C’era una volta, una coppia povera ma industriosa, che abitava in Giappone. Il marito si recava quotidianamente in montagna, per raccogliere il maggior numero di steli di bambù, che avrebbe consegnato alla moglie, perché ne fabbricasse degli utensili da vendere al mercato della città.
Una mattina, mentre l’uomo era in montagna, si accorse di tagliare un bambù composto di diamanti, da cui uscì una bambina assai piccola, che poteva essere raccolta nel palmo di una mano. I capelli neri come gli occhi brillanti e le guance rosa; indossava un chimono di seta bianca. Si raggomitolò nella mano dell’anziano addormentandosi.
La venuta della piccola recò una grande gioia nella casa degli anziani coniugi; la donna le preparò una culla con un cestino e, quando fu giunta la notte, la bimba fu vegliata dai nuovi genitori. L’uomo immaginava che fosse una principessa proveniente da chissà quale paese lontano, e d’accordo con la moglie la chiamò Hime. Gli anziani coniugi fantasticarono tutta la notte sul futuro della bimba, addirittura sognando un matrimonio col figlio di un re. Hime intanto cresceva in bellezza ed in salute con indosso sempre lo stesso chimono, che seguiva la sua evoluzione temporale. Il babbo continuava l’attività di tagliatore di bambù e dal giorno del causale ritrovamento della bimba, scorgeva una canna dispensatrice di monete d’oro, che sarebbe servita a costituire una dote per Hime. La giovane attirava sempre più le attenzioni dei giovani del villaggio, molti dei quali chiesero ufficialmente la mano, che fu sempre respinta dal babbo, convinto che la figlia fosse destinata ad un principe.
Un bel giorno cinque principi bussarono alla porta di casa: Kuramoci, Miuki, Maro, Daigin e Miko, pronti a convolare a nozze con la bella Hime. Appena la giovane fu informata della presenza dei pretendenti, scoppiò in pianto, poiché non desiderava separarsi dai genitori. Il babbo la convinse, perché si rivelava necessario garantire ad Hime un futuro promettente. La giovane allora, indecisa, propose cinque prove assai difficili, e solo chi l’avesse superate avrebbe avuto la sua mano.
L’uomo comunicò la decisione ai pretendenti: Kuramoci avrebbe dovuto scendere nel mare d’Oriente, per raccogliere un ramo dell’albero del tesoro, difeso da un mostro marino; Miuji avrebbe tolto le cinque gemme, che cingevano il collo del drago del mare; Maro avrebbe dovuto cercare una conchiglia di rondine; Daigin avrebbe consegnato una penna strappata dalle ali del venti; Mio, infine, avrebbe posto al dito della bella un frammento del raggio del sole.
Daigin e Mio si ritirarono, avendo considerate le prove troppo ardue da affrontare.
Kuramoci s’imbarcò su una nave e, dopo essere tornato nel suo regno, escogitò un modo, al fine di portare un ramo dell’albero del tesoro: consegnò a dei bravi artigiani l’ordine di realizzare un’imitazione perfetta del ramo. Dopo tre anni d’intenso lavoro, Kuramoci lo ebbe. S’imbarcò alla volta della terra, dove abitava Hime, preparando una processione solenne per la consegna del prezioso pegno. Parlò alla giovane, narrandogli tutte le vicissitudini affrontate, quando comparvero gli orafi, i quali chiedevano di essere pagati. Kuramoci fu costretto all’immediata ritirata.
Miuki affidò ai servi, dietro lauto compenso, l’incarico di uccidere il drago. Dopo averli pagati, costoro sparirono, tornandosene al loro paese d’origine. Il pretendente fu costretto ad affrontare la bestia, ma, mentre era sulla nave, si scatenò una burrasca, che sarebbe durata tre lunghi giorni. Egli pensò che il drago ne fosse l’artefice, così intese chiedergli perdono per l’ardire, tornando a casa.
Maro radunò i suoi servi, ordinando loro di cercare i nidi delle rondini, per scovare la conchiglia. Nonostante le intense ricerche, il prezioso cimelio non fu trovato da alcuno. Un giorno, mentre egli passeggiava nel bosco, alzò gli occhi verso un ramo e rimase abbagliato da un luccichio. Ordinò ai suoi servi che fosse introdotto in un cesto, per raggiungere quell’altezza. Quando fu giunto il momento di tornare a terra, una incauta manovra fece rotolare Maro, che, per disgrazia, mandò in frantumi il prezioso pegno. Solo allora si avvide di aver frantumato un uovo. Tornò tristemente al suo palazzo.
Hime intanto continuava a vivere sotto la sicura ala protettrice dei genitori. Nonostante le richieste amorose dell’imperatore, che le aveva offerto anche la sua protezione, ella preferiva non abbandonare la casa paterna.
Durante la quarta primavera di soggiorno nella dimora dei due anziani, la malinconia s’impossessò dello sguardo di Hime. I genitori manifestarono viva tutta la loro preoccupazione, e così la giovane fu costretta a rivelare il suo segreto. Si dichiarò regina delle ninfe, nata sulla luna, cui sarebbe tornata, perché il periodo, che l’era stato concesso di vivere sulla terra stava per scadere. Il babbo chiese aiuto all’imperatore, perché impedisse l’insano progetto, e così il sovrano promise che nel plenilunio d’agosto avrebbe inviato i suoi migliori soldati a difesa della giovane.
Quando fu giunto l’attimo, la ragazza fu chiusa nella sua stanza, che fu raggiunta da una piccola carrozza d’argento tirata da cavalli. Le ninfe lunari bussarono, ottenendo che la porta s’aprisse magicamente, e quando comparve Hime, fu pregata di salire a bordo. Promise ai suoi genitori che un giorno sarebbe scesa sulla terra, per trasportarli sulla luna. Indi lasciò in suo pegno il chimono, custode della sua anima. In un attimo scomparve. I due anziani si presero per mano e ringraziarono gli dei della felicità, che era stata loro concessa di vivere.