«Le mille e una notte». «Storia del mercante e del genio»

C’era una volta un ricco mercante. Un giorno, partì per un lungo viaggio, per raggiungere una lontana località, in cui avrebbe trattato un lucroso affare. Recò con sé una valigia, nella quale ripose dei biscotti e datteri da consumare durante il lungo peregrinaggio. Concluso l’accordo, si avviò sulla strada del ritorno, ma il quarto giorno, sfibrato dalla fatica, si posò presso un gran noce, accanto ad una fontana d’acqua chiarissima. Consumò dei biscotti e dei datteri, gettando i noccioli confusamente; quindi terminato il desinare, s’inginocchiò per ringraziare Dio, quando, improvvisamente, apparve un genio vestito di bianco dalle proporzioni spaventose.

Costui lo accusava di avergli ucciso il figlio, colpito da alcuni noccioli, lanciati a terra dal mercante. Il genio alzò la spada ed il mercante con più forza protestò la sua innocenza, ma non movendo a pietà l’anziano, gli chiese allora un anno ulteriore di vita, perché tornasse al suo paese, per salutare la sua famiglia e gli amici, promettendo che sarebbe tornato, per non sfuggire all’orrenda pena. Il genio accettò, e lo lasciò presso la fontana scomparendo. Il mercante riprese, più triste che mai, il suo viaggio e giunto, finalmente a casa, fu festeggiato dai familiari, coi quali divise immediatamente il suo triste futuro, gettando nello sconforto l’intero parentado. L’indomani iniziò a dividere le sue ricchezze coi figli, perché non litigassero dopo la sua morte, estinse i debiti, elargì elemosine ai poveri, concesse la libertà ai suoi schiavi. Trascorso l’anno, si mise in marcia, dopo aver riposto nella valigia il drappo, con cui sarebbe stato avvolto il suo cadavere; egli era ormai rassegnato a morire, unico destino, che unisce l’intera famiglia umana. Quando fu giunto nei pressi della fontana, gli apparve un vecchio, che conduceva una cerva, il quale gli chiese come mai si trovasse in quel luogo così inospitale e popolato di spiriti maligni. Il mercante gli raccontò il motivo e l’anziano gli promise che sarebbe rimasto, al fine di assistere all’arrivo del genio.

Poco dopo, apparve un altro anziano, seguito da due cani neri, che fu messo al corrente di ciò che sarebbe dovuto accadere. L’uomo allora decise anche lui di rimanere con il mercante, quando apparve un terzo vecchio, che, informato dei fatti, si sedette in attesa dell’arrivo del genio.

All’interno di un turbine di polvere, il genio apparve colla spada in mano, deciso a tagliare la testa al povero e rassegnato mercante. I tre vegliardi chiesero pietà per il loro amico; quindi il vecchio con la cerva chiese al genio di ascoltare la sua storia, e, se l’avesse trovata di suo gradimento, avrebbe rimesso allo sventurato un terzo della pena; quindi iniziò il racconto.

Egli sposò una donna dodicenne e, nonostante non avessero potuto avere figli, non era mai diminuito il rispetto e l’amore. Il desiderio di figliare gl’impose di unirsi ad una schiava e la nascita dell’erede fece sorgere una forte gelosia nella donna, che intelligentemente nascose. Quando il vecchio dovette porsi in viaggio, affidò alla moglie la custodia della schiava e del figlio decenne. Ella si applicò a dei sortilegi e così trasformò il bimbo in un vitello, affidandolo ad un suo fittavolo, perché come tale lo trattasse e lo nutrisse; e la schiava in una vacca. Quando l’anziano rincasò, seppe che la schiavaera morta, mentre il figlio era scomparso da due mesi. Giunta la festa dei sacrifici, ordinò al suo fittavolo di condurre una vacca grassa, la quale, quando fu giunta al sacrificio, iniziò a piangere. La moglie, allora, al fine di portare a compimento il suo desiderio di vendetta, ordinò al marito di procedere. Le sue richieste risultarono nulle, la vacca fu ricondotta nella stalla ed il fittavolo condusse un’altra vacca assai grassa, che si preoccupò di uccidere, su ordine del padrone. La bestia si sarebbe rivelata un ammasso di ossa. Allora il vegliardo chiese che gli fosse recato un vitello, il quale, alla vista del babbo, gettò la sua testa a terra, chiedendo pietà. Il vecchio s’intenerì, nonostante le vivaci proteste della moglie, alla quale promise che l’avrebbe sacrificato l’anno venturo.

Il fittavolo, l’indomani, si recò dal vecchio, confessandogli che i due animali, risparmiati dal sacrificio, erano il figlio e la schiava. Egli era stato informato dalla di lui figlia, la quale conosceva le arti magiche, ed era così certa dell’incantesimo operato dalla moglie. Il vegliardo chiese d’incontrare la giovane maga, perché riportasse al vero stato il figlio. Ciò sarebbe potuto accadere, solo se il giovane sarebbe diventato suo sposo e avesse potuto procedere nel punire la moglie, risparmiandole comunque la vita. Rivolta una preghiera a Dio, la ragazza gettò dell’acqua sul vitello, che all’istante riprese la sua forma umana. Dopo che il babbo l’ebbe festeggiato, gli comunicò che si sarebbe dovuto sposare con la salvatrice. La moglie invece fu trasformata in una cerva. Il figlio rimase presto vedovo e così iniziò a viaggiare, non avendo il vegliardo avuto più nuove, si pose peregrinante in cerca dell’erede.

Il genio, dopo aver ascoltato in silenzio e con interesse il racconto, condonò al mercante un terzo della pena.

Intanto il vegliardo, accompagnato da due cani neri, chiese di poter raccontare la sua storia e, qualora fosse stata ritenuta interessante, il genio avrebbe scontato un ulteriore terzo della pena.

L’anziano esordì dicendo d’esser fratello dei due cani, con cui s’accompagnava. La morte del genitore aveva destinato mille dinar ai suoi tre figli, che intesero volgersi al mercatare. Il fratello maggiore (uno dei due cani) impegnò tutta la somma ereditata, per acquistare molta mercanzia, per rivenderla presso paesi lontani. Dopo un anno, alla porta del negozio dell’anziano, si mostrò un povero, che riconobbe quale fratello, il quale aveva fallito l’impresa. Il vecchio badò ad aiutare il reietto e così, in breve tempo e grazie al prestito ricevuto, lo sfortunato mercante poté finalmente ristabilire i suoi affari. La stessa sorte toccò al terzo fratello (trasformato in cane), che fu aiutato, perché potesse condurre una vita dignitosa.

Un giorno i due fratelli si recarono dall’anziano, per convincerlo ad intraprendere un lucroso viaggio d’affari, che fu sdegnatamente rifiutato, ma l’insistenza fu così enorme che alla fine si convinse a partire. Saputo che i due fratelli non avevano soldi, il vegliardo finanziò l’impresa, impiegando circa la metà di quanto aveva guadagnato: tremila dinar. I fratelli partirono e dopo due mesi di navigazione, attraccarono in un porto, dove iniziarono a vendere la mercanzia, quindi reinvestirono parte dei soldi guadagnati, acquistando oggetti del luogo, per poi rivenderli in patria. Poco prima di prendere la via di ritorno, l’anziano fu avvicinato da una donna miseramente vestita, la quale lo pregò di sposarla. Il vecchio rimase impressionato dalle belle parole usate e così si convinse, onde recarla con sé nel suo paese. Durante il viaggio di ritorno, il vegliardo poté ammirare le belle qualità della sposa, mentre i due fratelli mostravano segni d’invidia, così decisero di gettare in mare la coppia. Fortunatamente la moglie era una maga e non affogò, aiutando anche il marito, traendolo in salvo su un’isola. Ella si era finta povera, nascondendo la sua vera identità, ed il marito l’aveva trattata subito con tanto onore ed amore. Era felice di avergli salvato la vita, mentre bramava di toglierla ai due cognati, seppur conoscesse quanto il vecchio fosse contrario. Anzi, maggiori erano le preghiere e maggiormente la rabbia nei riguardi dei due uomini montava. Infine il vegliardo ebbe la meglio, quando la pregò di accettare il bene per il male; infatti la maga s’acquetò e lo trasporto magicamente sul tetto della sua abitazione, da dove scomparve. L’uomo prese i tremila dinar, che aveva nascosto prima di partire, si recò in piazza, per riattivare la bottega, inoperosa da troppo tempo. Appena sull’uscio, si avvide di due cani neri, quando la fata apparve, per spiegargli che trattavasi dei fratelli, ch’erano stati trasformati in animali per dieci lunghi anni, per suo imperio, dalla sorella maliarda. Trascorsa la decina, il vecchio s’era messo in cerca della maga, che da quel giorno non s’era più manifestata. Sul suo cammino incrociò il mercante e l’uomo con la cerva, a cui si unì.

Il genio gradì il racconto e così rimise un ulteriore terzo della pena.

Indi il terzo vecchio chiese il permesso di poter raccontare la sua storia e, qualora fosse stata gradita, al mercante sarebbe stato rimesso un terzo della sua pena.

Esordì dicendo d’esser figlio di un ricco mercante di Surate, alla cui morte, egli sciupò l’intera eredità, perdendosi nella dissolutezza. Un giorno, un forestiero, diretto all’isola di Serendib, bussò alla sua mensa, dove fu accolto, unendosi all’allegra compagnia. Il vecchio raccontò del desiderio di conoscere il mondo, ma anche della paura per gli ostacoli, che avrebbe incontrato. Il forestiero si offrì quale guida, e l’indomani indicò al vecchio d’interpellare un falegname, ché conducesse delle tavole. Ordinò all’artigiano di costruire una cassa lunga sei piedi e larga quattro, badando alla sua perizia le ultime rifiniture. Al termine dell’opera, la cassa fu ricoperta con un tappeto di Persia e portata in campagna, dove, tra lo stupore del vecchio, il forestiero s’introdusse all’interno, ordinando di volare; e così avvenne. La cassa quindi fu regalata al vegliardo, perché potesse usarla nei viaggi lungo il mondo. L’uomo chiese come potesse metterla in modo; fu pregato d’introdursi all’interno dello strano apparecchio volatile e, dopo aver mosso un pistoncino, la cassa prese il volo  presto ricondusse i due uomini a casa del vecchio. Il forestiero si congedò, ed il vegliardo assicurò il prezioso mezzo di trasporto nelle cantine di casa.

Il figlio del mercante non dismise la sua vita di bagordi, tantoché fu costretto a sottoscrivere dei prestiti, per continuare a vivere dispendiosamente. La situazione economica era ormai prossima al tracollo, sicché alcuno si dimostrava favorevole ad aiutarlo, chiedendo, al contrario, la restituzione delle somme prestate. Il vecchio, al fine di sfuggire ai suoi creditori, si richiuse nella cassa, recando con sé del cibo, quindi prese il volo senza una destinazione precisa. Allo spuntar delle prime luci dell’alba, si accorse di trovarsi in una zona montuosa, fin quando giunse nei pressi di un bosco, accanto al quale sorgeva una bellissima città. Avvistato un contadino, intento al lavoro della terra, planò, per informarsi su dove si trovasse. L’uomo gli rispose di trovarsi nella città di Gazna, regno del re Bahaman. La curiosità dell’uomo fu attratta da un bellissimo castello, che si scorgeva in lontananza, dove – seppe – viveva la principessa Shirin, la quale era stata costretta, poiché un oracolo aveva vaticinato che sarebbe caduta preda di un uomo. Il re aveva ordinato di costruire un profondo fossato ripieno d’acqua; quindi aveva preteso una porta d’acciaio, la sorveglianza continua con più uomini armati, che avrebbero dovuto impedire l’ingresso a qualsiasi essere umano di sesso maschile. La principessa era lì rintanata in compagnia di una governante e di alcune ancelle. Il vecchio, ringraziato il contadino, s’incamminò verso la città, incontrando uomini a cavallo, che scortavano il re, il quale si recava a visitare la figlia. Il vecchio allora abbandonò il corteo regale, per recuperare la preziosa cassa, ed, essendo scesa la notte, determinò di trascorrerla nel bosco. Il pensiero della bella principessa prigioniera lo tormentava tanto da distrarlo dal sonno, così decise, grazie alla sua preziosa cassa, di trasportarsi sul tetto del castello, per introdursi nell’appartamento principesco. Giunto, prese la via di una finestra e si trovò davanti la bellissima Shirin dormiente in un letto di preziosissime stoffe. Il vecchio prese la sua mano, per baciarla, svegliando la ragazza, che gridò, richiamando l’attenzione della governante, Mahpeiker. La donna si chiese come avesse potuto aprire venti porte d’acciaio, e l’uomo si giustificò qualificandosi come il profeta Maometto, il quale si era recato dalla principessa, al fine di liberarla dalla malaugurata predizione, contraendo un matrimonio col suo salvatore. Le donne si convinsero delle spiegazioni e della promessa nuziale, e il vecchio poté trascorrere l’intera notte con la principessa. Prima che albeggiasse, lasciò il castello, promettendo di tornare in giornata. Grazie alla macchina volante, discese nuovamente nel bosco, quindi si recò in città, per acquistare degli abiti eleganti, del cibo; giunta la notte, tornò da Shirin, la quale gioì subitaneamente dell’arrivo del profeta, a cui chiese come mai dimostrasse così pochi anni. Il vecchio rispose che intendeva mostrarsi giovane, essendo anche la principessa di simile età. Poco prima che fosse l’alba, il vecchio tornò nuovamente nel bosco, attendendo la sera, per recarsi nell’appartamento della principessa, avendo conquistato la fiducia della giovane e della di lei governante.

Qualche giorno dopo, il re, seguito dal corteo di cavalieri, si condusse al castello, per visitare la figlia, la quale gli confessò della venuta del profeta nella sua camera da letto. Non credette alle ragioni esposte, ed ordinò ai suoi uomini un’immediata perquisizione del castello, che si rivelò vana, poiché non rintracciarono alcun segno. Il re interrogò la principessa, e quando fu giunta la notte, Bahaman attese l’arrivo dell’usurpatore. Si scatenarono gli Elementi, sicché un lampo ferì negli occhi il re, che, avvicinatosi alla finestra, vide il cielo color del fuoco, quando si presentò il veglio. Bahaman allora s’inginocchiò, ringraziandolo della prossima parentela, che li avrebbero legati. Il falso Maometto si compiacque di aver mutato la sorte di Shirin, prendendola per moglie. Il sovrano allora, decise di ritirarsi in un’altra stanza, lasciando in intimità la coppia. Prima che giungesse l’alba, il vecchio salutò la giovane donna, per tornarsene nel bosco.

Un giorno, il re col seguito stava tornando in città, quando furono sorpresi da un violento temporale; un cavallo s’impaurì, scaraventando un cortigiano a terra. Il sovrano lo rimproverò aspramente, perché non credeva che la figlia sarebbe diventata la sposa di Maometto, e per ciò l’ira divina s’era scagliata contro di lui. Appeno giunto il corteo a palazzo, il re ordinò che si pubblicasse la notizia delle imminenti nozze tra la principessa Shirin, sua figlia, ed il profeta Maometto. La sera il vecchio si portò in volo dalla principessa, per informarla dell’accaduto. L’indomani il corteo regale si ricondusse al palazzo principesco, per pregare la figlia d’intrattenere Maometto, onde chiedere perdono, per non aver creduto alle sue parole. Nel frattempo, il falso profeta aveva terminato l’intera salmeria; come trovare i soldi necessari? Scesa la notte, chiese alla principessa di consegnargli alcuni gioielli in segno di dote. La ragazza ubbidì e così il falso Maometto ebbe l’occorrente, per acquistare delle vettovaglie e continuare la sua squallida recita.

Dopo un mese, giunse in città un ambasciatore, che chiedeva per il suo signore, il re Cacem, la mano di Shirin. Bahaman ringraziando rifiutò la proposta, essendo stata la principessa promessa al profeta Maometto. Tornato il messaggero al suo palazzo, informò il suo re del diniego ricevuto, scatenando l’ira del sovrano, che armò i suoi uomini migliori, per condursi presso il regno di Gazna, dove, poco fuori della città, trovò l’esercito avversario spiegato. Re Bahaman riunì il consiglio ed il cortigiano ferito suggerì di chiedere aiuto a Maometto. Direttosi presso la figlia le chiese l’intervento del futuro sposo, avendo saputo che l’indomani le truppe agguerrite del re Cacem avrebbero assalito la città. La principessa mostrò intero il suo stupore per il ritardo del falso Maometto, il quale dall’alto della sua cassa, aveva individuato la posizione delle truppe nemiche. Riempita di sassi la cassa, si diresse verso la tenda del re nemico, che immediatamente scorse, essendo di forma cupoliforme, sostenuta da dodici colonne di legno; sui capitelli esposti ad oriente ed a mezzogiorno, v’erano delle finestre, da cui il falso profeta gettò i ciottoli, colpendo il sovrano alla testa. Le grida di dolore fecero accorrere i soldati, che lo trovarono in una pozzanghera di sangue. Presto la notizia del terribile attentato si sparse, quando il falso Maometto s’issò quasi tra le nuvole, lanciando i sassi sui soldati. L’esercito fugò, inseguito, alle prime luci del giorno, dagli uomini di Bahaman, che ne fecero strage. Cacem fu catturato e condotto in Gazna, dove morì a causa delle ferite. In tutte le moschee, si elevarono canti di ringraziamento, e quando fu giunta la notte, il re si spostò presso il palazzo della figlia, per ringraziare personalmente il falso Maometto, il quale non tardò a mostrarsi. Infiniti furono i ringraziamenti, poi, rimasto solo con la splendida giovane, poté godere delle delizie dell’amore.

Due giorni dopo, Bahaman ordinò dei solenni festeggiamenti per le imminenti nozze tra la principessa ed il falso Maometto, il quale nel cuore della notte organizzò dei fuochi d’artificio, per poi tornare nel bosco. L’indomani si condusse in città, onde ascoltare i commenti della popolazione, estremamente soddisfatta e felice delle azioni del loro profeta. Fu talmente inorgoglito da quei discorsi, che non si avvide della cassa, la quale stava bruciando nel bosco, forse a causa di qualche scintilla. Non potendo continuare a fingersi Maometto, risoluto abbandonò Gazna ed, incontrata una carovana di mercanti, che si dirigevano al Cairo, si unì. Per molto tempo, il vecchio girò per tanti paesi, consegnando alla sua memoria i ricordi di quel tempo felice, falso Maometto, fin quando, imbattutosi – anche lui – nel mercante e nei due anziani, decise di fermarsi presso costoro.

Il genio accordò lo sconto del terzo ultimo scampolo di vita, sparendo in una nuvola di sabbia.

Il felice quartetto si salutò festosamente. Il mercante tornò presso la famiglia, colla quale passò felice il resto dei suoi giorni.

Il tema del viaggio quale rappresentazione del cammino terreno dell’uomo è comune a molte fabulae. L’accusa che è mossa al protagonista, un mercante, è assai terribile: egli è stato l’assassino del figlio del genio, il quale appare spaventoso, come spesso è spaventosa la nostra coscienza, che nell’uomo risvegliato esamina, giudica, rimprovera. Stavolta il verdetto è davvero impietoso ed ultimativo: il mercante sarebbe alla fine della sua vita e per ciò gli sono ricordati quali e quanti errori abbia commesso nei riguardi del prossimo. Prima della Grande Iniziazione, dovrà riparare al torto effettuato, amministrando saggiamente le sue proprietà tra gli eredi. Appena un anno, l’intero corso del Sole, quando tutto si compie ed è pronto a ricominciare.

Tornato quindi nel luogo coscienziale in attesa della comparsa del genio, dotato di spada (che ricorda la falce saturnina), un vecchio accompagnato con una cerva (simbolo di Diana) gli appare. Improvvisamente nella sua coscienza una scintilla nel mezzo degli spiriti maligni, che agitano la nostra interiorità. Si moltiplicano le scintille coll’arrivo di altri due anziani. Si risolve così il magico numero tre.

In questo racconto fantastico, noteremo come risulti preponderante la considerazione dell’elemento umido – femminile, contemplato nella duplicità del bene e del male. Il sortilegio della donna riduce allo stato puramente fisico il figlio e la schiava del marito. La fallacia dell’aspetto magico si rivela, quando i due esseri umani, trasformati in animali, scampano al sacrificio, rivelando all’uomo la vera identità umana. La magia poi è usata, al fine di riportare allo stato naturale i colpiti dal sortilegio, che si scatena contro la moglie trasformata in una cerva. Ciò che le indicò per il prossimo, si ritorse su di lei.Il secondo racconto s’incentra sull’errato comportamento

di due uomini, che a causa degli errori commessi si riducono allo stato animale. Essi sperperarono i «talenti» ricevuti, per cui meritarono il castigo. L’atteggiamento del terzo fratello, così meritevole, c’indurrebbe ad operare nella tolleranza verso chi sbaglia; ed è per ciò che si dimostra sempre incline al perdono. Ancora una volta l’Elemento femminile, immerso nell’istino umorale, interviene, quando la donna precipitata in mare col marito, riesce naturalmente a trarlo in salvo, essendo egli caduto in un Elemento, di cui non conosce ancora le piene potenzialità. Ella avrà la meglio sui due fratelli, autori di quel violento atto, trasformandoli nello stato animale di sé.

Il terzo ed ultimo racconto presenta delle interessanti simbologie, purtroppo usate nello sfruttamento dell’Ego. Il protagonista riceve in dono una cassa in grado di volare; l’Elemento Aria è ora protagonista di questa storia. Egli usa, per puri fini egoistici, il potente mezzo, al fine di avvicinare la principessa, mitica Danae, rinchiusa dal padre sovrano, al fine di non ricevere male dagli uomini, secondo quando vaticinato. Al fine di conquistare la bella, si rivela quale il profeta Maometto, e così è costretto ad intervenire, quando il regno della principessa minaccia d’essere attaccato. Interessante notare come l’uomo si manifesti quale profeta la notte, nel dominio della Luna, rappresentazione – ancora una volta – dell’universo femminile, mentre, durante il giorno, preferisce rintanarsi in un bosco. Sembra che voglia sfuggire ai raggi del sole, alla luce, alla chiarezza, poiché le sue azioni sono condotte nell’oscurità, a danno del prossimo. Quindi, costretto ad abbandonare per sempre gli scomodi panni di Maometto, si aggrega ad una carovana di mercanti. Alle prime luci dell’alba.

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