«Sento sempre la Tua voce. E cerco con gli occhi il tuo viso». Lettera di Giuseppe Ungaretti a Bruna Bianco del 15 settembre 1966

«Bruna cara,

Ti ha disturbato il sonno il mio pensare a Te così mattutino? Se il mio pensare a Te dovesse disturbarTi non avresti un minuto di pace.

Sento sempre la Tua voce. E cerco con gli occhi il tuo viso, e a volte non riescono a rivederlo com’è, e allora mi stringo con due mani il viso, e l’accarezzo, e nel mio viso mi rinasce il Tuo nelle mie mani, la più cara cosa, la sola che amo su tutte, l’anima della mia anima, sei l’anima della mia anima, l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia, la vera, l’unica vera.

Come hai fatto a entrare così a fondo nella mia vita? Sei d’una sicurezza in quello che fai incredibile, e sei venuta con quella poesia. A dirti la verità, quando sei andata via e l’ho letta, m’è parsa inutile. C’era un’enfasi, c’era un metro in disuso, non so cosa c’era che mi urtava. L’ho ripresa poi a leggere, e vi ho scoperto una grazia, un’onestà, il modo raro d’indovinare il peso, la qualità, la novità, qui e là dei vocaboli e mi ha toccato, d’improvviso mi ha toccato il sentimento, il dono vero che solo offre la buona poesia.

Ripensandoci capivo d’essermi lasciato subito attrarre da Te, anche prima di disapprovare e poi scoprire e amare i Tuoi primi scritti letti. Mi aveva attratto il tuo pudore, grande, come scabroso eccesivo pudore nonostante l’ostentata sicurezza, quando sei scappata dopo alcuni minuti di visita, il primo giorno, come mossa dal disagio di doverti forse vergognare d’avermi messo tra le mani quelle carte.

Non sono che un piccolo poeta di questo secolo, nel quale anche i maggiori non possono essere che piccoli poeti.

Poi sei tornata e ritornata, e il Tuo scrivere si faceva più semplice e più bello, e ora sei quasi sul punto d’arrivare a una scrittura d’una semplicità bellissima. Grazie.

Sii felice, sii felice a lungo, a lungo, a lungo!

Io sono ormai troppo vecchio, oltre misura vecchio, quasi un antenato e non occorre che io sia ancora felice, e non mi pare che sia successo un giorno ch’io fossi felice. Ma l’augurio che Tu abbia lunghi anni felici si avvererà. Nessuno ha mai desiderato con più violenza, con più disperazione che sia felice una persona, e non è mai accaduto, se il desiderio era fortissimo, che non fosse esaudito. Brindo.

Il grande segreto della poesia è nella semplicità della parola. Se la parola riesce a farsi semplice, come è un sentimento quando riesce a filtrarsi e a farsi trasparente per purezza, tanto da divenire uno specchio per l’ansia d’ogni anima – in quel momento una parola può credersi vicina alla poesia.

15 settembre 1966»

Giuseppe Ungaretti con Bruna Bianco

Nell’agosto del 1966, Giuseppe Ungaretti incontrò Bruno Bianco, durante il suo soggiorno a San Paolo: il Poeta aveva 78 anni, la donna 26. Quando ritornò a Roma, iniziò una fitta corrispondenza con la giovane poetessa, fin quando si rividero, l’anno appresso, nuovamente a San Paolo (dove la giovane viveva con la famiglia d’origine fin dal 1956), in occasione di un incontro tra poeti italiani e sudamericani. I due viaggiarono per la Patagonia argentina, così da rafforzare il loro rapporto, tantoché, quando nel 1969, il Poeta pubblicò «Dialogo» (nove liriche e cinque repliche della Bianco), scrisse in una nota:
«E’ composto di poesie mie, dove, con il rendermi conto dell’età, oso indicare che l’amore può non estinguersi che con la morte». Ebbe a scrivere Leone Piccioni nell’introduzione a «Tutte le poesie di Giuseppe Ungaretti», per i Meridiani Mondadori:

«Nove poesie d’amore, una conclusiva stagione di poesia d’amore, proponendosi a noi tra i segni più alti del suo lavoro. Si vedrà, ad esempio, una composizione stupenda ma anche disperata, e felice e drammatica e quieta insieme, in un’accettazione serena, eppure ancora in contrasto vitale, come quella intitolata La conchiglia: non so se Ungaretti sia mai arrivato a tanta altezza inventiva».

Molte volte Bruna raggiungerà il Poeta in Italia, anche per convincerlo – inutilmente – a trasferirsi in Brasile. Il rapporto durerà fino alla morte del Poeta, avvenuta il 1 giugno 1970.

In un’intervista, rilasciata al giornale Il dubbio il 20 gennaio 2020, Bruna ricorda la folgore, che li colpì ed il desiderio di ricevere lettere quotidiane, «che erano come la nostra droga, capaci di scomporre tutto l’essere». Grazie al nuovo affetto, il Poeta avrebbe abbandonato presto i bastoni:

«Quando lo conobbi era curvo, c amminava dritto come un fuso. Io non mi sono mai accorta di quanti anni avesse, era l’uomo che volevo per me […] è stato l’uomo completo, che mi ha fatto sentire amata. È stato veramente un incontro soprannaturale. Avevamo bisogno di starci vicino e di avere sempre l’insistenza e la presenza dell’amore reciproco».

I due stimarono anche dei progetti matrimoniali, ostacolati dalla mancanza di soldi e di una casa di proprietà.

«Lui sperava nel Nobel, perché con una parte avrebbe comprato una casetta a Capri, dove ci saremmo trasferiti per fare le traduzioni, infatti a lui piaceva tradurre con me i grandi classici. Il Nobel non venne… e fu una vergogna».

Bruna, rientrata in Italia, trasportò tutti gli effetti del Poeta, per sistemarli nella casa di Canelli, in Piemonte, dove avrebbe realizzato un museo, che conterrebbe tutta la vita del Poeta.

La notizia della morte di Ungaretti giunse, quando ancora era residente in Brasile:

«Mia madre entrò in camera, mi confortava e io gridavo, piangevo, non riuscivo a darmi pace. Mia madre aveva nascosto la pagina del giornale con la notizia. Piansi, piansi, piansi molto, ma ero così lontana ed era già successo. Solo piansi, piansi, e lo presi con me Ungà e sarà sempre con me».

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