Il sonetto fu scritto il 14 settembre 1830, ed ubbidisce alle rime ABBA – ABBA – CDC – DCD.
Il poeta intende dare dei saggi consigli, per vivere bene: essere (in apparenza) un buon cristiano, ma sempre pronto a reclamare – e non a perdonare, secondo l’insegnamento di Cristo – dopo aver subito un torto. Ignorare chi dispensa consigli. Essere affatto magnanimo col prossimo, il quale non merita alcuna riconoscenza. Infine l’ultimo e – forse – il consiglio più importante: la corona del Rosario stia sempre in compagnia di un coltello.
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L’aducazzione
Fijjo, nun ribbartà mai tata tua:
Abbada a tté, nnun te fa mmette sotto.
Si cquarchiduno te vie a ddà un cazzotto,
Li ccallo callo tu ddajjene dua.
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Si ppoi quarcantro porcaccio da ua
Te sce fascessi un po’ de predicotto,
Dijje: “De ste raggione io me ne fotto:
Iggnuno penzi a li fattacci sua.„
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Quanno ggiuchi un bucale a mmora, o a bboccia
Bbevi fijjo: e a sta ggente bbuggiarona
Nu’ ggnene fa rrestà mmanco una goccia.
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D’esse cristiano è ppuro cosa bbona:
Pe’ cquesto hai da portà ssempre in zaccoccia
Er cortello arrotato e la corona.
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(L’educazione. Figlio, non rinnegare mai tuo padre: / Bada a non farti sottomettere. / Se qualcuno dovesse darti un pugno, / Subito restituiscigliene due.
Se poi qualcun altro porco da uva / si rivolgesse a te con la paternale, / Digli: “Queste ragioni non m’interessano: / Ognuno pensi alle sue cose”.
Quando giochi a morra o alle bocce / Bevi, figlio: ed a questa gente bugiarda / non lasciare neanche una goccia.
Di sapersi cristiano è una buona cosa / ed è per ciò che devi sempre portare nella tasca dei pantaloni / il coltello affilato e la corona del Rosario).