Una lettura della «Parafrasi del Padre nostro» di San Francesco

O santissimo Padre nostro (Mt 6,9): creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro.

L’indice creativo, da cui il Tutto è scaturito quale testimonianza di sé, e falsa frammentazione dell’Unità, è definito redentore, quindi liberatore da ogni forma di costrizione fisica; consolatore, aggettivo che ha in essere la parola sole quindi capace di ripristinare l’antico splendore primordiale; salvatore, colui che difende, custodisce l’antica virtù deistica dell’uomo.

Che sei nei cieli (Mt 6,9): negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce, infiammandoli all’amore, perché tu, Signore, sei amore, ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine, perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene.

Dio è immaginato nella composizione uranica – intellettuale, legato all’Elemento Aria e da ciò illuminerebbe coloro che hanno compiuto il Viaggio come i santi, i quali sono giunti nella Conoscenza, elevandosi verso vette angeliche; ancora una volta Francesco ci rammenta l’Elemento Aria, quale dominio della deità. Interessante notare l’accostamento tra l’amore e la luce, come condizione l’una dell’altra, per cui essendo presente l’amore nell’azione di un uomo, egli immediatamente irradia chi avrebbe prossimo, perpetuando il ciclo tra Dio, gli angeli ed i santi. La compenetrazione tra il Principio e l’uomo avverrebbe nell’amore, nella perfetta fusione, da cui emana la beatitudine, effetto dell’irradiamento amoroso. L’adesione tra Bene, Principio, Dio è totale; l’uno spiega l’altro, l’uno cerca di chiarire l’altro. Essendo impossibile definire compiutamente Dio, si ricorre allora all’effetto simbolico, capace di stimolare nell’uomo una visione più ampia e quindi maggiormente vicina alla definizione intellettuale del concetto. Il passaggio tra le ragioni dell’Assoluto e la stretta intellettualità purtroppo comporta l’uso di più parole in funzione anagogica.

Sia santificato il tuo nome (Mt 6,9; Cfr. Ef 3,18): si faccia luminosa in noi la conoscenza di te, affinché possiamo conoscere l’ampiezza dei tuoi benefici, l’estensione delle tue promesse, la sublimità della tua maestà e la profondità dei tuoi giudizi

L’Iniziato è tale se sentirà in sé il desiderio di cercare e trovare quella luce, simbolo dell’Eterno, attraverso cui, nel silenzio delle parole, conoscere per avvicinamento Dio, la Sua capacità di operare nella Luce, e quindi nell’assenza dell’ombra, in cui si cela la potenza. L’Unità si presenta agl’occhi dell’uomo quale processo di sublimazione, quarto ed ultimo stadio dell’Opus alchemicum, presente nella massima potenza e quindi nella capacità di giudizio ovverossia di conoscenza.

Venga il tuo regno (Mt 6,10): perché tu regni in noi per mezzo della grazia e ci faccia giungere nel tuo regno, ove la visione di te è senza veli, l’amore di te è perfetto, la comunione di te è beata, il godimento di te senza fine.

La ricerca dell’Iniziato favorirebbe una condizione coscienziale, in cui vivrebbe la realtà principiale, essendola natura composta del riflesso di Dio, che possiamo quindi riconoscere, imparando a guardare oltre il fenomeno. La grazia è il mezzo, attraverso cui Dio comunicherebbe con l’uomo, è lo strumento del passaggio dalla realtà principiale a quella secondaria. La Grande Iniziazione porrà l’uomo quale parte integrante del λόγος, al termine di un processo di riunificazione, interrotta a causa della caduta, per cui l’uomo conquistò la triste e bassa condizione fisica. Il λόγος è amore, perfezione, comunione.

Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra (Mt 6,10): affinché ti amiamo con tutto il cuore (Cfr. Lc 10,27), sempre pensando a te; con tutta l’anima sempre desiderando te con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze spendendo tutte le nostre energie e sensibilità dell’anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi, trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri e nei mali soffrendo insieme con loro e non recando nessuna offesa a nessuno (Cfr. 2Cor 6,3).

E’ possibile realizzare la volontà celeste nella condizione terrestre? L’immagine del quadrato inscritto nel cerchio, rende perfettamente la convivenza tra la dimensione esplicitata dall’uso del Compasso, con quella della Squadra; l’incontro quindi tra Spirito e Ragione.

In simile condizione l’uomo è posto nella direzione corretta, poiché egli stesso sarà immagine del centro terrestre esattamente corrisposto al centro celeste.

Il nostro pane quotidiano (Mt 6,12): il tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, dà a noi oggi: in memoria, comprensione e reverenza dell’amore che egli ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì.

Il lemma pane, in lingua messapica, significherebbe grano, elemento legato a Cerere ed a Saturno, il quale, dopo essere stato cacciato dal cielo adopera del figlio Giove, riparò nel Lazio, dove insegnò agl’uomini l’arte della coltivazione del grano. Quando l’uomo conobbe quindi il grano, si aprì la civiltà, coll’uscita dall’anarchia esistenziale e spirituale. L’uomo quindi dovrebbe quotidianamente, attraverso il pane, ricordare il passaggio della conoscenza dagli dei alla dimensione fisica umana.

E rimetti a noi i nostri debiti (Mt 6,12): per la tua ineffabile misericordia, per la potenza della passione del tuo Figlio diletto e per i meriti e l’intercessione della beatissima Vergine e di tutti i tuoi eletti.

Il lemma debito – a nostro avviso – sarebbe traducibile in ciò che ogni uomo, dimentico della sua natura spirituale, nell’azione espansiva dell’ego, la quale appunto fermerebbe un debito verso l’esaltazione dello spirito.

Come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6,12): e quello che non sappiamo pienamente perdonare, tu, Signore, fa’ che pienamente perdoniamo sì che, per amor tuo, amiamo veramente i nemici (Cfr. Mt 5,44) e devotamente intercediamo presso di te, non rendendo a nessuno male per male (Cfr. 1Ts 5,15; Rm 12,17) e impegnandoci in te ad essere di giovamento a tutti.

Il concetto del perdono assume significato di concessione. L’uomo è trascinato nei vizi, da cui mai potrà essere evaso, poiché sono la naturale conformazione della sua realtà fisica. In memoria di ciò, è necessario la remissione dell’azione, poiché egli sarà sempre schiavo della sua bruta realtà. Le religioni, le scuole iniziatiche sono sorte nel corso dei secoli, per attenuare quanto possibile gli effetti di questo inconfutabile aspetto dell’uomo, il quale, in quanto humus, nella pratica fisica sperimenta l’effetto della caduta.

E non ci indurre in tentazione (Mt 6,13): nascosta o manifesta, improvvisa o insistente.

La tentazione è un altro effetto dell’inevitabile condizione fisica dell’uomo, il quale esplora la realtà circostante attraverso i cinque sensi. Il lemma è legato, in particolare, al tatto, quindi ecco spiegata la riduzione limitante, in cui l’uomo conosce ciò che può esclusivamente toccare. Francesco chiede all’Altissimo di non castrarci nella strettoia dei sensi, i quali, dopo averli compiutamente conosciuti, rivelano la fallacità. L’uomo ormai consapevole della limitatezza sensoriale, sperimenta l’Oltre, proiezione del Principio, nella realtà finita attraverso una conoscenza più sottile ed articolata: l’intuizione.

Ma liberaci dal male (Mt 6,13): passato, presente e futuro.

Il male è la condanna alla finitezza, alla falce di Saturno. Ed è tutto ciò che si oppone alla virtù, condizione indispensabile per un cammino di perfezionamento e purificazione interiore. La parola ammalare contiene in sé male, poiché l’uomo, che non riesca ad esercitarsi alla virtù rischia inequivocabilmente di ridursi alla condizione istintiva, schiacciando qualsiasi anelito spirituale: ecco l’insorgere del male, quale sintomo di incompiutezza, finitezza, irrisolto.

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