Brevi note biografiche. Giuseppina Strepponi nacque a Lodi l’8 settembre 1815, primogenita di Feliciano, musicista e Rosa Cornalba.
Studiò canto presso il Conservatorio di Milano, dove si diplomò nel 1834, e celebrò il suo debutto in un concerto nel mese di ottobre in Lodi. Esordì nel teatro di Adria nel mese di dicembre, nella Chiara di Rosemberg di Luigi Ricci, con cui segnò l’inizio di una brillante carriera, che le permise – oltretutto -, grazie ai guadagni, di mantenere i familiari, essendo nel tempo scomparso il babbo.
Nel 1835, Bartolomeo Merelli le indicò il debutto presso il Teatro di Porta Carinzia nell’Anna Bolena (Giovanna) di Gaetano Donizetti.
Nel mese di aprile del 1836, si esibì in quattro opere presso il Teatro La Fenice.
La brillante carriera fu parzialmente sospesa nel 1837, per permettere la nascita del figlio, Camillo. Quindi riprese l’attività, cantando in diverse opere accompagnata ad artisti celebri, mentre al termine di una nuova gravidanza, nasceva Giuseppina Faustina. Il 20 dicembre 1839, debuttò alla Scala nelle Due illustri rivali di Saverio Mercadante, e si apprestò allo studio dell’Oberto, conte di S. Bonifacio dell’esordiente Giuseppe Verdi, per una serata a scopo benefico, che non si sarebbe tenuta.
Il librettista Temistocle Solera celebrò le lodi del soprano in un articolo sulla Strenna teatrale europea:
«Vienna, Firenze, Venezia […] e nella trascorsa primavera la colta Milano, ammirarono in questa giovane i più bei doni di natura, resi grandi da un continuo studio; e sì nel genere serio, come nel giocoso, fece dimenticare molte celebri cantanti che l’avean preceduta. Dotata di un’anima estremamente sensitiva, sa insinuarsi e col canto e con l’espressione nel cuore degli spettatori».
La frenetica attività teatrale, cui si sottoponeva Giuseppina, fu la causa dei primi problemi di salute vocale; ed in una lettera dell’11 febbraio 1840, indirizzata all’impresario Alessandro Lanari, reclamava l’assoluta necessità di riposo, «mettere in equilibrio le forze del mio corpo, stancate e debilitate dalla continua e violenta fatica del canto. Continuando a cantare, io incontro il certo pericolo di perdere la voce». Purtroppo i reclami rimasero inascoltati, sicché non le furono concessi i necessari periodi di tempo, per recuperare.
Il 4 novembre 1841, nacque la terza figlia, Maria Theresa, che disgraziatamente scomparse dopo un anno di vita.
Il 9 marzo, avrebbe cantato nel Nabucco, dove evidenti furono i segnali di usura della voce, già pronosticati da una visita fiscale, cui la cantante sarebbe stata sottoposta, tre giorni antecedenti alla prima. A causa di gravi problemi finanziari, riuscì, contro il parere di Verdi, a convincere l’impresario Merelli dal non escluderla dalla compagnia, e la stampa rilevò le difficoltà incontrate nell’affrontare l’impervio ruolo di Abigaille, con cui avrebbe chiuso la carriera l’11 maggio 1846 a Modena.
Si trasferì a Parigi, per insegnare canto, aiutata da Verdi, il quale, nel luglio del 1847, si recò in visita, dopo il successo de I Masnadieri a Londra.
Nel gennaio 1848, il Maestro presentò Giuseppina al suocero, Antonio Barezzi. Nell’agosto del 1849, la coppia si stabilì a Busseto in palazzo Cavalli, nonostante le diffidenze dei paesani, poco inclini ad accettare la relazione more uxorio, e l’abbandono dei figli illegittimi. Il 21 gennaio 1852, Verdi se ne lamentò col Barezzi:
«Ella vive in un paese che ha il mal vezzo d’intricarsi spesso degli affari altrui e disapprovare tutto quello che non è conforme alle sue idee […]. In casa mia vive una Signora libera, indipendente, amante come me della vita solitaria, con una fortuna che la mette al coperto di ogni bisogno».
Il 29 agosto 1859, la coppia regolò la convivenza, contraendo matrimonio religioso; ed in novembre si avviarono le pratiche per l’adozione di Filomena Maria Cristina, figlia di un Giuseppe Verdi, cugino di primo grado del Maestro, rimasta orfana. La piccola fu collocata nel Collegio della Provvidenza di Torino, perché ottenesse la licenza magistrale. Nella vita della coppia, irruppe Teresa Stolz, al cui fascino Verdi non seppe resistere, creando inevitabili contrasti e dissidi.
Il 4 novembre 1897, Giuseppina moriva nella villa di S. Agata per una polmonite.
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Il 23 dicembre 1841, Giuseppina annotò sul diario, che avrebbe cantato nel Nabucco, aggiungendo: «ne parlai bene con Ronconi, e Merelli venne a saperlo e da aquila qual è lo ha riavvicinato. Gli ha messo in mano un vecchio libretto di Temistocle Solera, quello che il tedesco Carlo Otto Nicolai non ha voluto, perché parlava di assiro – babilonesi che tengono in cattività gli ebrei e con una storia d’amore che non si regge in piedi. Il Verdi, ho saputo reduce da tante sventure familiari, dapprima non lo voleva prendere. Poi ne ha fatto un capo d’opera. Pare che abbia perduto nel giro di un anno due figli in tenerissima età e la giovane moglie, e che abbia passato un periodo da cui si disperava si potesse risollevare, ma alla fine l’artista prevalse. Vennero qui da me il Verdi ed il suo amico avvocato o ingegnere, Francesco Pasetti, che m’illustrò la genesi di questo «Nabucodonosor». Poi Giuseppe Verdi si mise al piano per farmi sentire qualcosa. Veramente rimarchevole in molti punti, ho fiducia che il lavoro sia eseguito con successo».
Il 21 febbraio 1842, Giuseppina annotò:
«Ho udito di una gran baruffa tra Merelli e Verdi: l’impresario gli aveva promesso l’opera nel cartellone di questa primavera e poi non l’ha inserita, così si è giunti alle parole grosse. Vorrei metterci una buona parola perché il giovane compositore è persona piacevole e credo molto promettente e tempo addietro mi prospettò anche l’idea del ruolo di Abigaille nel «Nabucodonosor». Mi piacerebbe cantare una tal parte perché impegnativa».
Il 9 marzo del 1842, debuttava presso il Teatro alla Scala Nabucco:
«Devo scrivere subito a sangue caldo queste prime impressioni. Il «Nabucodonosor» si fece quest’oggi e il successo fu tale che il pubblico alla stretta del primo finale si levò in massa gridando e vociferando per osannare l’autore. Lui stava lì, emozionato e da quasi intimorito da tanto consenso. So che Gaetano Donizetti posticipò il suo viaggio a Bologna, dove doveva dirigere lo «Stabat mater» di Rossini, per assistere a questa prima. Mi accorsi che anche lui era tra quelli che si alzarono in piedi e lo vidi applaudire con convinzione. Questo, da parte di un compositore acclamato, è il miglior viatico che si possa ottenere e dimostra che Donizetti è un gran signore, un sommo artista ed un uomo generoso. Verdi mi confidò di aver pagato di tasca sua i coristi che mancavano, e che il Merelli non si peritò di riesumare gli scenari ed i vestiti del balletto «Nabucodonosor» di Antonio Cortesi di due anni orsono. Devo la mia partecipazione all’opera al Merelli all’opera perché so di sicuro che il Verdi, nonostante tutto, era restio dal momento che la mia voce sta subendo un consistente calo».
Nella recita del 10 marzo, si consumò un ennesimo trionfo, per cui «Verdi è fuori dalla gioia e mi fa mille gentilezze».
Fu l’ultimo accenno sul diario al capolavoro del Maestro.