, Sciro.

La fabula si pone nell’ambito della manifestazione dell’essere, spezzato nella visione duale dell’esistenza. Potremmo infatti interpretare il comportamento dei due anziani come modalità della stessa persona.

L’uomo che agisce al di fuori del proprio interesse personale, dedicandosi con vera compassione al prossimo, perché convinto della bontà del retto agire, riceve in cambio «cento volte tanto1». Così abbiamo visto come la coppia di anziani accolga Sciro, offrendogli comodità ed amore, senza alcun compenso, senza alcuna onorificenza, perché «non sappia la sinistra ciò che fa la destra2», e ricevendo in cambio compensi straordinari, tanto da richiamare la macabra attenzione di chi è dominato dall’Ego.

La fabula ci descrive ciò che accadrebbe se ci movessimo nell’esclusivo interesse di noi stessi, ponendo così le nostre richieste al centro di ogni azione: cianfrusaglie, cose inutili, esattamente ciò che è proprio dell’azione egoica. E’ un concetto assai difficile da porre in pratica, perché, essendo stati educati in una civiltà assai attenta all’esclusivo aspetto monetario, l’uomo è inevitabilmente schiavo del suo ego, rischiando così ogni giorno di raccogliere solo polvere.

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(1) MARCO 10 – 30

(2) MATTEO 6 – 3

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