Nella fase matura della sua vita, Giuseppe Verdi si dedicò all’agricoltura, che riteneva assai importante tanto d’augurarsi che l’Italia meritasse piu’ contadini che musicisti, avvocati e medici .
Si mostrò interessato all’arte venatoria, come confermò all’amico Angelo Mariani:
«Vado a caccia alla mattina, dormo, mangio e non faccio nulla. La muta delle quaglie è all’ordine e tutte le mattine si viene a casa con otto o dieci uccelli tra piccoli e grossi senza andare lontano da casa».
Verdi fu anche un amante della buona cucina, tantoché si rivolgeva ad i suoi amici più cari e fidati, onde chiedere aiuti in merito nell’assunzione di un bravo cuoco.
Il librettista Giuseppe Giacosa annotò come il Maestro «non è un gran mangiatore, né di difficile contentatura. Sta bene a tavola come tutti gli uomini sani, savi e sobri, ma più di tutto ama veder raggiar intorno a sé, negli ospiti, la giocondità arguta e sincera che accompagna e segue le belle e squisite mangiate. E’ un artista e come tale considera, e con ragione, il pranzo quale opera d’arte».
La spalla di San Secondo, tra i più antichi di Parma, era uno dei cibi preferiti dal Maestro, che spesso chiedeva gli fosse inviato dagli amici, che accompagnavano la spedizione con ricette e raccomandazioni.
Amava assai il vino come il Gutturnio dei Colli piacentini, la Malvasia dei Colli di Parma; nutriva una grande passione per il Chianti; scriveva all’amico Opprandino Arrivabene:
«Buono l’Asti (intendi il vino) comprato dal Cova senonché me n’ha mandato d’una qualità così detta Vino Secco che non mi piace. Presto gli scriverò di mandarmi altre bottiglie di quel vino, ma lo voglio dolce e spumante».
Una buona razione alimentare proveniva direttamente dalle sue terre, essendo il Maestro un grande latifondista.
Nel 1844, grazie al successo dell’Ernani, Verdi acquistò la tenuta di Pulgaro a Roncole di Busseto; in seguito permutata a Villanova d’Arda, dove trascorreva le stagioni miti, rifugiandosi durante l’inverno a Genova. Le terre acquistate limitavano settecento ettari, che affidava a dei lavoratori, molto spesso rimproverati, perché – a suo insindacabile giudizio – non lavoravano con coscienza.
Giuseppina Strepponi c’informò che il Maestro fosse anche un abile preparatore di risotti, così come confermò Camille Du Locle, direttore dell’Opéra Comique di Parigi, definendolo il «maître pour le risotto».