«Vita di Raffaello: la Stanza di Eliodoro» tratta da «Descrizione delle immagini dipinte da Raffaello» di Giovanni Bellori (1751)

L’incontro tra Leone Magno ed Attila (Pinacoteca Vaticana)

Il 19 marzo 1513, fu incoronato Leone X De Medici, il quale volle che Raffaello seguitasse a dipingere la Stanza di Eliodoro, e così realizzò l’Incontro di Leone Magno con Attila, quando il pontefice cacciò il barbaro benedicendolo.

«Fece Raffaello in quella storia San Pietro e San Paolo in aria con le spade in mano, che vengono a difender la Chiesa. E se bene la storia di Leone I non dice questo, egli nondimeno per capriccio suo volle figurarla forse così, come interviene molte volte che così le pitture, come le poesie vanno vacando per ornamento dell’opera, non discostando però per modo non conveniente dal primo intendimento. Vedesi in quegli Apostoli quella fierezza ed ardire celeste, che suole il giudicio divino molte volte mettere nel volto de’ servi suoi, per difender la Santissima religione. E ne fa segno Attila, il quale si vede sopra un cavallo nero balzano e stellato in fronte, bellissimo quanto più si può, il quale con attitudine spaventosa alza la testa, e volta la persona in fuga. Sonovi altri cavalli bellissimi e massimamente un giannetto macchiato, che è cavalcato da una figura, la quale ha tutto l’ignudo scoperto di scaglie, a guisa di pesce, il che è ritratto dalla colonna Trajana, nella quale sono i popoli armati in quella foggia, e si stima ch’esse siano arme fatte di pelle di coccodrillo.

Vi è Monte Mario, che abbraccia, mostrando che nel fine della partita de’ Soldati gli alloggiamenti rimangono sempre in preda alle fiamme. Ritrasse ancora di naturale alcuni mazzieri, che accompagnano il Papa, i quali son vivissimi, e così i cavalli, dove son sopra e il simile la cotta de’ Cardinali, ed alcuni palafrenieri, che tengono la chinea, sopra cui è a cavallo in pontificale, ritratto non men vivo che gli altri, Leone X e molti cortigiani».

L’estasi di Santa Cecilia San Giovanni in Monte, Bologna)
Madonna del Pesce (San Govanni in Monte, Bologna)

Nello stesso periodo, realizzò per la chiesa di San Domenico di Napoli la Madonna del pesce e per la chiesa di San Giovanni in Monte di Bologna l’Estasi di Santa Cecilia, in cui ritrasse la donna, «che da un coro in Cielo di Angeli abbagliata, sta a udire il suono, tutta data in presa all’armonia, e si vede nella sua testa quella astrazione, che si vede nel vivo di coloro che sono in estasi; oltre che sono sparsi per terra instrumenti musici che non dipinti ma vivi e veri si conoscono e similmente alcuni suoi veli e vestimenti di drappi d’oro e di seta e fatto quelli di un cilicio maraviglioso. Ed un San Paolo, che ha posato il braccio destro sulla spada ignuda e la testa appoggiata alla mano, si vede con meno espressa considerazione della sua scienza, che l’aspetto della sua fierezza conversa in gravità. Questi è vestito in un panno rosso semplice per mantelle e di una tunica verse sotto quella Apostolica e scalzo. Vi è poi una Santa Maria Maddalena, che tiene in mano un vaso di pietra finissima, in una posa leggiadrissima; e svoltando la testa par tutta allegra della sua conversione, che certo in quel genere penso sia che meglio non si potesse fare. E così sono anco bellissime le teste di Sant’Agostino e di San Giovanni Evangelista». Nelle pitture di Raffaello, «trema la carne, vedesi lo spirito, battono i sensi alle figure sue, e vivacità viva vi si scorge per il che quello gli diede, oltra le lodi, che aveva più nome assai», tanto da meritare diversi carmi in lingua volgare e latina.

Ritratto di Bindo Altoviti (National Gallery of Art, Washington)

Nel 1515, ritrasse Bindo Altoviti, ricco banchiere fiorentino

Madonna del Divino Amore (Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli)

Nel 1516, realizzò per Lionello da Carpi la Madonna del Divino Amore, «vedendosi nel viso della Nostra Donna una divinità e nell’attitudine una modestia, che non è possibile migliorarla. Finse ch’ella a man giunte adori il figliuolo, che le siede in su le gambe, facendo carezze a San Giovanni picciolo fanciullo, il quale lo adora insieme con Santa Elisabetta e Gioseffo».

La Velata Galleria Palatina, Firenze)

Per la casa del mercante Matteo Botti, dipinse La Velata (conservata presso la Galleria Palatina, Firenze), in cui ritrasse una donna che «amò sino alla morte, che pareva viva».

Spasimo di Sicilia (Museo del Prado, Madrid)

Nel 1517, si dedicò allo Spasimo di Sicilia, per il monastero di Santa Maria dello Spasimo. «Conoscendosi in quella la impietà de’ Crocifissori, che lo conducono alla morte al monte Calvario con grandissima rabbia, dove il Cristo appassionatissimo nel tormento nell’avvicinarsi alla morte, cascato in terra per il peso del legno della Croce e bagnato di sudore e  sangue, si volta verso le Marie, che piangono dirottissimamente. Oltra ciò si vede fra loro Veronica, che stende le braccia, porgendogli un panno; con un affetto di carità grandissima. Senza che l’opera è piena d’armati a cavallo ed a piedi, i quali sboccano fuori della porta di Gierusalemme, con gli stendardi della giustizia in mano, in attitudini varie e bellissime». Si raccontò che, dovendosi portare la tavola a Palermo, fu imbarcata, e durante il viaggio si scatenarono gli Elementi. Mentre si rinvennero dei feriti e gran parte della mercanzia fu perduta in mare, il dipinto miracolosamente rimase illeso.

L”incendio di Borgo (Musei Vaticani)

Terminò la dipintura della Stanza di Torre Borgia con L’incendio di Borgo, «che non potendosi spegnere il fuoco, Leone IV si affacciò alla loggia di Palazzo e con la benedizione lo estinse interamente. Nella quale storia si veggono diversi pericoli figurati, di una parte vi sono persone, che dalla tempesta del vento, mentr’elle portano acqua per ispegnere il fuoco con certi vasi in mano, ed in capo sono aggirati loro i capelli ed i panni con una furia terribilissima. Altri che si illudono buttare acqua, accecati dal fumo, non conoscono se stessi. Dall’altra parte v’è figurato nel medesimo modo, che Virgilio descrivò che Anchise fu portato da Enea, un vecchio ammalato, fuor di sé per l’infermità e per le fiamme del fuoco, dove si vede nella figura del giovane l’animo, la forza ed il patire di tutte le membra dal peso del vecchio, abbandonato addosso a quel giovane. Seguitato una vecchia scalza e sfibrata, che viene fuggendo il fuoco ed un fanciulletto ignudo loro innanzi. Così dal fumo d’una rovina si vede una donna ignuda tutta rabbuffata, la quale avendo il figliuolo in mano, lo getta ad un suo, che è campato dalle fiamme, e sta nella strada in punta di piede, a braccia tese, per ricevere il fanciullo in fasce; dove non meno si conosce in lei l’affetto del cercare di campare il figliuolo, che il patire di sé nel pericolo dell’ardentissimo fuoco, che avvampa. Né meno passione si scorre in colui che lo piglia, per cagione d’esso puto, che per cagione del proprio timor della morte; né si può esprimere quello che s’imaginò questo ingegnosissimo e mirabile artefice in una madre, che messasi i figliuoli innanzi, scalza, sfibbiata, scinta e rabbuiato il capo, con parti de le vesti in mano, gli batte, perché fuggano dalla rovina, e da quell’incendio di fuoco. Oltre che vi sono ancora alcune Femine, che inginocchiate dinanzi al Papa, pare che preghino Sua Santità, che faccia che tale incendio finisca».

La battaglia di Ostia (Musei Vaticani)

Nell’altra storia, Raffaello descrisse la Battaglia di Ostia, occupata da un’armata turca, inviata perché catturasse papa Leone IV:

«Veggansi i Cristiani combattere in mare l’armata, e già al Porto esser venuti prigioni infiniti, che da una barca escano tirati da certi soldati con la barba e bellissime cere, e bravissime attitudini, e con una differenza di abiti da galeotti sono menati innanzi a S. Leone, che è figurato e ritratto per Papa Leone X, come fece Sui Santità in Pontificale, in mezzo del Cardinale Santa Maria in Portico, cioè Bernardo Dovizio da Bibbiena, e Giulio de Medici cardinale, che fu poi papa Clemente VII. Né si possono contare minutissimamente le belle avvenenze, che usò questo ingegnosissimo artefice nell’arte dei prigioni, che senza lingua si conosce il dolore, la paura e la morte».

Giustificazione di Leone III

La Stanza fu completata con la Giustificazione di Leone III, dove il papa benedice gli ori durante la celebrazione del pontificale. Insieme ai numerosi concelebranti, partecipano molti ambasciatori e personaggi vestiti alla francese.

L’incoronazione di Carlo Magno (Musei Vaticani)

L’altra storia rappresenta l’Incoronazione di Carlo Magno, nella quale partecipano tutti i massimi dignitari della Chiesa, accompagnati dai camerieri e scudieri. Riconosciamo Giannozzo Pandolfini, vescovo di Troja ed amico del Pittore, e, vicino al Re, un bambino in ginocchio, che reca la corona col volto di Ippolito de Medici, che fu cardinale e vicecancelliere.

«Non si possono scrivere le minuzie delle cose di questo Artista, che in vero in ogni cosa sua, nel silenzio par che favelli. Oltre i basamenti fatti sotto a queste con varie figure di difensori e remuneratori della Chiesa, messi in mezzo di vari termini, e condotto tutto ad una maniera che ogni cosa mostra spirito ed affetto e considerazione con quella concordanza ed  unione di colorito l’una con l’altra, che migliore si può imaginare».

Siccome la volta fu dipinto dal suo maestro, il Perugino, egli non volle toccarla.

La visione di Ezechiele (Galleria Palatina, Firenze)

Nel 1518, per la nobile famiglia degli Ercolani, dipinse la Visione di Ezechiele (oggi alla Galleria Palatina di Firenze), dove «un Cristo ad uso di Giove in cielo ed attorno i quattro Evangelisti, come gli descrive Ezechiele, uno a guisa d’uomo e l’altro di leone, e quello di aquila e col bue, con un paesino sotto, figurato per la terra non meno raro e bello nella sua picciolezza, che siano l’altre cose sue nelle grandezze loro».

Ritratto di Papa Leone X con i cardinali Giulio de Medici e Luigi de’ Rossi (Uffizi, Firenze)

Nello stesso anno, dipinse il ritratto di Papa Leone X accompagnato dai cardinali Giulio de Medici e Luigi de’ Rossi (oggi conservato agli Uffizi), «nel quale si veggono non finte, ma di rilievo tonde le figure; quivi è il velluto, che il pelo il damasco addosso a quel papa, che suona e lustra; le pelli della fodera morbide e vive, e gli ori e le sete contrafatti sì che non colori, ma oro, carta pecora miniato, che più vivo si mostra e che la vivacità; ed un campanello d’argento lavorato, che non fi può dire quanto è bello. Ma fra l’altre cose vi  una palla della seggiola brunita e di oro, nella quale a guisa di specchio si ribattono (tanta è la sua chiarezza) i lumi delle finestre, le spalle del Papa ed il rigirare delle stanze, e sono tutte queste cose condotte con tanta diligenza che credasi pure e sicuramente che Maestro alcuno di questo meglio non faccia, né abbia a fare. La quale opera fu cagione, che il Papa al premio grande lo rimunerò».

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