Vulcano nacque deforme da Giunone e da Giove, il quale a causa della sua malformazione lo scagliò, afferrandolo per un piede, fuori dal cielo. Nel Primo Canto dell’Iliade è descritta la tragica scena, che lo vide protagonista:
[…] Un giorno intero
Rovinai per l’immenso, e rifinito
In Lemno caddi col cader del sole
Dalli Sinzi raccolto a me pietosi.
A causa dell’orribile precipizio, riportò una sola ferita alla gamba, che lo avrebbe reso claudicante. Com’è espresso nel poema, fu adottato dagli abitanti dell’isola di Lemno. Grazie ai riusciti uffici di Bacco, poté tornare in cielo, dove fu accolto benevolmente da Giove, il quale gli destinò Venere, la più bella tra le dee.
Vulcano fu il dio del fuoco, abilissimo nel forgiare i metalli, nelle fucine, che aveva predisposto sull’isola, che lo aveva accolto, ed a Lipari, nelle caverne dell’Etna. Impiegò come garzoni i Ciclopi, creduti figli di Nettuno, dotati di un solo occhio in mezzo alla fronte, di cui Sterope, Bronte e Piragmone si dimostrarono i più assidui lavoratori. Probabilmente, i ciclopi furono gli autoctoni della Sicilia, i quali, al fine di difendere il proprio volto nelle battaglie, erano usi a fabbricare un piccolo scudo con un buco nel mezzo.
Polifemo fu il più celebre; Enea lo vide in Sicilia, descrivendolo all’amata Didone simile ad una montagna, vicino cui pascolavano delle greggi. Appariva quale mostro orrendo, deforme e smisurato, con un solo occhio in fronte; vagava, accompagnandosi cogli ovini, con un pino a mo’ di bastone.
S’innamorò, non amato, della ninfa Galatea, la quale era legata al pastore, Aci, che fu schiacciato dall’orrendo mostro nei pressi di uno scoglio. Allora, il suo sangue si tramutò in un fiume, che irrorò la Sicilia, portante il nome dell’ucciso, che fu consacrato nell’eterno.