Fra Girolamo sentì attorno a sé l’abbandono dei seguaci, mentre Firenze si riempiva di spie di Ludovico il Moro, le quali denunciavano forti cambiamenti nella struttura governativa fiorentina, voluti dal gonfaloniere, Bartolomeo Popoleschi.
Durante il periodo di Quaresima, un francescano, Francesco di Puglia attaccava in Santa Croce fra Girolamo, accusandolo d’eresia e sfidandolo ad entrare nel fuoco, al fine di provare la veridicità della dottrina. I Compagnacci brigarono, perché l’evento si compisse, e di fronte al diniego del Frate, avrebbero potuto sequestrarlo, indi ucciderlo. La Signoria allora organizzò la particolare tenzone, mentre fra Girolamo cercava di evitarla in tutti modi, seppur segretamente pensava che simile esperimento avrebbe potuto contare a suffragio delle sue idee, direttamente osservate dalla Divina Volontà. Tutti i domenicani si dichiararono disposti a seguire il Padre, il quale dovette rompere gl’indugi, e comunicò che avrebbe scelto il confratello, che lo avrebbe seguito nel fuoco.
Il 6 aprile del 1498 si sarebbe tenuta la prova, ma la sera precedente la Signoria rinviò la sfida al giorno 7, forse attendendo un breve pontificio, che sospendesse la terribile dimostrazione. I fiorentini attendevano con ansia d’assistere all’evento. Fra Girolamo, celebrata la messa, si mosse, seguito dai confratelli, verso la piazza, cantando il salmo Exurgat Deus et dissipetitur inimici ejus. Erano le ore 18, tutto era pronto, quando la Signoria bloccò la prova, segnando così la rabbiosa indignazione popolare, che si scagliò contro il Savonarola, reo di non voler entrare nel fuoco. I domenicani faticarono, e non poco, a rientrare in San Marco, cosicché fra Girolamo trovò le donne oranti, e ne approfittò, salendo sul pergamo, onde spiegare l’accaduto. La Signoria intanto assegnava ai Frati Minori una pensione annua di 60 lire.
L’8 aprile, domenica delle Palme, il Frate fu autore di un breve e triste sermone, dichiarandosi pronto ad immolarsi. I Piagnoni assistettero al vespro, poi s’avviarono verso il Duomo, dove avrebbero predicato fra Mariano degli Ughi, il quale s’era offerto di entrare nel fuoco, in compagnia di fra Malatesta e fra Domenico. Durante il percorso d’avvicinamento, il gruppo fu assalito con pietre da parte degli Arrabbiati. Giunto finalmente alla meta, trovarono sulla porta d’ingresso i Compagnacci, i quali, sguainate le armi, rincorsero minacciosamente un certo Laudo Sassolini. I Piagnoni rincasarono velocemente per armarsi, mentre parte del popolo fiorentino si dirigeva verso San Marco per assalirlo. I seguaci di Fra Girolamo rinserrarono le fila pronti alla pugna armandosi, aiutati dai frati, fra cui Andrea della Robbia. Savonarola si dolse da così tanto ardire, e fra Domenico raccomandò la deposizione delle armi inascoltato. Allora fra Girolamo, al fine di evitare la catastrofe nel tempio di Dio, si dichiarò disposto a consegnarsi ai nemici, immediatamente scongiurato dai suoi fedeli. Egli prese il Sacramento, per avviare una processione nel chiostro, quindi la compagnia si avviò verso il coro, dove deposte le armi, fu cantato l’inno Salvum fac populum tuum, Domine. Giunse l’ordine della Signoria, col quale s’invitavano i contendenti a deporre le armi, e si concedevano 12 ore al Savonarola d’abbandonare il territorio fiorentino. I fedeli presenti in San Marco sarebbero stati considerati ribelli, qualora non avessero abbandonato la Chiesa. In breve tempo, i difensori del Frate precipitarono paurosamente di numero. Era sopraggiunta la notte, quando improvvisamente si nutrirono di uomini, forti e coraggiosi, le fila a favore del Frate, il quale, sinceramente costernato per gli accadimenti, impugnò nuovamente il Sacramento, invitando tutti a seguirlo verso la libreria, dove, riuniti attorno i frati, pronunciò un’orazione, in cui ribadiva come l’ispirazione delle sue predicazioni fosse d’origine divina, concludendo che dal cielo avrebbe continuato ad assistere e consolare i suoi seguaci in terra.
Intanto i Compagnacci s’erano impadroniti del convento, mentre la Signoria richiedeva che si consegnassero fra Domenico, fra Silvestro (il quale s’era nascosto) e fra Girolamo, che si confessò e comunicò. Alcuni amici proposero al Frate di calarsi dalle mura, per mettersi in salvo, ma fra Malatesta gli ricordò quanto affermato da Cristo, secondo cui il pastore avrebbe dovuto rischiare la vita, per salvare le pecorelle. Fu forse la frase, che spinse Fra Girolamo a consegnarsi ai suoi carnefici ed in compagnia di fra Domenico, fu condotto in Piazza San Marco tra le grida della folla inferocita. Giunti a fatica di fronte al gonfaloniere, il quale chiese se persistessero a sostenere che le loro parole fossero d’ispirazione divina. La risposta fu affermativa e così furono condotti in prigione; fra Girolamo fu sistemato presso l’Alberghettino, dove in passato aveva trovato cattività Cosimo De Medici.
La Signoria informò le principali corti europee e Roma, chiedendo licenza di giudicare i due prigioni, immediatamente concessa da Alessandro VI, il quale pretendeva poi la consegna dei colpevoli.
Il 7 aprile 1498, moriva Carlo VIII, il più fidato amico di fra Girolamo, per un colpo di apoplessia.
Il destino stava segnando irrimediabilmente i tempi del Savonarola