Il mito di Proserpina dalle «Metamorfosi» di Ovidio

Poco fuori la città di Enna, vi è il lago Pergusa, incoronato dai boschi, che filtrano le vampe del sole, rendendo il luogo una primavera eterna.

Nicolas Mignard – Il ratto di Proserpina (Galleria Silvano Lodi e Due, Milano)

Proserpina, figlia di Cerere, si divertiva a cogliere delle viole e dei candidi gigli, abbellendo le sue vesti, quando Plutone, dopo averla vista, la rapì.

La giovane, con voce accorata, chiamava in soccorso la madre, mentre dal lembo del vestito i fiori caddero a terra, provocando tanto dolore nel cuore di Proserpina. Il rapitore lanciò il cocchio, attraversando terre, quando giunse nei pressi del fiume Ciane dai flutti uscì l’omonima ninfa, la quale sentenziò che Plutone, colla sua preziosa preda, non sarebbe andato troppo lontano. Il re degl’inferi allora, furioso, aizzò ancor più i cavalli, immergendoli nelle profondità dei gorghi, per sprofondare nel Tartaro. Ciane si dissolse nell’acqua.

Cerere – Demetra

Cerere, intanto, si era messa in cerca della figlia scomparsa, vagando senza requie. Sfinita dalla fatica e tormentata dalla sete, bussò presso una capanna; le aprì una vecchia, che subito provvide a servirle una bevanda di orzo tostato. Un ragazzo, che passava lì dappresso, scoppiò a ridere e la chiamò ingorda; immediatamente la dea smise di bere, per gettare il liquido rimasto sul volto del malcapitato, il quale iniziò a trasformarsi: il sembiante si coprì di macchie, le braccia si mutarono in zampe ed alle membra si aggiunse la coda, mentre il corpo si rimpicciolì fino a diventare una lucertola. La vecchia, intenerita dal doloroso evento, provò a toccarlo, ma il ragazzo scappò impaurito.

La dea continuò il suo migrare, toccando tutte le terre del mondo, per tornare in Sicilia, nei pressi della ninfa Ciane, la quale, pur non potendo parlare, poiché aveva preferito perdersi nel fiume, riuscì, a pelo d’acqua, a mostrare alla disperata madre una cinta, che Proserpina aveva perduto proprio in quel tratto di fiume. Cerere, allora, intuì che Proserpina fosse stata rapita e per il dolore inenarrabile maledì tutti i luoghi della terra e, soprattutto, la Sicilia, sicché la terra divenne improvvisamente sterile.

La ninfa Aretusa

La ninfa Aretusa provò a calmare la giusta ira della dea, informandola come la figlia fosse prigione nei gorghi dello Stige, incoronata dal re dell’Averno. Cerere si lanciò con un cocchio verso il cielo, per parlare con il marito, Giove, e comunicargli della sparizione della figlia, chiedendo nel contempo la sua intercessione. Il padre degli Dei riferì che era stato compiuto un ratto per amore e quindi giustificabile, ma, viste le incessanti insistenze di Cerere, acconsentì che la giovane tornasse tra i vivi, a patto che non avesse ingerito del cibo infernale, poiché così le parche avevano deciso.

Purtroppo, Proserpina aveva interrotto il digiuno; quando s’aggirava in un giardino, da un ramo spiovente aveva colto una melagrana, staccando sette granelli. Ascalafo, figlio del demone Acheronte, la vide e quindi s’oppose al suo ritorno in vita e subito fu tramutato in uccello di sventura, un gufo indolente. Giove, allora, divise l’anno in due parti, cosicché Proserpina vivesse sei mesi con la madre Cerere e gli altrettanti con il marito Ade.

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