Girolamo Savonarola: contro Alessandro VI

Alessandro VI (1431 – 1503)

Dopo aver rifiutato la porpora cardinalizia, Fra Girolamo tornò il 17 febbraio 1496 sul pergamo, mentre gli Arrabbiati mettevano in ansia la Signoria, perché decisi ad ucciderlo. Il Frate uscì dal convento accompagnato da un discreto plotone di uomini e tra le grida festanti del popolo, si accomodò in Duomo. Egli avrebbe dovuto spedire la sua predica in Roma, essendo sotto esame della curia; e così confessò la sua piena obbedienza all’ordine della Chiesa di Pietro, perché ritenuta infallibile. Egli avvisò che non avrebbe mai ubbidito ad un comando, che lo avrebbe posto fuori dalle costituzioni domenicane, soprattutto se ciò gli fosse stato ordinato da un principe della Chiesa o dal Papa. Non si sarebbe quindi mai allontanato da Firenze, poiché era certo di rappresentare l’indice della moralità, che, con una sua partenza, sarebbe stato immediatamente depresso. Si rivolse poi al popolo fiorentino, reo di aver fomentato l’attenzione di Roma con accuse false e sconvenevoli, riponendo la sua massima fiducia nei giovani, i quali avevano mostrato comprensione per il Frate. Terminò rivolgendosi direttamente al Vaticano, perché non travisasse le sue parole.

Il periodo quaresimale fu incendiato dalle prediche contro il malcostume romano, vaticinando catastrofi punitrici sull’Italia intera.

Il 25 febbraio intanto si tennero le elezioni per la Signoria, il Savonarola ne approfittò, per informare i fedeli attorno al comportamento da usare: avrebbero dovuto votare, seguendo l’inclinazione della propria coscienza e poi servire con fede gli eletti.

Studiò un nuovo metodo coi confratelli, perché l’istruzione dei bambini ricevesse un nuovo vigore, raccomandando di non forzarli a vestire l’abito. Quando fu giunta la domenica delle Palme, organizzò una solenne processione coi suoi ragazzi, perché inaugurassero il nuovo Monte di Pietà, favorito dal Frate.

Nella domenica in Albis, salì sul pergamo, dove comunicò la sua totale adesione ai principi dogmatici della Chiesa di Roma, raccomandando nuovamente che mai si sarebbe piegato ad un falso comando.

Il successo per le parole espresse dal Frate, durante le ormai sue famose omelie, toccarono anche eminenti personaggi della cultura del tempo, come Giovanni Nesi, discepolo di Marsilio Ficino, il quale scrisse nel 1496 l’Oraculum de novo saeculo. Egli raccontò di una strana visione, di cui era stato protagonista, in cui dialogava con Enea e Platone, descritto quale precursore del cristianesimo. Incontrando Pico della Mirandola, profondamente devoto del Frate, nelle sfere celesti, avrebbe avuto riscontro delle teorie del Savonarola.

Ludovico il Moro (1452 – 1508)

In Firenze, diverse furono le pubblicazioni a favore e contro il Padre, ed un poco alla volta iniziarono a circolare in Italia, cosicché Ludovico il Moro gli rimproverò l’eccessiva militanza politica a svantaggio del ruolo spirituale. Il Frate gli rispose subitaneamente con una lettera, in cui ribadiva la sua ferma posizione nell’obbedienza a Roma. La Signoria intanto inviava da Alessandro VI l’arcivescovo di Pistoia, Nicola Pandolfini, il quale certificò il fastidio provato dal pontefice nei riguardi dell’attività del Frate. Fu convocato un concistoro di quattordici teologi domenicani, perché esaminassero la predicazione del Frate, ma la commissione giudicò fedele agli ordini della Chiesa l’operato di Fra Girolamo, il quale, informato dagli eventi, pubblicò Della semplicità della vita cristiana, in risposta alle accuse del Borgia, col quale analizzò con severità la giustezza dei dogmi, rigettando ogni accusa di eresia.

Nel mese di maggio, risalì sul pergamo e, nel mese di agosto, fu invitato dalla Signoria a predicare nella sala del Consiglio maggiore, in cui ribadì il carattere dei suoi interventi nella vita pubblica ispirati al giusto timore di Dio, che ogni cristiano avrebbe dovuto tenere.

Carlo VIII di Francia (1470 – 1498)
Pier Capponi (1446 – 1496)

Il 25 settembre 1496, moriva Pier Capponi, celebrato con solenne onoranze funebri in Firenze. La lega italiana, viste le difficoltà, che stava attraversando la Repubblica, premeva diplomaticamente, perché si staccasse dalla Francia, il cui re, Carlo VIII aveva perso il delfino. E con ciò un altro vaticinio del Frate s’era compiuto.

Massimiliano I d’Asburgo (1459 – 1519)

Massimiliano I d’Asburgo discese in Italia, invitato da Ludovico il Moro, mentre il Papa proclamava la sua ostilità verso la Repubblica fiorentina, forzando, in accordo coi Sanesi, i confini di Firenze. Massimiliano I transitò per Genova con al seguito uno sparuto gruppo di soldati, per giungere Pisa, dove fu accolto trionfalmente. Nonostante le diffidenze papali, Fra Girolamo incoraggiava il suo popolo a resistere, ma Alessandro VI brigava, affinché tornasse Piero De Medici, per poi consegnare Firenze nelle mani dei suoi figli. Fu pubblicato un breve pontificio, col quale si vietò la predicazione al Frate; il convento di San Marco fu aggregato alla provincia lombarda e, di fatto, Fra Girolamo sarebbe caduto nella giurisdizione papale. Il Frate allora inviò una lettera a Roma, con la quale esprimeva la sua costernazione per le false informazioni, ch’erano giunte sul suo conto al Pontefice. Specificò di non essersi mai definito profeta, ma di aver annunciato alcuni fatti, che poi si sarebbero realizzati nel tempo. Infine, chiedeva al Papa di non unire S. Marco alla provincia lombarda, per non inasprire i già difficili rapporti, che intercorrevano tra le due province. Il 16 ottobre 1496, Alessandro VI rispondeva, chiedendo al Padre di astenersi da qualsiasi predicazione pubblica e privata, invitandolo a Roma per un’udienza privata.

Intanto gl’imperiali in accordo coi milanesi stringevano d’assedio la città di Livorno, costringendo i fiorentini alla difesa. Le truppe furono respinte, ma il prezzo pagato fu altissimo, sicché in Firenze iniziò a spargersi la fame. Gli Arrabbiati ne approfittarono, per montare l’ennesima polemica contro il Savonarola, ridotto al silenzio. Il 28 ottobre, il Frate tornò sul pergamo, accusando il popolo di praticare una vita dissoluta, causa di tutte le sciagure. Esortò tutti a ritornare agl’insegnamenti di Cristo, ordinando la processione della statua della Madonna dell’Impruneta, che sarebbe stata celebrata il giorno 30. Quando il corteo fu giunto in Por Santa Maria, un messaggero annunciò l’immediato arrivo di soccorsi ed aiuti dai mercanti fiorentini, che vivevano in Francia. Le chiese si riempirono di fedeli, furono celebrate delle funzioni di ringraziamento, e tutti mirarono in Fra Girolamo il salvatore della patria. I Fiorentini, galvanizzati dalle novità, misero in fuga gl’imperiali, mentre il primo novembre, Savonarola invitata il popolo a ringraziare Dio misericordioso a favore di una reale conversione. L’indomani predicò sul concetto della morte, illustrando come un buon cristiano dovesse por mente continuamente, al fine di vivere santamente. Invitò tutti a procurare un quadro descrivente gli ultimi istanti di vita, spiegando con molti particolari il contenuto, che sarebbe stato poi descritto dal Botticelli e da altri eminenti artisti.

Il 7 novembre, Alessandro VI inviava un nuovo breve a tutti i domenicani della provincia tosca, con cui la univa a quella di Roma, affidandola ad un vicario, il cardinale di Napoli, Alessandro Carafa, amico del Savonarola.  Il papa aveva posto nella sua giurisdizione il Frate, il quale nell’Apologia della Congregazione di San Marco, ribadiva la contrarietà sua e dei confratelli toscani alla novità pontificia.

La guerra con Roma stava per iniziare

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